(Decca Records)
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Imelda Mary Clabby (in arte Imelda May) può essere considerata a pieno titolo una sorta di principessa, in quella scena musicale britannica molto legata al revival del rock’n roll e rockabilly. La sua grinta irlandese ed una voce formidabile le sono valse illustri collaborazioni con nomi come Jeff Beck, Mike Sanchez, e altri. Eppure si poteva facilmente intuire – quantomeno dalla sua spiccata intelligenza ed ironia – che dietro il ciuffo ribelle e l’appariscente abbigliamento si nascondesse qualcosa di più profondo e personale. Un carattere artistico ed umano che viene fuori pienamente nel recentissimo “Life. Love. Flesh. Blood”: un lavoro che prende le mosse da una crisi affettiva forte a cui è seguito un periodo di profondo smarrimento e riflessione su di sé e la propria femminilità. Smessi quindi i panni ormai improbabili di una “rockabilly queen”, la May ha tirato fuori un disco incisivo e coinvolgente, impreziosito dalla qualità dei musicisti presenti (alla chitarra ritroviamo con piacere lo straordinario Marc Ribot) e la produzione sagace di T-Bone Burnett. Si comincia con il primo singolo pubblicato: “Call Me” è una ballata tra soul e pop godibile ma relativamente canonica, che si distingue quasi esclusivamente per il cantato della May e non rende piena giustizia alla sua capacità di scrittura. Ogni timore di una ipotetica svolta commerciale viene fugato dalle tracce successive, come la vintage ballad “Black Tears” (graziata da un breve ma stupefacente contributo di Jeff Beck alla chitarra) il piccolo capolavoro melodico “Should’ve Been You”, la conturbante “Sixth Sense” – splendida nel suo andamento noir. Si procede con un alternarsi di avvincenti ballate (davvero ammaliante “Levitate”) e movimenti più trascinanti, con un suono complessivo in cui le sonorità che hanno accompagnato la musicista di Dublino per anni ritrovano nuova linfa. “Life. Love. Flesh. Blood” è un lavoro affascinante, emotivamente disarmante: 11 brani, ognuno un atto di confessione in cui istinto, calore e cura autoriale vanno quasi sempre perfettamente a braccetto. Noi che non ci siamo mai ripresi veramente dalla scomparsa tragica di Amy Winehouse, con Imelda May potremmo forse sentirci un pochino meno soli.
Pietro Rubino
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