Riportiamo l’intervista a Ian Anderson uscita su www.exhimusic.com per gentile concessione di Daniele Massimi, che ringraziamo insieme alla Jethro Tull Italian Community. La foto 2 è quella di copertina di Silent Singing, la 3 è l’attuale formazione dei Ian Anderson’s Jethro Tull.
Ecco l’intervista esclusiva a Ian Anderson dei Jethro Tull per il format “Wond’ring Aloud – The Jethro Tull Radio Show” (inserita nella puntata #20 andata in onda mercoledì 24 marzo 2021 alle ore 19 su Radio Tsunami – www.radiotsunami.org) diretto e condotto da Daniele Massimi in collaborazione con la Jethro Tull Italian Community. Si ringrazia Michele Manzotti che ha realizzato l’intervista e la traduzione insieme all’organizzazione di Alessandro Ferrari e Alessandro Bersezio.
La prima domanda è ovviamente legata al cinquantenario di Aqualung. C’è qualche episodio che le piace ricordare della sua realizzazione?
I brani erano stati provati nel 1970 quando eravamo in tour negli Stati Uniti e iniziammo a registrarli a fine 1970/inizio 1971. Lo facemmo in un nuova sala costruita dall’etichetta Island all’interno di una chiesa sconsacrata, dove furono allestiti uno studio più grande e uno più piccolo. Era stato tutto inaugurato da poco e il primo gruppo che andrò a registrare fu i Led Zeppelin. Lo fece nello studio più piccolo che era in basso e che aveva una resa sonora migliore. Noi eravamo in quello più grande, all’interno delle chiesa che aveva un suono più cavernoso, pieno di eco e freddo e abbastanza sgradevole. Avemmo un sacco di problemi tecnici, l’equipaggiamento era nuovo. Non fu un album facile da registrare, specialmente per quelle canzoni dove ero da solo in studio e lo facevo all’inizio con la chitarra acustica in mezzo a una grande stanza che prima era una chiesa. E’ stato un disco molto strano da realizzare e non ero abbastanza sicuro, quando lo finimmo, che potesse essere ben recepito oppure no. Ci è voluto un anno perché si diffondesse in altri paesi nel mondo, un album la cui forza è crescita gradualmente.
Nel 2019 è nato un libro sulla storia dei Jethro Tull, adesso lei sta preparando una nuova pubblicazione dedicata ai testi. Ci può descrivere le caratteristiche di questo nuovo lavoro?
La raccolta dei testi in un libro, che si chiama “Silent Singing”, è una trascrizione autentica e revisionata con molta cura delle canzoni che ho scritto a partire dal 1968. Principalmente è impaginato come se fosse un libro di poesie, anche se sono testi di brani musicali. Così le persone possono gradire la lettura dei testi mentre ascoltano la musica. Magari chiudendo un attimo gli occhi mentre canto, poi leggendo le parole e andando a tempo con me cantando il testo. Penso che questa sia la cosa più gradevole. Il lavoro è stato realizzato come volevo: ogni singola traccia che ho registrato l’ho provata più volte perché le parole fossero corrette. Nelle copertine degli album talvolta i testi stampati non sono sempre accurati, perché qualcuno ha scritto parole sbagliate o forse sono stati tratti dai miei libri originali di testi quando li cantavo in studio ed erano leggermente diversi, e questo non si riflette nelle parole stampate. Era tempo di fare tutto esattamente come doveva essere fatto.
Attualmente quali sono le fonti di ispirazione per la sua musica, o per i testi?
Lo spiego molto bene nel libro. Ci sono un sacco di pagine dove parlo delle canzoni di ogni album in un paragrafo come le abbiamo realizzate in quel momento. Cose che ricordo, alcune riferite ai momenti precedenti e ad altri successivi di ogni disco. C’è molto materiale da leggere, con un sacco di foto perché è stato un mio hobby per tanti anni, e quindi mi piace illustrare con una foto ogni brano di un singolo album. Il riferimento visivo per me è importante per scrivere le canzoni, molte di esse sono basate su ciò che vedo. Avendo studiato pittura, disegno e fotografia quando ero più giovane per me è molto naturale lavorare con l’immagine ed è un modo interessante di illustrare qualcosa nella mia testa mentre canto una canzone.
Ci sono canzoni del passato, come singoli o brani suonati dal vivo negli ultimi anni che a suo parere vale la pena di riscoprire nell’attuale repertorio dei Jethro Tull?
Ce ne sono tante, magari non le suoniamo sul palco. Anzi non sono mai state portate in concerto e registrate solo in studio. Per me riscoprire tutto questo materiale è molto interessante perché qualche volta sono sorpreso dalla qualità della musica durante l’esecuzione grazie ai musicisti del gruppo. Sono anche sorpreso dei testi, molto migliori di quanto mi ricordassi allora. Per me ci sono sempre delle belle sorprese tra queste 350 canzoni. E’ stata un’esperienza molto gradevole per me scrivendole tutte, e riesaminarle tra giugno e dicembre dello scorso anno. Adesso che il lavoro del libro è completo, possono partire gli ordini. Ci saranno edizioni speciali autografate e tante cose per gli appassionati per avere qualcosa del mio modo personale di scrivere le canzoni. Sono sempre sorpreso quando vado indietro negli anni e realizzo di quante canzoni ci sono e di quante di esse vado orgoglioso. Naturalmente sul palco ne suoniamo 20 a sera con tanti cambiamenti di anno in anno, ma penso che probabilmente le scalette sono scelte da un gruppo di cento canzoni e quindi altre 250 non sono mai state suonate sul palco.
Ogni fan dei Jethro Tull ha una domanda per lei: ovvero se sta programmando un nuovo album che probabilmente potrebbe essere strumentale come Divinities nei prossimi mesi o anni.
C’è stato un disco nel 2017 che fu prevalentemente strumentale con me e un quartetto d’archi chiamato Jethro Tull and The String Quartet, con il quale ho realizzato un mio progetto dedicato a quella formazione. Per quanto riguarda la musica strumentale, mi piacerebbe realizzare un disco dedicato al flauto rock ed è un progetto che intendo portare a termine entro due anni. Sto ancora lavorando a un nuovo disco che spero di finire entro la fine dell’anno e al tempo stesso sto lavorando un’autobiografia, ma non in sequenza. E’ una serie di saggi su dove ero nel mondo, cosa stavo facendo, le canzoni che ho scritto in relazione a un certo periodo, la storia recente. Quindi un’autobiografia che non è un semplice percorso cronologico tipo “Sono nato a Dumferline in Scozia, nel 1947, bla bla bla”, ma che è un modo diverso di scrivere la mia vita nel contesto di cosa accadde e sta accadendo nel mondo nei vari periodi della mia vita e attività. Questo è un altro progetto che spero di portare a termine nel giro di due anni, nel frattempo mi piacerebbe tornare in tour e fare concerti a un certo punto.
E’ venuto a conoscenza del progetto di David Rees di A New Day su The Water’s Edge, ovvero la riedizione di questa musica per balletto?
Penso che Rees ne abbia parlato con Dee Palmer: fu un progetto che facemmo insieme che, a parte l’esecuzione con lo Scottish Ballet, non è stata più ascoltata. Fu interessante, anche se nella performance non c’era la mia musica, o meglio c’era quella realizzata da me, Palmer e Martin Barre. Pezzi strumentali per sola orchestra. Jon Anderson degli Yes scrisse un altro pezzo da balletto. In tutto erano tre realizzati in una sera . Il nostro si chiamava The Water’s Edge perché basato sulla mitologia del Waterhorse, la creatura che vive nelle profondità dei laghi di Scozia che seduce una giovane donna e la fa danzare. Un brano di folclore che ha una storia diversa a seconda dei vari paesi dove è narrata. Ma non sappiamo se il Waterhorse suonava il flauto. In India sappiamo che il dio Krishna lo faceva per sedurre le giovani, così come il Pied Piper of Hamelin (il pifferaio magico).
L’ultima curiosità riguarda una notizia letta su Rolling Stone, che lei finanziò insieme con musicisti di altri gruppi rock il primo film dei Monty Python, Il Santo Graal. Ci racconta come nacque questo contatto?
Quando i Python lavorarono al loro primo film, non avevano soldi e non sapevano come raccoglierli. Così decisero di muoversi attraverso amici, associazioni e gruppi musicali, non solo i Jethro Tull ma anche i Led Zeppelin e i Pink Floyd oltre ad alcune case discografiche (Charisma, Chrysalis): la trovai come un’opportunità e fu anche una buona idea perché il film negli anni è divenuto poi di culto e diffuso ancora oggi. Nacque un gruppo di finanziatori che poi avrebbe raccolto i dividendi, alcuni li hanno venduti negli anni. Io ho continuato a mantenerli e ogni anno mi arriva la quota: non lo faccio tanto per i soldi ma perché mi ha fatto piacere essere coinvolto nel lavoro di quel film, un esempio perfetto di quella follia degli anni Settanta che fa parte a pieno titolo dell’humour britannico. Mi dispiace di non aver avuto l’opportunità di finanziare anche il successivo Life of Brian perché George Harrison (secondo quanto mi disse John Cleese) pagò tutto. Anzi secondo Cleese fu proprio Harrison a dire loro che i vecchi investitori non volevano saperne di finanziare il nuovo film! Ma alla fine l’ho accettato.
Grazie Mr. Anderson da parte di Wond’ring Aloud, da Radio Tsunami e dalla Jethro Tull Italian Community. Grazie anche per la sua musica che noi amiamo da sempre, speriamo in altri progetti musicali
Speriamo di vederci da qualche parte. Abbiamo alcune date fissate in Italia alla fine dell’anno e tengo le dita incrociate. Spero che si possano fare e speriamo nel meglio. Anche di incontrarci presto nuovamente.
Michele Manzotti
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