(La stanza nascosta)
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Quando parliamo di Stefano Barotti, e soprattutto della sua musica, non possiamo non tenere conto di un passaggio importante della sua attività artistica. Ovvero quello di aver trovato in Jono Manson (conoscenza abituale de Il popolo del Blues) una guida importante per lo sviluppo del suo suono. Stefano Barotti è stato tra i primi ad accedere alla sua corte, già venti anni fa. Questo non vuol dire che la sua musica sia necessariamente catalogabile come Americana Anzi è italianissima, con modelli importanti fra cui si può annoverare senza tema di smentita Francesco De Gregori. Eppure qua e là si sente un tocco “made in Usa“ nelle sonorità, evidenziato dal suono delle chitarre. Ovviamente il valore di un prodotto non va giudicato solo dalla confezione, ma soprattutto dalla qualità della materia prima. E l’ascolto de Il grande temporale del cantautore massese ne mostra tanta, e soprattutto presente in tutte le undici tracce del disco (stampato da La stanza nascosta), fatto non sempre scontato anche in album che lasciano una buona impressione dopo l’ascolto complessivo. Merito delle canzoni, a cui i musicisti danno un apporto importante. Tra questi ci sono il già citato Manson, Joe e Marc Pisapia tra gli americani e ospiti italiani che hanno confidenza con il suono Usa (Paolo Ercoli, Max De Bernardi, Veronica Sbergia). Veniamo alle canzoni più convincenti a partire dalla traccia titolo che nello stile segna più di altre il ponte tra Italia e Usa, Spatola e spugna che racconta di un muratore tifoso dell’Inter, la melodica Stanotte ho fatto un sogno, il blues Mi ha telefonato Tom Waits con testo sul filo dell’ironia, Quando racconterò (scelta come singolo per lanciare il disco), l’omaggio a Jannacci Enzo dall’atmosfera country, al finale di Tutto nuovo con echi jazz. Sicuramente è un lavoro eccellente, sul quale il cantautore massese ha probabilmente pensato a lungo prima della sua uscita. Forse il suo disco della maturità.
Michele Manzotti
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