Paul Weller - Roma, Auditorium Parco della Musica 22/09/2023
Una pioggia leggera accoglie il concerto di romano di Paul Weller causando qualche ulteriore preoccupazione data anche la previsione di grandine e dopo che gli affezionati avevano già subito un paio di rinvii causa Covid. Così non è stato: la pioggia ha avuto clemenza fermandosi a qualche goccia e permettendo così ad uno degli esponenti più rappresentativi e longevi di quel 1977 che tanto sconvolse il panorama musicale dell’epoca, già stagnante e bisognoso di nuove prospettive, di esibirsi in una rivista dei suoi momenti più celebri del passato e in ottime composizioni più recenti. Mod? Punk? Weller è semplicemente un grande autore della sua generazione che in gran parte si è infranta all’alba dei novanta lasciando pochi nomi sul tappeto. Tra i pochi a rimanere in primo piano sempre Weller ha da tempo messo su una fidata band composta da Steve Cradock alla chitarra, Jacko Peake sax e flauto traverso, Andy Lewis al basso, Steve Pilgrim alla batteria, Andy ‘Crofty’ Crofts alle tastiere, Ben Gordelier alle percussioni che lo accompagnano mantenendo un sound compatto e senza sbavature.
Dopo l’introduttiva Cosmic Fingers, il primo brano che arriva dal passato remoto è My Ever Changing Moods dal repertorio degli Style Council. Da qui in poi Weller si specchia nella sua concezione della musica, un misto di influenze R’n’B, soul, rock targato Who/Beatles, la serie di canzoni proposte mostra un’eccezionale fluidità ed è un racconto di idee, riflessioni che lo mettono all’altezza dei grandi autori da lui più o meno indirettamente citati. Un nome che viene in mente è quello di George Harrison, non solo per la chiara citazione di Taxman nel brano dei Jam Start! qui riproposto in una precisa esecuzione, ma anche in altri momenti del concerto ricongiungendosi a lui nel nome dell’amore per il soul e per i suoni alla Phil Spector che culminano nell’eclatante Shout To The Top sempre dal repertorio degli Style Council. Ovviamente Weller ha anche altre espressioni del suo essere ‘in arte‘ da mostrare: dalla ancora inedita Jumble Queen che annuncia con sentito orgoglio a Wild Wood con i suoi echi che ricordano i Traffic di Steve Winwood. Un sapere enciclopedico della musica rock che viene riproposto con grande sapienza compositiva senza rubare nulla agli originali ma anzi tributando loro il giusto posto nella sua anima. Il concerto vede un finale dove non si può non citare “That’s Entertainment “vera e propria gemma del suo sterminato ormai songbook che risale a Sound Affects dei Jam e quello che fu il brano che preludeva al suo “favourite shop“, un caleidoscopio di suoni che ancora oggi contraddistingue le sue canzoni: Town Called Malice. A quel punto anche la pioggia non poteva insistere.
Ugo Coccia
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