Foto in alto (c) Tania Bucci / New Pressphoto
Foto del concerto 1973 (c) Luca Lupoli
Da “La Nazione” del 10 maggio 2021
“Se io decido di rivolgermi a un pubblico più vasto, già in partenza scelgo una mediazione ben precisa. Quello fa la differenza tra una musica che possiamo definire bassa o alta. Poi succede spesso che alcuni compositori falliscano per mancanza di talento: l’intenzione magari è alta, ma il materiale scadente. E può succedere che una canzone che non ha pretese sia folgorante, qui sta il trucco”. Così Franco Battiato nel 2006 a Firenze in occasione di un concerto all’Ort spiegava in poche parole la sua attività, o la sua missione se vogliamo, nel pianeta della musica. Un mondo che al di là delle Hit (servono anche quelle, sia per l’anima di chi ascolta, sia per i compensi di chi compone che così può sviluppare altri progetti) il cantautore catanese appena scomparso conosceva molto bene. Gusti personali a parte, era un musicista che sapeva guardare lontano, anche nei primi anni dove le sue sperimentazioni lo ponevano tra coloro (pochi) che lo capivano e lo esaltavano come artista originale e altri (tanti) che non lo capivano e lo detestavano. La trilogia elettronica Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries rimane fortunatamente ascoltabile ancora oggi, anche se nella testimonianza del suo bassista di allora Gianni Mocchetti, anch’egli scomparso, il periodo dei Settanta fu estremamente difficile.
Poi Battiato, chiamato dagli organizzatori dei concerti rock a fare da spalla ai gruppi inglesi (a Firenze molti appassionati ricordano la sua presenza al Teatro Astoria di spalla ai Curved Air nel febbraio 1973) trovò finalmente la formula giusta. Un’alchimia che mescolava melodia italiana, atmosfere mediorentali, prassi classica, strumentazione inusuale, esecuzioni corali di voci maschili. E i dischi di successo (L’era del cinghiale bianco, La voce del padrone, Patriots) codificarono il suo linguaggio che trovava in altre musiciste come Alice e le compiante Giuni Russo e Milva, ulteriori sviluppi. Eppure non si scordava mai di essere un compositore che amava la ricerca: “Racconto un aneddoto: una volta accompagnavo una persona per l’acquisto di uno dei primi esemplari di lettori cd. Avevo in tasca quello della mia composizione Campi Magnetici e ho detto al negoziante di mettere la traccia 3, quella più sperimentale, piena di tuoni veri e ricostruiti. Il risultato? Il negoziante ha detto che il lettore cd non funzionava! Se avessi indicato la traccia 1 sarebbe stato diverso”-
E la ricerca andava anche in campo classico: nel 1993 compose una Messa Arcaica, ispirata alla struttura delle messe musicali dei grandi compositori del passato. Eppure, tra archi e fiati, la voce di Battiato spaziava dal gregoriano ai canti dei muezzin. Inoltre se c’è stato un musicista che ha fatto conoscere espressioni artistiche del vicino Oriente (come le danze dei dervisci dell’Anatolia) è stato proprio lui. Nel 1998 tornò all’elettronica con Gommalacca. ma era lontana da quella dei Settanta. Anzi fra i primi sfruttò la tecnologia digitale. In un’ulteriore svolta artistica negli anni Zero passò ad omaggiare la canzone popolare italiana con il progetto Fleurs: tra i tanti autori riscoperti anche il fiorentino Luigi Fiumicelli e la sua Sigillata con un bacio: “Il pezzo lo ascoltai alla radio quando ero ragazzo e in pratica lo imparai subito a memoria. Per me Fiumicelli era un mito del rock’n'roll. Poi l’ho conosciuto e ha anche partecipato alla colonna sonora del mio film Perduto amore”. Nel 2007 a Livorno gli venne conferito il Premio Ciampi alla carriera. Orchestre, elettronica, rock’n'roll, viaggi lontani. Un pianeta musicale pieno di luoghi che lui ha saputo coltivare con intelligenza e passione. E anche con il cuore, senza il quale non si diventa un artista con la A maiuscola.
Michele Manzotti
Tagged Franco Battiato