(Shake Edizioni) www.shake.it Pagg. 438, Euro 20,00
La ristampa del più autorevole ritratto del “sindaco del blues”
Ad alcuni vecchi bluesmen quando gli è stato chiesto il luogo e l’anno di nascita, spesso erano incerti e si basavano su quello che sapevano. Lo scrupoloso approfondimento di Robert Gordon su Muddy Waters, ha evidenziato che non è nato a Rolling Fork il 4 Aprile del 1915, ma nella confinante contea di Issaquena, lo stesso giorno ma due anni prima, con il nome di McKinley Morganfield. Le due località sono comunque confinanti nella distesa chiamata delta, dello Stato del Mississippi, fra sterminati campi di cotone, piantagioni, baracche, condizioni schiaviste, povertà, polvere e cenere, con il padrone bianco che concedeva solo un minimo di svago agli schiavi per le feste del sabato sera con fritture di pesce, tra questi il catfish, abitante del grande fiume e diventato in seguito uno dei più famosi blues. Il soprannome Muddy Waters, ha una piccola storia che va raccontata. Fin da bambino si avventurava nelle pericolose acque fangose delle paludi intorno alla piantagione, è stata sua nonna materna, che lo ha adottato dopo la morte della madre, Berta Grant, a chiamarlo Muddy (fangoso), mentre anni dopo quando ancora giovane si stava facendo un nome come musicista, furono i suoi amici ad aggiungere, Water, ma senza la “s”, sopraggiunta quando era a Chicago. La musica profana, il blues, e quella sacra, gli spritual, laggiù nel Mississippi erano ovunque, il cugino di Muddy, Elve, una volta disse: (…) quando sei stato nell’oscurità per tanto tempo ti ci abitui, impari a trovare la strada, il blues e la musica gospel rappresentavano due lanterne differenti, ma il sentiero che illuminavano seppure destinato a biforcarsi aveva un’origine comune. Muddy andava in chiesa ogni domenica spinto dalla nonna, e rimaneva colpito dalle funzioni religiose movimentate, scaturite da una esaltazione emotiva, e a riguardo disse: dalla chiesa ho imparato quel suono pazzesco, infernale, non lo si sente dalla mia voce? La sua origine musicale però è nata con il blues: ascoltato nelle varie feste organizzate anche da suo padre, che lo sapeva suonare bene con la chitarra, Ollie Morganfield, ascoltato da un fonografo di una vicina di casa che aveva le prime incisioni chiamate, race records, e da bluesmen come, Charley Patton, Robert Johnson, ma soprattutto da Son House. Muddy aveva quattordici anni quando rimase folgorato da una sua performance: sono letteralmente impazzito quando ho visto per la prima volta qualcuno che faceva scivolare un collo di bottiglia sulle corde, mi brillavano gli occhi come un albero di natale e mi sono detto che dovevo imparare a tutti i costi, ascoltarlo era tonificante come un cazzotto in faccia. Man mano che Muddy Waters cresceva, diventava sempre più conosciuto più che altro per due ragioni, la prima era che trafficava whisky, e la seconda che stava diventando un bravo musicista. Alla sera, dopo il disumano lavoro nei campi, l’unico conforto per la comunità nera, era improvvisare musica con strumenti acustici, una chitarra, una armonica, un pettine avvolto in un foglio di carta. Muddy inizialmente percuoteva un bidone di kerosene, poi passò alla fisarmonica, si costruì una sorta di chitarra con una scatola e un bastone infilato, e tentò di diventare un armonicista, ma senza riuscirci, ma non avrebbe mai immaginato che quell’ultimo giorno di agosto del 1941, iniziò a diventare una ricchezza per sé e per gli altri nell’universo della musica a 360 gradi! I bianchi si sa che avevano il potere dell’industria discografica, dello spettacolo e delle influenti radio, ma chi dava l’alimento nutriente e rimunerativo ai suddetti apparati è stato tutto il movimento black, dalle chiese e dai campi di cotone alla rete urbana. Come in un gioco di rimandi, la sua vita cambiò radicalmente grazie ad un bianco, l’etnomusicologo Alan Lomax, all’inizio scambiato per uno sbirro che aveva scoperto la sua illecita distillazione di whisky. “Ho sentito dire che Robert Johnson è morto, si dice in giro che tu sei bravo quanto lui (…) vorrei registrare qualcuna delle tue canzoni, voglio portarle alla Library Of Congress”. Passata la diffidenza verso quell’uomo bianco che era accompagnato dal nero John Work, responsabile della storica spedizione nel Mississippi, in quella specie di casa in legno di Muddy, tutt’ora un monumento per il blues e più in generale della cultura del popolo afroamericano, iniziarono le prime storiche registrazioni, canto, chitarra acustica, il collo di bottiglia infilato nel dito mignolo, perché come dirà in seguito, così ho a disposizione le altre dita per i fraseggi. Country Blues, è la prima di una serie di tracce registrate da Alan Lomax, e sono l’esempio della purezza creata dalla perfetta unione tra la voce e la chitarra acustica, senza un attimo di indecisione, per quei momenti che sono una delle sorgenti del blues del delta, o country blues che dir si voglia. Qualche giorno dopo Lomax gli recapitò un assegno di venti dollari e due copie del disco. La sua popolarità come musicista diventava sempre più vasta: ormai ero maturo per cominciare a suonare per i bianchi, diceva Muddy Waters. Eppure nonostante qualche occasione capitatagli nella cittadina di Clarksdale, non voleva ancora saperne di abbandonare i luoghi dove è nato e cresciuto, ma il momento di muoversi stava arrivando: ho cominciato a chiedere a qualche mio amico che era stato a Chicago, potrei combinare qualcosa con la mia chitarra? St Louis fu la prima destinazione, ma non fu soddisfatto dell’ambiente, sociale e musicale, e tornò giù nel sud. Ci rimase poco tempo, perché da Clarksdale prese il treno direzione Chicago, correva l’anno 1943. Anche nella Windy City iniziò a farsi un nome entrando nel giro del blues, dando inizio alle prime storiche registrazioni per l’Aristocrat (poi diventata Chess Records), Gipsy Woman, Little Anna Mae, nel febbraio del 1948. Grazie alle sue intuizioni, con la chitarra elettrica fece uscire il blues acustico del delta dall’amplificatore, lo scossone epocale iniziò! Così il blues elettrificato gettò le basi per il rock’n’roll, il rhythm & blues il rock, il pop. Abbiamo voluto evidenziare, pur generalizzando, la prima parte della sua vita, perché quella vissuta da Chicago in poi è la più conosciuta, ampliata attraverso le sue registrazioni, recensioni, articoli, interviste, scritti vari, filmati, figli, tanti quelli musicalmente parlando. Ci ha pensato la benemerita Shake Edizioni, con l’ottima traduzione in italiano, a ripubblicare il più qualificato libro su Muddy Waters, relegato da anni nella lista, fuori catalogo. Si tratta di, Can’t Be Satisfied: The Life and Times Of Muddy Waters, di Robert Gordon, qui eccellente cesellatore di un appagante quadro sul, sindaco del blues (uno dei tanti appellativi su Muddy). L’autore, oltre ad una scrittura fluente, non ha mancato di completarlo con approfondite fonti, note, la discografia e la bibliografia.
Muddy Waters fu uno degli ospiti del film, The Last Waltz della, The Band. Dr. John dichiarò: avrei proprio voluto che girassero durante la prova di Muddy Waters, e che qualcuno filmasse tutti i chitarristi che c’erano in quella stanza mentre guardavano a bocca aperta Muddy che suonava, Nine Below Zero. Erano riuniti lì un bel po’ di grandi chitarristi, Robbie Robertson, Eric Clapton, Bob Dylan, Neil Young, Stephen Stills, e per me l’espressione sulle loro facce valeva da sola il prezzo del biglietto!
“Muddy era come una carta geografica, era lui la chiave di tutto” (dalla prefazione di Keith Richards)
Silvano Brambilla
Tagged blues, Muddy Waters, Robert Gordon