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Lucio Corsi – Cosa faremo da grandi?

17 novembre 2020 by Marco Sonaglia in Dischi, Recensioni

(Sugar Music - A1 Entertainment)
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Ne ha fatta di strada Lucio Corsi (nonostante i suoi 27 anni) da quando giovanissimo, magro e timido presentò la sua ” Altalena Boy” tra i finalisti di Musicultura, sul palco dello Sferisterio di Macerata. Anni importanti di crescita, di traboccante ispirazione per il cantautore toscano che dopo il successo del concept album “Bestiario musicale”, dedicato agli animali della maremma, torna con un terzo disco in studio, dal titolo ” Cosa faremo da grandi?”. Un lavoro veramente interessante, che vede la sicura produzione artistica di Francesco Bianconi (Baustelle) e Antonio Cupertino. Il disco si apre con l’ottima “Cosa faremo da grandi” (” C’è un mistero in ogni giorno che comincia dopo una notte che finisce, io non ho mai capito chi ha colorato le conchiglie e come fanno a viaggiare per queste grandi distanze, se vado al porto lo chiedo alle barche che prendono il sole ma restano bianche… Buttando nel vento il lavoro di anni, perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi”) sostenuta in maniera morbida dal pianoforte, dagli archi e dall’efficace ritornello, un robusto riff di chitarra elettrica e l’Hammond colorano la la successiva ” Freccia bianca” (“Sentirsi soli in una grande città fa più male che dalle mie parti, mi tagliano la gola queste armi bianche e le punte delle Alpi, sentirsi soli in una grande città è più dura che nella mia terra, ci sono troppi muri bianchi dove sbattere la testa”), ancora chitarre elettriche, piano e batteria in primo piano per ” L’orologio” (“Oggi mi metto l’orologio che è una macchina del tempo e parto per un viaggio alla ricerca della mano di un amico perso, non so dove trovarlo è al passo con il tempo, ma quello già passato, se corri all’incontrario ti riprendi il fiato”), “Trieste” (“Ora lo trovi senza labbra, senza denti e senza lingua, sul lungomare a rovinare i silenzi, da solo che fischia, il vento no, non era un treno ma una spinta utile per tenere le nuvole in viaggio, per chi è fermo e non trova coraggio, vento che spinge sia le barche che gli uomini se non riescono a muoversi”) è una intensa ballad tra le migliori del disco, anche qui con un tappeto di pianoforte ed archi, invece un bell’intreccio di percussioni come il vibrafono e la marimba caratterizzano la successiva “Onde” (“Onde che girano e girando cambian faccia, ad ogni giro che respirano poi tornano sott’acqua, onde che girano e girando cambian volto e dopo aver girato tutto il mondo tornano nel porto”), una sola chitarra acustica è sufficiente per il talk-blues tra Dylan e De Gregori “Senza titolo” (“Alla scuola superiore avevo un professore che non era saggio, un mio compagno di classe non era un pallone ma era bravo a calcio, ripensando al professore che non era saggio forse per questo insegnava, ripensando al mio compagno che era bravo a calcio aveva quattro gambe e nessun braccio, e quando guarda la porta ripensa alla porta della sua prima casa, dove un giorno entrarono i ladri e gli rubarono tutto tranne l’ombra dei quadri”) dove Corsi da libero sfogo alla sua creatività, che si conferma nella successiva “Amico vola via” (“C’era un mio amico troppo secco col vento volava e volando in alto andò a scontrarsi a un aeroplano che gli disse guarda che se ti concentri arrivi alla luna, per questo la luna è piena di buche, ce le ha fatte lui con la sua testa e invece di piantarci una bandiera ritornava giù ogni sera, c’era un mio amico troppo secco col vento volava, i dottori dissero appesantirlo è l’unica cosa da fare, l’ingegnere s’inventò un’armatura da sei quintali, ma a nessuno venne in mente di costruirgli le ali”) pezzo malinconico e delicato, “Bigbuca” “E come avessi fatto un salto inizierò a cadere, ma a cadere in alto , con la terra verso casa, con le gambe all’universo, in fondo al cielo c’era il soffitto, dalla luna vedo il tetto”) è in equilibrio tra chitarra, pianoforte e archi sempre in primissimo piano, un leggero pianoforte, che poi si sprigiona in un finale quasi sinfonico, accompagna ” La ragazza trasparente” (“L’hanno vista scendere sotto l’asfalto e dalle scale farsi portare in alto, io che inseguo lei e che non seguo il calcio, andare a fondo nelle metropolitane come rimedio alla mancanza del mare, del sole nelle fontane, dato che è trasparente può esser tutto, anche una notte d’estate baciata dalla sorte, dimmi se le mani te le stringo troppo forte, dato che è trasparente io la ritrovo nella musica o nella forma di una nuvola”), un’intensa ballata che chiude magicamente il disco. Un lavoro curato in ogni dettaglio, come l’azzeccatissimo quadro di Nicoletta Rabiri per la copertina, il poster in stile Ziggy Stardust di Alessio Vitelli, la scelta dei musicisti e degli arrangiamenti. Lucio Corsi è una solida certezza, ascoltate attentamente il disco, andatelo a vedere in concerto (quando sarà possibile) e fatevi catturare dal suo gusto sempre equilibrato della melodia e dalla sua scrittura sicura, favolistica, delicata, trasognante, tutti elementi che lo rendono una perla rara e preziosa nel panorama della musica d’autore italiana.

Marco Sonaglia

 

Tracce

Cosa faremo da grandi?

Freccia bianca

L’orologio

Trieste

Onde

Senza titolo

Amico vola via

Bigbuca

La ragazza trasparente

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