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Recensioni

Bergamo Jazz, Teatro Donizetti e altri luoghi, Bergamo, 17, 18 e 19 marzo 2022

21 marzo 2022 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.teatrodonizetti.it

Foto 1, 2, 5, 6, 7, 8 (c) Rossetti

Foto 3, 4 (c) Gamba

Foto 9 (c) Michael Wilson dal sito di Bergamo Jazz

Giovedì 17 marzo 2022

Bergamo Jazz, giunto alla sua 43a edizione e con Maria Pia De Vito direttrice artistica, si è aperto con la pianista greca Tania Giannouli, ospitata nel teatro della chiesa di Sant’Andrea. La scelta della solista ci aveva colpito favorevolmente: dopo avere parlato con lei a jazzahead! nel 2018 abbiamo seguito la sua produzione discografica che abbiamo recensito su queste pagine. A Bergamo si è presentata con un recital per piano solo. Un’ora abbondante di flusso musicale dove si sono ascoltate le sirene della sua terra, sia quelle più melodiche, sia altre che ricordavano momenti di danza. Tania Giannouli aveva anche parzialmente preparato le corde del pianoforte. che in alcuni momenti ha suonato come se fossero quelle di un’arpa. Una vocazione dunque mediterranea, ma pienamente inserita in un linguaggio jazz maturo di matrice europea che la sta vedendo come protagonista emergente.

Al Teatro Sociale è andato in scena uno degli appuntamenti più attesi del festival, quello con il pianista di New York City Vijay Iyer e il suo trio, formato da Matt Brewer al contrabbasso e da Jeremy Dutton alla batteria. Iyer, la cui ultima incisione Uneasy è stata pubblicata da Ecm, ha puntato il suo repertorio sulla tecnica coinvolgendo due musicisti che hanno la stessa attitudine in questo senso. Melodia aperta e virtuosismo convivono nelle composizioni con passaggi che possono presentare dei pianissimi (Dutton straordinario nel renderli sulla batteria) che nel giro di poche battute possono arrivare a sonorità quasi epiche. Un set intenso che si è concluso con un omaggio a Stevie Wonder.

Il set successivo ha visto come protagonisti Roberto Gatto alla batteria e il quartetto formato da Alessandro Lanzoni al pianoforte, Alessandro Presti alla tromba e Matteo Bortone al contrabasso. La prima sensazione è stata quella di aver ritrovato sonorità più solari e che hanno tratto spunto prevalentemente dall’album My secret place del 2021. Lo stile di Gatto unisce concretezza al divertimento coinvolgendo in questo i suoi musicisti, anche dal punto di vista creativo. Il siciliano Presti presenta una personalità sempre più forte, così come Lanzoni è un pianista la cui esperienza lo pone al servizio del quartetto mettendo in mostra la sua vocazione solita. Bortone, infine, è un solido collega di ritmica del leader. Tra i brani del disco eseguiti ricordiamo Satie’s Mood, Rambler, Light Spin, oltre a Monaco, brano nuovissimo di Presti e l’omaggio a Max Roach di Duke Ellington dal titolo A Little Max.

Venerdì 18 marzo 2022

La figura di Jakob Bro è ben nota agli appassionati di jazz scandinavo. Il suo suono è molto riconoscibile anche perché punta su una ricerca molto accurata più che alla consueta alternanza tra momenti melodici e virtuosistici. All’Auditorium di Piazza della Libertà si è presentato in trio insieme al trombettista norvegese Arve Henriksen e al batterista spagnolo Jorge Rossy. Se volessimo definire una musica che viene dal nord, forse è proprio quella del progetto (reperibile discograficamente in Uma Elmo inciso per Ecm). Note lunghe intervallate da cellule musicali evidenziate anche dall’uso sapiente dell’elettronica di Henriksen, mentre Rossy accarezza piatti e tamburi seguendo costantemente il lavoro sulle corde di Bro. Note che sembrano di ghiaccio, ma alle quali non manca il giusto calore per scaldare il pubblico.

Un Teatro Donizetti pieno di pubblico ha salutato un doppio set molto invitante sulla carta, e che non ha deluso le aspettative. Specialmente il primo dei due appuntamenti, quello che ha visto il trio del pianista Fred Hersch ospitare Enrico Rava. La caratteristica principale di Hersch è un tocco elegante che rispetta sia la melodia del brano, sia il lavoro insieme agli altri musicisti. Che in questo caso erano il contrabbassista Drew Gress e il batterista Joey Baron, il cui temperamento tendente all’invenzione è stato tenuto un po’ a bada dalla dimensione trio. In questo contesto Rava è stato accolto con il tappeto rosso: brani come Manavia, You, lo standard Getting Sentimental Over You hanno dimostrato grande fluidità e intesa. Fuori programma destinato ai soli Hersch e Rava con un omaggio a Tom Jobim e al suo splendido ritratto in bianco e nero.

Il batterista californiano Jeff Ballard ha così introdotto il suo progetto Fairgrounds 2022: vecchi amici, nuovo gruppo che ha suonato insieme per la prima volta durante il sound check. In questo caso Ballard ha mostrato la sua classe nella gestione del ritmo e delle sonorità, ma ha saputo lasciare spazio adeguato ai colleghi più giovani: Logan Richardson al sax alto, Charles Altura alla chitarra (sottolineiamo la sua cantabilità unita al virtuosismo) e Joe Sanders al contrabbasso. Un quartetto che può evolvere ancora e che ci è piaciuto nella riproposta di Chronology di Ornette Coleman, o nel pezzo scritto per Ballard dal pianista argentino Guillermo Klein.

Sabato 19 marzo

Punk, Jazz, avanguardia, Blues. La chitarrista elettrica Ava Mendoza ha presentato un set basato su una lunga sequela di suoni in un luogo insolito come l’Accademia Carrara. Ma il volume del suo suono e il suo stile si è trovato a suo agio anche in una sala di una galleria d’arte storica. Mendoza, nella sua lunga sequenza, ha mostrato come la sua chitarrra potesse cantare con gli accordi e gli effetti della pedaliera. Un Wall of Sound dove si percepisce chiaramente il suo concetto originale di melodia: per fare alcuni nomi, è come se Nels Cline avesse studiato Jimi Hendrix. Abbiamo apprezzato particolarmente il suo finale (e anche il fuori programma) dedicato al blues come se fosse un ritorno a casa e a un genere da cui nasce la grande musica popolare.

Inner Hidden è il progetto in quintetto del violinista e compositore francese Régis Huby. Una formazione con artisti di varie provenienze: il batterista italiano Michele Rabbia, il trombettista inglese Tom Arthurs, il chitarrista norvegese Eivind Aarset e il contrabbassista transalpino Claude Tchamitchian. A quattro elementi su cinque inoltre è affidata l’elettronica per una suite dove elementi di grande liricità, affidati prevalentemente alla tromba,  sono affiancati da altri in cui entrano in gioco momenti legati alla tecnica e alla prassi quasi cameristica del quintetto. Ci fa piacere ricordare come Rabbia abbia utilizzato per la sua elettronica suoni di oggetti come metronomo, sassi, accendiigas. Un progetto intellettuale e raffinato, la cui durata potrebbe essere limitata di qualche minuto per essere maggiormente apprezzato dal pubblico.

I biglietti del concerto erano esauriti. Non poteva essere altrimenti per uno dei pianisti più amati della scena jazz internazionale. Brad Mehldau, salito sul palco del Teatro Donizetti, ha proposto un programma basato sul trattamento della forma canzone. Una prassi spesso seguita da altri musicisti (in Italia lo fa egregiamente Danilo Rea) per cercare nel repertorio pop la possibilità di far nascere e consolidare nuovi standard. Una scelta ovvia, se si parla di songbook anglosassone, è quella di rivolgersi al repertorio dei Beatles. Mehldau però ha selezionato brani meno frequentati del quartetto di Liverpool: la visionaria I am The Walrus, Your Mother Should Know, She Said, e Golden Slumbers. Quest’ultima, che fa parte di Abbey Road e che nell’originale è di durata breve, è generalmente percepita senza sosta insieme a Carry That Weight, così come viene proposta nel disco. Mehldau invece la esegue più volta arricchendola di note e armonie per poi seguire il percorso inverso. Ma il songbook ha toccato altri autori come Nei Young (Old Man), David Bowie (Life on Mars), Radiohead oltre ai classici Cole Porter e Chico Buarque, la cui Bossa Brasileira è l’unico momento latino del programma. Infine il pianista esegue anche se stesso con brani come In the Kitchen. Mehldau ha la sua forza nel tocco speciale di derivazione classica con cui riesce a valorizzare ogni brano, con la prassi jazz che si concentra sulla sua parte centrale. Il pianista ha tenuto il palco per un’ora e quaranta in un concerto forse non rivolto ai puristi del jazz. ma agli appassionati tout court che trovano nel jazz un modo per esprimere la bellezza.

Michele Manzotti

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