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I 100 anni di Astor Piazzolla

L’11 marzo 2021 compie 100 anni (ci piace più dire così, che non “oggi è il centenario”) il compositore e strumentista che ha portato le atmosfere della sua Argentina in tutto il mondo, Astor Piazzolla. La sua scomparsa nel 1992 ha  lasciato un grande vuoto nel mondo musicale internazionale. Perché la diffusione della cultura argentina è stata fatta in modo rivoluzionario con uno strumento della famiglia delle fisarmoniche, solo che non è una fisarmonica, ma è il bandoneón. Soffermiamoci un po’ su questo, dato che come spesso accade la storia della musica regala inaspettatamente delle sorprese.

Siamo abituati, pensando proprio a Piazzolla, a considerare il bandonen come uno strumento sudamericano. Lo è in parte, perché è vero che la sua popolarità deriva dalla già citata Argentina (e anche il nome stesso fa pensare a un termine che deriva dallo spagnolo, dato che ha l’accento acuto sulla seconda o), ma la sua nascita è avvenuta in Europa. Precisamente in Germania grazie all’inventiva di Heinrich Band, nato nel 1821. Lo strumento fu pensato originariamente per la musica sacra, per accompagnare i canti durante le processioni o per sostituire l’organo nelle piccole chiese di montagna, spesso difficili da raggiungere. Gli emigranti tedeschi portarono questo strumento con loro all’inizio del XX secolo in Argentina; qui incontrò rapidamente grande successo, e fu presto inserito nell’ambito della musica locale. Astor Piazzolla, come esecutore e compositore, ha portato questo strumento ai massimi livelli tecnico-interpretativi. A lui è dedicato l’aeroporto della sua città natale, Mar del Plata, figlio di emigranti italiani, padre di Trani e madre della Lucchesia. Eppure il contatto con lo strumento avviene a New York dove la sua famiglia si era trasferita nel 1925.

«Molto piccolo, quando ancora vivevo a New York, ho iniziato a suonare il bandoneón – spiegò in un’intervista al cileno Gonzalo Saavedra tradotta e ripresa integralmente sul sito Voglia di tango -, e appena tredicenne ho avuto la fortuna di accompagnare il grande Carlitos Gardel.  Intorno ai 17 anni sono rientrato con la mia famiglia a Mar del Plata e dopo qualche frustrante tentativo di studio di contabilità ho deciso di dedicarmi completamente alla musica. Ne ero profondamente innamorato e sapevo che quella scelta sarebbe stata per sempre. In quel periodo suonavo il bandoneón in tutti i cabaret di Buenos Aires e cominciai a comporre. Con una gran faccia tosta mi sono presentato a casa di Arthur Rubinstein (che allora viveva nella capitale) con uno spartito sotto braccio. “Ti piace la musica?” mi ha chiesto. “Molto maestro”. “E allora perché non studi?”.Fu lo stesso pianista polacco a chiamare il suo amico e compositore Alberto Ginastera e a dirgli che c’era un giovane ansioso di imparare». Ginastera è stato il suo insegnante per sei anni fino a quando non vince un premio per compositori argentini e con questo una borsa di studio per la Francia. E’ Nadia Boulanger che lo fa diventare il Piazzolla che conosciamo: «Lei  mi ha insegnato a credere in me stesso, e nella mia musica. Io che ero convinto di essere spazzatura perché suonavo tango in un cabaret, in realtà avevo qualcosa chiamato ‘stile’. Sentii una specie di liberazione. Mi liberai di colpo del tanguero vergognoso che ero e mi dissi: “Bene, quindi è questa la musica da seguire”».

Così tango e composizione classica si uniscono nella musica di Piazzolla, che nella sua vita artistica ha incrociato spesso l’Italia: Edmonda Aldini, Mina e Milva cantano i suoi brani tradotti in italiano da Angela Denia Tarenzi. Inoltre nella sua musica entra prepotentemente il jazz, in buona parte grazie sempre all’Italia. E’ a Milano che viene inciso Libertango nel 1974 e nel gruppo si trovano due giovani musicisti destinati a un’attività intensa come Pino Presti al basso e Tullio de Piscopo alla batteria. Il brano citato è il più noto di Piazzolla, ripreso da tanti altri musicisti. Ci sono poi pezzi che mostrano quanto l’autore resti un compositore legato alla musica classica: Primavera Porteña e Otoño Porteño fanno parte delle particolari Quattro Stagioni concepite dall’autore tra fine Sessanta e inizio Settanta e pensate per descriverle nella capitale argentina. Porteño è infatti il nome con cui viene chiamato l’abitante di Buenos Aires. Nella Primavera il ritmo del tango lascia spazio a momenti melodici affidati a violino e bandoneón. Un incipit più drammatico caratterizza l’Otoño, sempre nel segno della danza urbana con un interscambio tra  melodia e ritmo rigoroso e spontaneo al tempo stesso. Sono i due brani composti per ultimi della serie, con un organico da camera. Oblivion invece è un altro classico di Piazzolla e qui il tango, o meglio il Tango Nuevo con cui è chiamato nello stile dell’autore, torna con tutta la sua forza e il suo fascino. Magari un po’ malinconico, ma sempre coinvolgente grazie alla potenza della melodia che ne fa uno dei brani più amati del maestro argentino.

Michele Manzotti

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