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Esordio discografico dello scrittore e autore fiorentino Michele Mingrone, già chitarrista degli Scaramouche. “La grande notte” è un album con 12 canzoni tra rock, western e folk. La produzione artistica è di Don Antonio Gramentieri (che ha suonato anche le chitarre) e la preziosa collaborazione di ottimi musicisti tra cui Michele Lombardi (Scaramouche) coautore e voce in due brani, Francesco Fry Moneti (violino, banjo, mandolino, Irish bouzouki) dei Modena City Ramblers, Elisa Barducci, Caterina Scardillo, Sara Vettori (Auge), Diego Sapignoli ( batteria, percussioni, marimba) dei Sacri Cuori e Gang , Fabio Pocci ( basso, pedal basso, chitarre, arrangiamenti) dei Phomea. In apertura “Poteva essere più semplice” (“Ci siamo per per strada, senza più un porto sicuro, tra nostalgie di passato e distopie del futuro”) con chitarra acustica e feedback elettrici alla Neil Young che ci portano al blues polveroso con chitarra acida e banjo di “Figli del grano” (“E intanto i figli del grano cantano in lontananza, versano sangue perché il raccolto cresca in abbondanza”). Un’atmosfera western con slide e violino tratteggia “In cammino”, echi orientali si trovano in “Babilonia” (“Abbandonami alla porta di Ishtar, in preda alla sindrome di Stendhal, ci rivedremo a Tangeri se Dio lo vorrà, Babilonia la grande declina sotto le bombe americane, come sempre dai tempi dell’Iraq lo sappiamo che finisce male”). Un bell’intreccio tra l’arpeggio di chitarra elettrica e il basso caratterizzano “Ombre del mare” (“C’era chi cercava i capodogli a Nantucket e chi racimolava spicci ad Aci Trezza, tutti uniti dal ritorno che era una carezza e una terra ferma a cui doversi riabituare”), la successiva “Palazzo di vetro” (“Qui ormai pietà l’è morta, ma va tutto bene, il tribunale dei buoni forgia le catene fatte di fango e miele”) è quasi una danza mistica di grande impatto. Torna il violino in “Castiglioncello” (“E mi salva il mare di Castiglioncello dove il passato non è scivolato via, come la sabbia aliena delle spiagge bianche, il tempo qui è al servizio della nostalgia”) pezzo nostalgico con una bella melodia, “Periferia” (“Come mai le storie dell’orrore vengono così bene nella periferia, come mai anche le storie d’amore sembrano più reali, sembrano più a colori”) invece è più sporca e cupa. “La peste scarlatta” (“Mi ricordo che li chiamavamo abbracci, quei contatti malsani, un poco disumani, per fortuna era solo moda passeggera, siamo presto tornati ai più sani saluti romani”) ha sapori etnici, le parole di Peppino Impastato vengono declamate da Caterina Scardillo sul tappeto di chitarra elettrica e violino in “Lunga è la notte”. Bordate di elettronica, intrecci vocali colorano “Chi illumina la grande notte?” (“Chi illumina la grande notte? Quali squarci di luce saneranno il dolore, quanto tempo deve ancora passare? Quanto manca ancora a chiudere le bare? Quanto per uscire al sole?”), un’interessante versione italiana di “Jolene” (scritta da Dolly Parton nel 1973) chiude il disco. Mingrone ci offre una scrittura viva e potente sopra ad arrangiamenti sanguinanti e incisivi. È Urgente, anzi urgentissimo l’ascolto di questo album necessario e affascinante, una cartolina cruda e spietata dei nostri tempi.
Marco Sonaglia
Tracklist
Poteva essere più semplice
Figli del grano
In cammino
Babilonia
Ombre del mare (la tempesta perfetta)
Palazzo di vetro
Castiglioncello
Periferia
La peste scarlatta
Lunga è la notte
Chi illumina la grande notte?
Jolene (bonus track)
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