Tenere con il fiato sospeso per quasi due ore e mezzo una platea di 50.000 persone, armato di una chitarra e poco altro, non è una sfida che tutti riuscirebbero a portare a termine. Eddie Vedder ce l’ha fatta, sfoderando di fronte al pubblico della seconda serata del Firenze Rocks Festival una carica formidabile di passione, energia e sincerità.
Forse proprio su quest’ultimo aggettivo vale la pena soffermarsi: lo storico leader dei Pearl Jam si è presentato al pubblico senza filtri, a tratti senza nascondere l’emozione, creando un filo comunicativo diretto e autentico con una schiera così numerosa di fan da rendere irripetibile l’atmosfera della serata.
Vedder ha esordito dichiarando, in Italiano, di non aver mai suonato da solo di fronte ad un pubblico così vasto e che una cosa del genere poteva succedere solo in Italia.
Nel set hanno trovato spazio riuscitissime versioni acustiche di brani dei Pearl Jam, dall’apertura con Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town fino a Wishlist, Sometimes, Porch.
Fin dal primo quarto di scaletta non ha risparmiato le cover. Sono state tante nel corso della serata, tutte segnate dalla totale assenza di paura di confrontarsi con i classici. Trouble di Cat Stevens, Brain Damage dei Pink Floyd e poi, più avanti nel set, un’ emozionante The Needle and The Damage Done e una Comfortably Numb eseguita all’armonium (ce n’era uno sul palco allestito solo per quel pezzo). Vedder ha iniziato quest’ultima con uno scherzoso “forse sbaglio tutto…”, ma non era certo la perfezione che interessava al pubblico (che l’artista, pur girato di spalle, in qualche modo continuava ad incitare) quanto la carica emotiva incredibile che ha saputo riversare nell’esecuzione.
Per Can’t Keep e Sleeping By Myself ha imbracciato l’ukulele. “Domani su questo palco vedrete i grandiosi System of a Down e Prophets of Rage” – ha detto riferendosi agli artisti in cartellone la sera successiva. “Per stasera, invece…. L’ukulele!”. Tuttavia, nonostante la premessa, non gli è certo mancata l’energia anche nel far vibrare il piccolo strumento hawaiano.
Su Rise ha sfoderato il mandolino, completando così la serie degli strumenti che gli sono serviti per accompagnarsi, oltre all’alternanza tra chitarra acustica ed elettrica.Non sono mancate citazioni dalla colonna sonora di Into The Wild, come Setting Forth e una bellissima Guaranteed, già per sua natura incline ad un contesto acustico.
Tra i momenti più toccanti, la sua versione di Black, nella cui presentazione ha fatto un riferimento alla scena di Seattle, ha citato i Soundgarden e il suo compagno di band Stone Gossard e ha parlato di come tutti, nella vita, attraversino delle fasi oscure. Non è stato difficile cogliere il riferimento all’amico Chris Cornell, ed è proprio su Black, dopo le parole “we belong together, come back”, che, tra gli applausi del pubblico, la voce non ha retto all’emozione.
Come se non bastasse, sull’ultima nota della cover di Imagine, in cui ha chiesto al pubblico di accompagnarlo con le luci di accendini e cellulari, una stella cadente ha solcato il cielo, tra lo stupore dei presenti. I più romantici hanno senz’altro pensato che qualcuno, dall’alto, lo stesse ringraziando per un tale tributo.
Notevole, ancora, la parentesi in cui sul palco è salito Glen Hansard. Al cantautore irlandese va una menzione speciale per come ha saputo aprire il concerto attraverso la dolcezza delle sue canzoni, altrettanto, se non più difficili, da eseguire davanti a 50.000 persone. Con Glen, Eddie ha eseguito brani come Falling Slow e Song Of Good Hope (prese in prestito proprio dal repertorio del compagno di palco), regalando su quest’ultima una camminata attraverso la vasta platea.
Gran finale con una Rockin’ In The Free world che il suo pubblico, attento e caloroso, ha accolto con tripudio. Bis con Hard Sun in cui Vedder ha svelato il ruolo del registratore a bobine che fin dall’inizio del concerto lo ha accompagnato sul palco, che oltre al contributo estetico conteneva la base su cui ha intonato il brano del saluto conclusivo.
Concerto memorabile. Un plauso speciale va anche agli organizzatori, Le Nozze di Figaro, per aver saputo portare Firenze, con eventi come questo, al centro della scena nazionale dei concerti rock.
Giulia Nuti