Ogni serio amante del Blues conosce sicuramente Arhoolie Records, e magari più vagamente il nome di Chris Strachwitz, che di questa etichetta fu fondatore nel 1960 e proprietario. Nel catalogo Arhoolie potete trovare vere perle rare, incisioni di Mance Lipscomb, Doctor Isaiah Ross, Big Mama Thorton, Fred McDowell, Juke Boy Bonner, Charlie Musselwhite, Clifton Chenier, Tom MacFarland (chitarrista cantante di Oakland di valore) per citarne solo alcuni. Nato in Germania da famiglia nobile e cresciuto nel Terzo Reich, Chris si ritrovò immigrante negli States a fine anni 40 e quasi subito si immedesimò nella cultura afro-americana, girando attraverso contrade remote per registrare artisti più o meno improvvisati in studi altrettanto improbabili. Non dovette esser facile, lui tedesco di Germania biondo e alto, in un contesto razziale assai teso, bussare a porte di casupole rurali e convincere persone giustamente riluttanti a interagire con un bianco, a fargli ascoltare la loro musica. Altrettanto difficile e pericoloso relazionarsi con la comunità bianca locale. Ma così fu, e Strachwitz va iscritto, ad honorem, a quella ristrettissima cerchia di musicologi-produttori, da Alan Lomax a quello che sarebbe stato il suo ispiratore ossia Moses Asch, immigrato pure lui, della Folkways Records, altra etichetta mitica delle radici della musica Americana. Il suo orizzonte, come si deve a questo tipo di personaggi, svariava in tutto l’arco della roots music, dal cajun allo zydeco, alla musica della frontiera messicana, volgarmente detto Tex-Mex. Fotografo, scrittore, regista ma anche proprietario di un negozio di dischi, il Down Home Records Store, in El Cerrito, California. Nei suoi archivi è conservata anche molta roots music non americana. Nel 2016, Strachwitz vendette il catalogo Arhoolie allo Smithsonian Folkways assicurandone la perpetuità, già solida con la creazione della Arhoolie Fundation. È consigliato leggere Arhoolie Records’ Down Home Music: the Photographs and Stories of Chris Strachwitz per immergersi in questa straordinaria avventura, terminata con la morte di Strachwitz a maggio 2023, a Marin County, California. Il brutto è che, oggigiorno, una storia come quella di Strachwitz, sarebbe difficilmente riproducibile, non tanto per la sua unicità, ma per le differenti condizioni economiche del mercato musicale. Troppa Mouse-music, avrebbe detto Chris.
“… Quando i vagoni lasciano la città / per la foresta e ancora più in là / vagoni colorati nella mattina / strade polverose dove hanno camminato / Talvolta viaggiando attraverso l’oscurità ….” Forse la traduzione in Italiano rende poco riconoscibile una delle canzoni più famose del rock-blues inglese degl’anni 70: Theme for an imaginary western, che artisti famosi come Jack Bruce e i Colosseum suonavano regolarmente, ma in verità scritta da un poeta inglese di nome Pete Brown. Una canzone di grande lirismo, forse un po’ troppo enfatica, suonata da musicisti del British Blues. Poeta è dir poco, cantante, musicista, un artista versatile che tentò, con la First Real Poetry Band, nella quale suonavano John McLaughlin e Ginger Baker, di unire poesia e ritmo, jazz, blues e liriche stravolte dalla droga e dall’alcool, come usava all’epoca. Dopo aver collaborato coi Cream sui testi di canzoni immortali come White Room, Sunshine of your Love e I Feel Free, lavorò con Jack Bruce su tre album fondamentali come Song for a Taylor, Harmony Row e Into the Storm. Il solidalizio-amicizia Bruce-Brown, che durò fino alla morte del bassista scozzese, diventò il simbolo di una musica senza etichette, calata in una atmosfera visionaria, quella dei poeti beat come Ginsberg e Ferlinghetti. Brown ha inseguito con pervicacia una carriera da cantante in molti progetti falliti rapidamente, spesso in compagnia con un altro eccentrico di vaglia, il talentuoso Graham Bond che lo incoraggiò a proseguire la sua carriera di cantante, e Dick Heckstall-Smith, altro pezzo da novanta del Jazz britannico, noto anche per la sua partecipazione ai Colosseum. Forse Brown, anche lui passato a miglior vita nel 2023, non è riuscito a realizzare compiutamente i suoi sogni, ma resta una figura assolutamente unica nel panorama del British Blues.
Luca Lupoli