Ci troviamo negli studi della WJAZ e l’istantanea ferma l’orologio alle 4.09 del mattino in una non meglio precisata località della Lousiana, presumibilmente nelle vicinanze di Baton Rouge alle pendici del Mt Belzoni.
Lester “The Nightfly” accende l’ennesima Chesterfield King e fa compagnia a qualche anima insonne parlando nel suo microfono RCA 77DX con il sottofondo delle note di Sonny Rollins il cui “Sonny Rollins and the Contemporary Leaders” del 1958, gira su quello che probabilmente è un giradischi RCA degli anni 50 su cui è montato un braccio Para-Flux A-16.
Precisamente 40 anni fa, dopo otto mesi di scrittura ed un anno passato in studio di registrazione, veniva pubblicato “The Nightfly” primo album solista di Donald Fagen e la domanda che ci si pone oggi è su che cosa ancora si potrebbe mai scrivere su questo disco e su cosa possiamo ancora trovare nel suo ascolto.
Il compito non è per niente facile perché quando un disco diventa così diffuso e di culto, è fisiologico che esso venga studiato in ogni suo minimo aspetto: le singole tracce, i testi, i musicisti, la copertina, le note del disco, la storia personale dell’autore, gli aneddoti e le confidenze di qualche session man dell’epoca.
Ogni cosa di questo disco è stata passata al microscopio.
A tutt’oggi, se fate un giro per i tantissimi forum di audiofili sparsi per il mondo, una delle domande che ciclicamente viene fatta è “ma qual è il modello di giradischi presente sulla copertina di the Nightflly?”.
Quarant’anni in cui si è analizzato ogni singolo accordo di Larry Carlton, si è passato al setaccio ogni passaggio di Jeff Porcaro ed ancora si litiga su chi sia stato il migliore bassista tra Will Lee, Marcus Miller, Anthony Jackson e Chuck Rainey.
Otto canzoni rigorosamente divise in quattro canzoni per lato perché nel vecchio mondo c’era una logica precisa sul come cominciare e terminare ogni singola facciata e non è un caso, quindi, che la prima facciata si apra con quella IGY che lo stesso Donald Fagen descrive come “la visione del futuro di un bambino con la tecnologia che risolve i problemi del mondo, un futuro splendente”, per poi terminare con la struggente Maxine.
Così come non è un caso che la seconda facciata si apra con l’upbeat tempo di New Frontier in cui si raccontano i desideri di un giovane nerd appassionato di Brubeck, per poi terminare con Walk Between the Raindrops.
Otto canzoni, che ancora oggi hanno l’agilità di scivolare via come singoli fotogrammi di un unico film nel quale Fagen torna indietro negli anni in cui, come egli stesso racconta, “Vivevo a circa 50 miglia fuori New York City in una di quelle file di case prefabbricate che sembrano tutte uguali. Era un ambiente blando. Una delle mie uniche vie di fuga erano i programmi radiofonici a tarda notte trasmessi da Manhattan: jazz e rhythm and blues. Per me i disc jockey erano figure molto romantiche e colorate e l’intera cultura hipster sembrava molto più vitale per un bambino che viveva in periferia come me”
Ebbene sì, un unico film perché ciò che si celebra oggi è l’anniversario di un disco le cui suggestioni rappresentano la miglior versione musicale di quel capolavoro che è American Graffiti: ode alla gioventù perduta ed agli anni in cui tutto sembra possibile, The Nightfly è un film in cui Donald Fagen torna alla sua giovinezza con un racconto musicale che inneggia a ciò che lui è stato ed a ciò che di riflesso ognuno di noi è stato quando sembrava possibile essere eternamente liberi e giovani e poter camminare sotto le gocce di pioggia senza bagnarci. Il tutto narrato senza nostalgia ma con il disincanto di chi sa bene ciò che poi è stato a lui ed a tutti noi portato via dall’età adulta.
Quella perdita dell’innocenza di Lester the Nightfly che tra le rime ammette di voler avere un cuore di ghiaccio che è la stessa del giovane Curt (Richard Dreyfuss) di American Graffiti quando scopre che dietro la voce del mitico Wolfman Jack si nasconde un signore di mezz’età che passa le notti dietro un microfono a mangiare ghiaccioli nell’America di fine anni 50.
Quell’America che come nazione, di lì a poco avrebbe anche lei definitivamente perso l’innocenza prima a Dallas e poi nel Vietnam.
Cosa quindi ci attira ancora oggi in questo disco, cosa ci tiene inchiodati a vedere per l’ennesima volta questo film in tutti i suoi fotogrammi? Nell’approcciare una tematica così particolare, viene in mente quel sentimento per il quale i tedeschi hanno una parola ben precisa, Sehnsucht, con la quale definiscono la mancanza o la nostalgia di qualcosa che non abbiamo mai vissuto ma che ci pervade e ci affascina proprio per la sua indeterminatezza e ne avremmo ben donde ad usare questo termine visto che in fondo la nostra storia personale è sicuramente ben diversa da quella di Fagen e del suo alter ego Lester. Ma l’artificio narrativo che viene usato in questo album è strumentale per cristallizzare proprio quel momento che tutti noi abbiamo vissuto, quel momento in cui tutto ci sembra finalmente chiaro e limpido ed allo stesso tempo ormai perduto.
Ecco la sua attualità, ecco il suo fascino immutato.
Ecco perché ancora oggi, primo ottobre 2022, abbiamo sospeso per un attimo le nostre cose, preso il vinile e ci siamo ritrovati di nuovo tutti lì, negli studi della WJAZ con l’orologio alle 4.09 del mattino in una non meglio precisata località della Lousiana, presumibilmente nelle vicinanze di Baton Rouge alle pendici del Mt Belzoni.
Lester “The Nightfly” ha acceso l’ennesima Chesterfield King e fa compagnia a qualche anima insonne parlando nel suo microfono RCA 77DX con il sottofondo delle note di Sonny Rollins il cui “Sonny Rollins and the Contemporary Leaders” del 1958, gira su quello che probabilmente è un giradischi RCA degli anni 50 su cui è montato un braccio Para-Flux A-16.
Giovanni de Liguori