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Foto 2 (c) Alessia Santambrogio
Una storia difficile da trattare che diventa il soggetto di un’opera lirica. La vicenda della sudtirolese Viktoria Savs è infatti controversa, perché parla di una giovane che combatte contro gli italiani travestita da uomo, perde una gamba in battaglia e negli anni Trenta aderisce al nazionalsocialismo. Per alcuni è stata un’icona ma per altri i suoi meriti non rispondono al suo reale impegno politico. Toteis è un lavoro di teatro in musica che parla proprio di questo personaggio senza retorica né giudizi, ma con un linguaggio di grande efficacia drammaturgico-musicale. L’opera, con musica di Manuela Kerer su libretto di Martin Plattner, è andata in scena a Bolzano a cura della Fondazione Haydn Stiftung nell’ambito della rassegna Oper’A Festival / Larger Than Life. Un allestimento in prima italiana con la regia di Mirella Weingarten e la direzione di Walter Kobéra. Di Toteis parliamo con Kerer, compositrice nata a Bressanone.
La prima domanda riguarda il lavoro con il librettista per raccontare un argomento tutt’altro che semplice.
Non conoscevo Plattner e quando l’ho incontrato è nata subito la giusta empatia e un senso di comunità che è necessario per collaborare in modo stretto. Io non volevo un libretto finito, perché preferivo confrontarmi con un autore che fosse vivo e in attività. Tra l’altro per Plattner era la prima volta di un’opera lirica e a volte ha dovuto tagliare alcune parti. Però il fatto positivo era che ci scambiavamo le nostre osservazioni, poi ognuno tornava nella propria stanza e faceva le variazioni richieste che poi venivano messe a confronto.
Dopo lo spettacolo è rimasta la sensazione che la regia abbia avuto un rapporto più stretto del solito con la musica.
Con Weingarten c’erano già stati incontri in passato, ma grazie al lavoro su Toteis siamo diventate anche molto amiche. Lei in questo allestimento ha messo a disposizione tutta la sua passione, oltre che la sua arte.
Nell’introduzione all’opera lei ha parlato della ricerca di un suono particolare, non solo con la contemporaneità, ma anche con i violini che dovevano raschiare. Questa è una sonorità che si trova in forme popolari come il folk romagnolo, quello delle isole britanniche e del bluegrass americano. Quanto è stata ispirata dalla tradizione popolare?
Parte della mia storia familiare è legata proprio a questa tradizione: nell’opera ho ripreso e modificato uno jodel composto da mio bisnonno che era di madrelingua ladina. Le sue composizioni e altri canti della mia terra erano spesso eseguiti a casa. Ho voluto anche inserire la danza degli Schuhplattler e dare un ruolo importante alle percussioni.
A proposito degli Schuhplattler, i loro colpi durante il ballo hanno dato l’impressione di essere scritti in partitura grazie alla loro regolarità ritmica.
E’ vero, ma c’è stato un cambiamento rispetto alla mia idea originaria in cui dovevano comparire una volta sola. Invece Weingarten ha suggerito una seconda presenza dei danzatori, ma con il ritmo più rallentato.
Lei ha realizzato una creazione artistica basata su una storia della sua terra. Toteis è un’opera che può essere rappresentata anche in altri teatri?
C’è un’ambientazione storico-geografica precisa, ma il messaggio è universale. Basta aprire un giornale e purtroppo si legge della guerra e della sua drammaticità, un contesto analogo a quello del 1917, in cui si svolge parte della storia. Nell’opera un ruolo importante è dato ai veterani, sin da giovane sentivo parlare di loro e del trattamento di favore nei loro confronti. Anche questa figura compare nella storia successiva ai tanti conflitti nel mondo. Grazie a questo lavoro ritengo che Toteis sia la composizione che mi ha dato maggiore soddisfazione e che mi rappresenta al meglio.
Si è trattata della sua prima opera lirica?
Quando mi sono diplomata al conservatorio di Innsbruck, ho deciso di portare proprio un’opera all’esame finale. Mi è sempre piaciuta l’idea di abbinare la musica all’elemento visivo. Ho anche scritto opere sperimentali per un festival di Monaco dedicato ai lavori contemporanei dove alcune persone lungo le scale facevano suoni con gli spazzolini da denti. Ma anche quando si compone un quartetto d’archi si lavora pensando ai gesti degli esecutori e quindi alla visione di essi da parte del pubblico.
La sua professione è spesso declinata al maschile. Ha trovato differenze di approccio durante la sua attività?
Dieci anni fa le avrei risposto che come donna ero avvantaggiata perché portatrice di sensibilità rare e quindi più interessanti. Oggi sono meno ottimista. Mi è capitato di sentirmi sotto esame da parte di esecutori e di dovere spiegare le mie idee più di quanto necessario. E nei cartelloni dei festival i compositori uomini restano la maggioranza.
Michele Manzotti
Tagged Bolzano, Manuela Kerer, Musica contemporanea