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Fleet Foxes – Crack-Up e il concerto di Ferrara

6 luglio 2017 by pdb in Special

Il 16 giugno scorso i Fleet Foxes hanno fatto uscire “Crack-Up”, loro ultima fatica dopo ben 6 anni di silenzio quasi assoluto. Un paio di settimane dopo si sono esibiti in Italia, nella suggestiva cornice della Piazza del Castello a Ferrara, per la presentazione del disco. L’occasione migliore per spendere qualche riga sul ritorno in grande stile di una band che ha ormai trasceso i confini del cosiddetto alt-folk, per diventare essa stessa un genere a parte.

«Crack-Up»  (Nonesuch Records)

www.nonesuch.com

www.fleetfoxes.co

“Crack-Up” è stato innegabilmente uno dei dischi più attesi degli ultimi anni in ambito indie-rock. Il percorso del sestetto di Seattle, iniziato con l’EP “Sun Giant” ed idealmente conclusosi con il formidabile “Helplessness Blues” (passando l’omonimo, altrettanto splendido “Fleet Foxes”), evidenziava una progressione stilistica continua, in cui l’influenza del folk-rock californiano dei tardi anni ’60 si contaminava via via con una miriade di altre suggestioni sonore nel segno di una distintiva sofisticatezza compositiva. Poi un lungo silenzio durato 6 anni, durante il quale si temette ad un certo punto lo scioglimento del gruppo; per nostra fortuna non si trattava dei consueti problemi di ego che quasi immancabilmente minano gli equilibri di una band, quanto del desiderio gentile del leader Robin Pecknold di prendersi una pausa ed iscriversi al college (una scelta perfettamente in linea con l’eleganza del personaggio). Già l’uscita di un primo singolo lungo ben 8 minuti ed organizzato in forma di breve suite, “Third Of May/Odaigahara” suggeriva l’avvento di un album criptico, eppure pieno di vita e di idee: come in un ideale viaggio alchemico, in “Crack-Up” le Volpi mettono un po’ da parte le chiare melodie degli inizi a favore di tessiture armoniche e sonore quasi evanescenti, tracciando le costellazioni di un universo di simboli ed allegorie spesso difficili da afferrare saldamente; allo stesso modo, costituisce un affascinante mistero la presenza su più pezzi di diverse code strumentali, a volte apparentemente incoerenti. Di certo la presenza dell’elemento sinfonico e dell’intento cinematografico sono ancora più forti che in passato, come è evidente ad esempio già nella cavalcata iniziale “I Am All That I Need/Arroyo/Thumbprint Scar”. Ma le sorprese abbondano: si percorrono oscuri giardini della mente nei quattro minuti di “Mearcstapa”, forse il tributo definitivo alla poesia di quel David Crosby così spesso citato a proposito delle influenze stilistiche del sestetto; ci si emoziona profondamente al cospetto di due ballate minimali – “Kept Woman” e soprattutto “I Should See Memphis” – che verrebbe da definire senza tempo. Non è quindi possibile apprezzare pienamente “Crack-Up” senza strappare alla propria quotidianità il diritto ad una contemplazione dedicata, in termini di tempi e luoghi: il premio sarà un itinerario immaginifico dai contorni sfumati, esperienza emotiva e mentale insieme. E’ vero, come sostiene lo stesso Pecknold, che “Crack-Up” ha i caratteri della transizione, dell’incompiutezza – e della fragilità, aggiungiamo noi: apparenti difetti che ironicamente lo avvicinano ancor di più all’essere un vero e proprio capolavoro.

Piazza Castello per Ferrara sotto le stelle, Ferrara  3 luglio 2017

Sono forse due le principali preoccupazioni che l’amante dei Fleet Foxes si porta dietro mentre si reca per la prima volta ad un loro concerto: la prima è la difficoltà oggettiva di riprodurre dal vivo i complessi arazzi di armonie vocali e panorami strumentali che sono alla base del loro suono in studio, senza sacrificarne la cristallinità; la seconda può essere la proverbiale compostezza del leader Robin Pecknold, un potenziale ostacolo per la formazione di quel legame emotivo tra musicisti e ascoltatori che è elemento imprescindibile dell’esperienza “live”. Timori fugati praticamente da subito, con le prime note della serata affidate al trittico che apre anche l’ultimo disco. Da lì in poi sono seguite due ore e più di musica eccellente, eseguita al limite della perfezione. La difficoltà di una simile resa ha ovviamente richiesto al gruppo una concentrazione quasi totale, data la necessità di cambiare strumenti anche in corso d’opera (incalcolabile il numero di passaggi di chitarre tra roadies e gli stessi membri del gruppo) – cosa che può essere andata a discapito di una certa resa scenica. E proprio lì viene fuori il carisma di Pecknold, figura forse di poche parole (ma quelle giuste, come alcuni divertenti scambi con il pubblico hanno mostrato) ma capace di guidare la Flotta al meglio. Ovviamente ampio spazio è stato dato alle canzoni dell’ultimo album, rappresentato quasi integralmente: momenti altissimi il medley di “Cassius / Naiads, Cassadies” e l’incedere corale di “Fool’s Errand”. Per la gioia di tutti, non sono comunque mancate le riprese dagli album precedenti: ovazione per “White Winter Hymnal”, il pezzo che portò i sei al successo, così come per “Your Protector” e “The Shrine/The Argument”, entrambe rese in modo esemplare nonostante i complicati arrangiamenti che le caratterizzano. Decisamente emozionante la chiusura prima di un generoso bis, affidata ad una struggente “Helplessness Blues”, mentre gli encore hanno visto protagonista il solo leader per un breve, strepitoso set acustico (“Oliver James”, “Tiger Mountain Peasant Song”), raggiunto poi dal resto del gruppo per una cover dei Bee Gees, “Morning Of My Life” e per la chiusura di “Crack-Up”. Una menzione speciale la merita Morgan Henderson, polistrumentista dalle mille risorse passato con disinvoltura da percussioni di ogni genere al a diversi tipi di fiati, passando per svariate chitarre e persino un contrabbasso. Volendo fare gli avvocati del diavolo a tutti i costi, si potrebbe lamentare il poco spazio riservato ad alcune promettenti divagazioni strumentali, le quali suggerivano la possibilità di esplorazioni sonore ed emozionali profonde; d’altra parte con più di tre dischi alle spalle il repertorio comincia a farsi nutrito ed il tempo a disposizione tiranno. A conti fatti un ottimo concerto per una band da (ri)vedere senza indugio alla prima occasione.

Pietro Rubino

 

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