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Una stella di grande dimensione fa parte della foto di copertina del disco d’esordio della giovane pianista di Boston, Veronica Lewis, di cui ci siamo già occupati in sede di recensioni. L’ottima impronta che ha lasciato con il disco, ci ha spinto a saperne di più. Ecco dunque l’intervista che ci ha concesso.
Nina Simone è cresciuta in una famiglia in cui la musica era molto presente, ha iniziato a suonare giovanissima ed è poi diventata l’artista che conosciamo. E’ stato così anche per te? In che ambiente sei cresciuta e da dove viene la tua passione per la musica?
Ho cominciato a suonare il piano a sei anni e poi ho imparato da sola a suonare e scrivere canzoni. Sin da piccola ho ascoltato generi diversi di musica restando affascinata dal blues, boogie-woogie, country e dal primo rock’n’roll. Mio nonno è stato di grande ispirazione per me, un modello nel superare le difficoltà della vita, perse la vista a soli quindici anni ma questo non gli ha impedito di realizzare i suoi sogni. Ci ha legato l’amore per la musica, mi ha istillato la curiosità di scoprire e conoscere la musica e i musicisti, tutt’ora ascolto molta musica e artisti diversissimi. Trovo ispirazione da un mix di generi e di periodi, da Katie Webster a Ray Charles, Louis Jordan, Otis Spann, Dr. John, Marcia Ball, fino ad arrivare a Patsy Cline, Avril Lavigne, Freddy Mercury. Cerco di fondere elementi presi dai miei artisti preferiti, dal blues, dall’energia dei primi rocker come Little Richard, Jerry Lee Lewis e creare un mio stile di scrittura e di esecuzione.
A soli diciassette anni il tuo disco d’esordio ha ricevuto lodi dai critici e dagli appassionati quasi ovunque, ed hai ricevuto premi e riconoscimenti. Avverti già un senso di responsabilità verso la musica?
Prima di tutto voglio ringraziare te…e tutti. Sono grata a tutti coloro che mi hanno supportata nella realizzazione del mio primo disco. Sono felice di poter pubblicare la mia musica e so che non avrei potuto farlo quest’anno senza l’aiuto di tutti! Sento senz’altro la responsabilità di continuare a portare avanti la mia musica e la vostra fiducia mi da la motivazione per lavorare di più e coltivare l’ispirazione.
Cosa ti ha attratto verso il blues, il boogie, il rock’n’roll, il r&b e ti ha spinto a suonarli, invece di musiche più vicine alla tua generazione quali hip-hop, rap o nu-soul.
E’ cominciato tutto ascoltando registrazioni di Katie Webster, Jerry Lee Lewis, Henry Gray e altri. Anche a cinque/sei anni mi piaceva ascoltare ogni genere di musica, ma c’era qualcosa che mi attirava verso il blues, il boogie, i pianisti di New Orleans e il rock’n’roll delle radici. E’ musica divertente da ascoltare e volevo suonarla a mia volta. Poi a sei anni, iniziando a suonare il piano, ho imparato alcune linee di basso e la progressione di accordi 1-4-5 e da lì sono rimasta stregata.
Nel libretto scrivi: “ci sono persone che pensano sia un male che ogni ciliegia abbia un nocciolo, ma ogni nocciolo contiene un altro albero”. E’ un modo di vedere le cose piene di speranza e ottimismo, persino ambientalista, la intendi in questo modo? Inoltre il titolo del disco è You Ain’t Unlucky (non sei sfortunato/a), a chi o cosa ti riferivi quando l’hai scritta?
You Ain’t Unlucky è di certo una canzone molto personale per me, densa di significato. Scrivendola ho riflettuto sulle mie esperienze, volevo condividere il mio modo di affrontare i momenti difficili della vita. Il verso che hai citato incarna il tema complessivo della canzone. Nella vita talvolta capita qualcosa di brutto o che sembra un ostacolo al tuo cammino, ma se lo guardi da un altro punto di vista, potresti forse trovare qualcosa da apprezzare, per cui essere grati. L’idea di cambiare punto di vista per trovare gratitudine nei momenti difficili delle nostre vite è qualcosa che cerco di applicare sempre. Può essere dura, ma mi è stato di grande aiuto in questo anno di pandemia. Essere in grado di amare ed apprezzare ogni persona e ogni cosa fa parte della mia vita, ed è stata una delle cose più importanti che ho imparato in quest’annata folle.
Un paio di canzoni hanno il nome di città, Clarksdale Sun e Memphis Train. Ci sei stata e ne hai tratto ispirazione?
Si, sono stata varie volte a Memphis, e dopo il mio primo viaggio a Clarksdale sono stata ispirata per scrivere alcune canzoni. Quando avevo dodici anni ho visitato la Hopson Plantation a Clarksdale, presi parte a un workshop di piano organizzato dalla Pinetop Perkins Foundation. Nella canzone volevo esprimere quanto fosse straordinario essere lì a suonare con tutti quei musicisti eccezionali. Memphis Train invece è stata a sua volta ispirata da una grande città, ed è stata una delle prime canzoni che ho scritto. Parla delle possibilità della vita, il Memphis Train rappresenta l’opportunità di seguire i tuoi sogni. Quando ho scritto la canzone, ho immaginato che “quel treno” si fermava davanti a casa mia con a bordo tutti i miei eroi musicali, e ci avrebbe portati tutti a Memphis. Crescendo come musicista la canzone ha assunto un ulteriore significato, uno stimolo per cercare di dare il meglio di me stessa e continuare a migliorare ogni cosa.
Hai inciso il disco al piano acustico, in alcune foto nel libretto sei ritratta ad uno elettrico. E’ difficile trovare un piano nei club americani al giorno d’oggi? O sul palco di un festival? Di certo il piano elettrico è più facilmente trasportabile, ma suonarlo ti da le stesse sensazioni?
Sul disco tre brani sono stati incisi a casa mia con il mio piano di centoquindici anni. E’ il primo e unico pianoforte che ho mai avuto. Quando avevo sei anni abbiamo recuperato questo vecchio strumento dal granaio vicino. Abbiamo scoperto che il nome Margaret era inciso sul davanti, non abbiamo mai saputo chi fosse, ma il nome è rimasto. Anche se di norma uso una tastiera elettrica nei concerti, ci tenevo molto ad incidere qualcosa con “Margaret” su questo disco, proprio perché ho scritto così tante canzoni, che è stata una parte importante della mia vita. Di certo suonare un piano acustico è una esperienza completamente differente.
A volte in un debutto discografico, certi artisti scelgono di includere alcune cover, tu invece sei autrice di sei canzoni su otto. E’ una scelta precisa legata anche ad una facilità di scrittura?
Volevo che l’album fosse una rappresentazione fedele della mia prima parte della mia carriera, del mio percorso musicale e che ogni canzone suonasse la più vera e autentica possibile. Alcune canzoni sono tra le prime che ho composto, e sapevo che avrei condiviso il mio modo di scrivere con il pubblico. Una delle sfide del disco è stato decidere quali pezzi originali includere e quali lasciare fuori.
Sei ancora molto giovane, quali sono i tuoi obiettivi futuri?
Continuare a creare musica, registrare, essere pronta a tornare a suonare dal vivo. Nel frattempo continuo ad essere in contatto online con il mio pubblico, con performance e pubblicazioni.
Quando la pandemia sarà finita, ti piacerebbe venire in Europa a suonare? O ci sei già stata.
Appena si potrà riprendere mi piacerebbe molto venire in Europa! Infatti ho da poco firmato con Intrepid Artist International, che ritengo un grande onore e sono molto contenta per questo, perciò verrò certamente in tour quando sarà sicuro farlo.
Silvano Brambilla
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