Bobby Rush - Blue Note Milano (1 Giugno)
Robert Cray - Santeria Milano (4 Giugno)
Qualcuno forse si chiederà, perché un solo report per due concerti? Non hanno suonato nella stessa sera. Cosa hanno in comune i due artisti? Abbiamo pensato di accumunarli perché: a distanza di qualche giorno sono passati da Milano; perché entrambi, in anni differenti, hanno suonato al Blue Note; perché con i loro concerti ravvicinati avevamo fatto un pensiero di quando nella suddetta città i concerti di bluesman neroamericani erano frequenti, e perché, pur con atteggiamenti diversi, sono eccellenti esponenti di una musicalità black non circoscritta solo al blues ma colorata anche di soul e funk. In ordine di apparizione iniziamo da Bobby Rush, per la prima volta a Milano al Blue Note lo scorso 1 giugno. Nel famoso locale, al secondo set lo ha accolto un pubblico formato anche da giovani, carpiti come tutti, da un novantenne ancora in piena forma tanto da stare sul palco oltre due ore in versione solista, voce, chitarra e un po’ di armonica, situazione già ascoltata in alcuni suoi dischi. Con pochi e ripetuti fraseggi ha iniziato con un personale cammino dentro la tradizione blues con delle cover, da “Blues With a Feeling” a “Last Night”, a “Swing Low Sweet Chariot” a “Shake It For Me”.
Si alterna fra il bluesman e lo storyteller, ne avrebbe da dire sulla sua vita, sulla musica, su come va il mondo, dice che è più vecchio di Buddy Guy, che potrebbe essere l’ultima volta che lo vediamo e che è tra gli ultimi autentici bluesman, dichiarazione questa di assoluta verità che sta anche nelle riproposizioni di “Good Morning Little Schoolgirl”, nella personalissima “Get Back”, nella divertente confessione “I Got Three Problems” (i tre problemi sono, la moglie, l’amante e la sua donna). Non ne vuol sapere di finire il concerto, chiama sul palco la sua accompagnatrice/cantante/ showgirl della sua band, Mizz Love, per un paio di pezzi che in verità hanno poco peso sul risultato, ma è fra lui e il pubblico che si è creata una complicità non scalfita nemmeno da qualche incomprensione linguistica, come il simpatico momento dove ha chiesto se c’è qualcuno che suona, trovando risposta in due giovani che, presumibilmente fanno parte di una band, con i quali ha cantato e fatto suonare l’armonica. Siamo rimasti colpiti dalla sua inesauribile forza comunicativa e dalla sua sincerità, “quando mi ascoltate sono solo me stesso”. Non rimane che dirgli, grazie Mister Bobby Rush!
L’ultima volta di Robert Cray a Milano è stato il 2015 al Blue Note. Lo scorso 4 giugno è tornato, unica data in Italia, alla Santeria. Puntuale, con i musicisti che formano il combo che lo accompagna da anni fra dischi e concerti, Dover Weinberg tastiere, Les Falconer batteria e Richard Cousins basso, che si riveleranno fondamentali nella riuscita anche del concerto milanese, Cray appare con un pezzo in sottofondo di O.V. Wright, uno dei suoi soulmen preferiti. Da sempre non è certo uno che si dilunga a interloquire col pubblico, preferisce concedersi con la musica, iniziando da “Anything You Want”, dal suo fin ora ultimo disco di qualche anno fa, pezzo che è già un palese segnale di un complesso di elementi vocali/strumentali personalissimi. Il suo canto ha sempre quelle variegate sfumature soul, da quelle più decise, a quelle enfatiche, a quelle più qualitativamente orecchiabili, mentre con la chitarra non tende mai al virtuosismo autocelebrativo, ma a produrre groove sia con pennate ritmiche che soliste per completare l’espressività del pezzo che sta eseguendo, “You Can’t Make Me Change”, “Poor Johnny”.
Ha ricordato più volte i nomi dei musicisti della band per tributargli applausi per l’esemplare supporto mai sopra le righe e sempre pertinente alle sonorità di Robert Cray, ottimo anche nelle ballad, altro suo punto forte, “You Had My Heart”, “I Can’t Fall”. Due solo le cover che ha ripreso lontane dalla consuetudine, “Sitting On Top Of The World” e “You Must Believe in Yourself” di O.V. Wright. Gli applausi ininterrotti lo hanno riportato sul palco per due bis, “Phone Booth” e “Time Makes Two”. Ci ricorderemo a lungo di questo concerto anche per essere stati testimoni di una delle migliori interpretazioni di quell’irresistibile amalgama soul/blues.
Silvano Brambilla
Foto di Matteo Bossi
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