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Interviste

Ezio Guaitamacchi: “Le mie storie di semidei che diventano umani”

28 novembre 2020 by Michele Manzotti in Interviste

www.hoepli.it

Da tempo racconta da giornalista e critico musicale storie legate al Rock sia sulle pagine della rivista Jam, di cui è stato direttore, sia in varie pubblicazioni. L’ultima in ordine di tempo è “Amore, morte e Rock’n'roll” edito per la Hoepli. In 350 pagine Ezio Guaitamacchi narra 50 storie di personaggi del Rock raccontando le loro ultime ore di vita spesso intrecciate con i loro grandi affetti, o altrettanto spesso senza di essi. “Per il titolo – spiega l’autore – ho giocato sulla formula ‘sesso, droga e R’n'r sostituendone le prime due parole. E un libro con tante pagine e illustrazioni legate al racconto con box legati a particolari, curiosità relative a ogni storia. Ci sono anche le canzoni che segnalo come se fossero una colonna sonora per la lettura. Il libro ha anche una sua pagina Facebook dove ci sono ulteriori curiosità su come è nato”.

In questo libro non ci sono soltanto i più noti musicisti morti a 27 anni (Joplin, Hendrix, Winehouse), ma anche tante vicende legate al titolo. Come sono state scelte?

“In queste 50 storie gli spunti vengono dati anche dall’attualità, che talvolta purtroppo riporta la dipartita di musicisti, spesso nostri eroi. Non abbiamo più tra noi Leonard Cohen, Lou Reed, Aretha Franklin, Keith Emerson e cito a caso alcuni dei personaggi  che ho raccontato nel libro. Vite straordinarie che anche nei nei momenti conclusivi della loro vita hanno dato emozioni altrettanto straordinarie. Alcuni hanno avuto una fine violenta e drammatica, altri hanno dato alla morte un carattere romantico con qualcosa di poetico e artistico. Ho parlato con Laurie Anderson, la compagna di Lou Reed nei suoi ultimi anni. Lei si rese conto che la morte era anche un modo per capire quanto amore abbiamo avuto  per la persona scomparsa. Amore e morte sono concetti che avvicinano questi, che per noi erano semidei per noi, alla loro essenza umana. Il trapasso verso un’altra vita ce li fa addirittura diventare più simpatici. Tornano a Lou Reed, l’ho incontrato molte volte: avevo una percezione di lui come uomo ostico, duro, che ha cantato il lato malvagio e selvaggio della vita. Ma nel privato di tutti i giorni, mi ha raccontato Laurie, aveva un carattere dolce, affettuoso con la propria cagnolina e con parole belle per lei. Spesso di fronte all’Oceano Atlantico faceva la forma 21 del Tai Chi (che raffigura l’acqua) con l’atteggiamento di chi già sapeva di andare verso una dimensione diversa da quella umana grazie anche all’elemento liquido di questa posizione”.

Non ci sono però solo coloro che hanno avuto una persona al loro fianco, ma anche chi non l’ha avuta, con conseguenze sul piano artistico e umano. Personaggi che si sono dedicati all’arte, con l’arte che non ha permesso loro di avere una vita affettiva.

“Si, è un aspetto importante. Quando parlo di amore, parlo anche del suo opposto, ovvero della sua mancanza, della solitudine. E’ una peculiarità degli artisti, questa fragilità. Lo sottolinea benissimo Enrico Ruggeri nella sua prefazione. Mi vengono in mente Janis Joplin, George Michael, Withney Houston con la solitudine che è stata un killer alla pari di sostanze oppiacee, o almeno complice di queste scomparse. Ma più recentemente ci sono casi come quelli di Prince e di Tom Petty, che io racconto svelando qualche retroscena. Tutte storie che risultano affascinanti: storie vere frutto di tanti anni di lavoro, ricerche, racconti, confidenze, letture, visione di film e documentari. Le loro vite terrene sono terminate. ma le loro opere restano immortali”.

E’ comunque incredibile pensare che Prince, un vero re sul palcoscenico, sia morto da solo. Come mai?

“Prince era un artista che specialmente nei suoi spettacoli dal vivo riusciva, capace come pochissimi di coniugare creatività e originalità, fruibilità della sua musica e grande senso della spettacolarità. Ma in vita è stato travolto in qualche modo dal successo, che ti porta in cima al mondo ma che in qualche modo ti fa perdere la testa. La gestione più difficile è quando questo successo viene a mancare. Petty aveva scritto una canzone bellissima dal titolo Learning to Fly in cui si dice che dopo aver iniziato a volare diventa difficile tornare a terra. Prince era tornato in possesso dei diritti delle sue musiche e in qualche modo ridimensionato una carriera che rischiava di morire per eccesso di gigantismo. Era una persona fragile con patologie di tipo psicologico.  Però aveva deciso di farsi curare: dalla California era giunto a Minneapolis (nel compound dove c’era lo studio di registrazione, una show room dove incontrava gli artisti e le stanze dove abitavano lui e parte del suo entourage sua abitazione) il figlio dello psichiatra dei Vip, per un incontro finalizzato al prericovero. Prince è stato trovato morto vicino all’ascensore che portava dalle stanze agli uffici.  Era dipendente dal fentanil, una sostanza purtroppo molto diffusa negli Stati Uniti, con effetti potenti e che crea dipendenza. Abbiamo sempre visto Prince circondato di belle donne nei video e protagonista di show affascinanti. Eppure, anche se quel giorno non mancavano le persone del suo entourage, è morto da solo, senza affetti”.

Tra le tante storie c’è anche quella di un musicista che in vita non aveva raccolto quanto avrebbe meritato in vita come Gram Parsons…

“Lui è stato l’inventore del Country Rock, forma musicale ibrida e affascinante che conquistò gli Stati Uniti tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta. Era anche molto amico di Mick Jagger e Keith Richards ai quali fece conoscere la musica tradizionale nordamericana e che raggiunse nel loro periodo in Francia durante il periodo di “esilio”. Era anche un compagno di merende con Richards  con il quale passava le notti nel deserto di Joshua Tree in California, un posto affascinante (reso noto nel mondo del rock anche dall’album degli U2). Osservavano stelle e presunti Ufo bevendo Jack Daniels e prendendo pillole colorate. Al funerale di Clarence White, chitarrista dei Byrds morto per uno stupido e banalissimo incidente stradale, si trovava con due amici. Vedendo il rito tradizionale si dissero: se succederà a qualcuno di noi, niente funerale ma andremo a Joshua Tree con il corpo che sarà bruciato e noi brinderemo al defunto guardando stelle e Ufo. L’altra prefazione al libro è stata scritta da Pamela Des Barres, la più nota delle groupie. Secondo lei Parsons era il più poeta di tutti e, dato che aveva avuto anche una storia con Jim Morrison, di poeti se ne intendeva”.

Tornando al libro, lei di solito organizza presentazioni suonando e facendosi affiancare da musicisti e artisti figurativi. In questo periodo condizionato dall’emergenza Covid come si sta organizzando?

“Sto facendo dirette Facebook sul sito della casa editrice Hoepli, con la partecipazione di Teresa De Sio, Eugenio Finardi, Davide Van De Sfross, Pino Scotto e del già citato Ruggeri. A ogni appuntamento mettiamo in palio tre copie del libro. Ma stiamo stati in giro (e speriamo di rifarlo) anche con uno spettacolo dal titolo La ballata di John e Yoko. Oltre a Brunella Boschetti, che mi affianca da tempo, alla voce, i due protagonisti nei ruoli principali saranno Andrea Mirò e Omar Pedrini per il 40° anniversario dalla scomparsa di John Lennon”.

Michele Manzotti

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