Evento clou del Bluesfest irlandese del 2017 è senz’altro stato il concerto tenuto dagli Steely Dan presso la 3Arena situata nella suggestiva zona dei docks, La serata ha rappresentato il primo show europeo degli Steely Dan dopo la recente scomparsa di Walter Becker e dunque tante erano le incognite e le natrurali aspettative. Ad aprire lo show i Doobie Brothers, altra storica band Americana protagonista delle classifiche degli anni 70 ed 80 e subito si capisce quale è il segreto, la forza, di questa band: nel corso della loro lunga storia i Doobie Brothers non hanno mai cercato di essere altro se non i Doobie Brothers. Mai un passo di troppo verso la parte più retorica e muscolosa dell’AOR e mai un passo in più verso i territori soul jazz alla Steely Dan con i quali la storia dei Doobie Brothers si è spesso incrociata. Certo. sono cose conosciute, apprese attraverso la loro storia ed il loro alternarsi tra la guida di Tom Johnston e quella di Michael McDonald, ma che non ci impediscono di restare basìti di fronte alla perfezione con la quale eseguono tutti i loro successi. Poco importa se sia AOR o soul jazz o anche rhythm and blues: i Doobies sono l’ennesima prova (semmai ce ne fosse ancora bisogno) che le belle canzoni sopravvivono al tempo e volano alte sopra le etichette che vengono messe a seconda dei periodi storici.
Le chitarre e le voci di T. Johnston e di Pat Simmons si riprongono, in questa umida serata irlandese, come la colonna sonora dei nostri viaggi più spensierati, più belli. Le tastiere di Bill Payne rendono ancora più morbido e accogliente il tappeto sul quale il resto della band si muove con passi sicuri attraverso una sequenza micidiale di classici come Takin it to the street, Listen to the music, China Grove e l’atteso finale con Long Train Runnin’ che ci consegna, sudati e felici, al main event della serata.
Le note di Fan it, Janet di Maynard Ferguson introducono sul palco Donald Fagen ed è subito una tiratissima e nervosa Green Flower Street. La band è quella di sempre, quella con la ritmica consolidata in mano al perfetto basso di Freddie Washington ed all’impeccabile batteria di Keith Carlock. Quella con l’elegantissima chitarra di Jon Herington e l’inossidabile sezione fiati di sempre.
Ma gli occhi vanno lì, al centro del palco dove era solito mettersi Walter Becker e le sensazioni di stasera sono tante, discordi, confuse: lo sguardo di Jon Herington e la voce di Donald Fagen spesso tradiscono una malinconia che diventa sempre più il filo conduttore della serata. C’è qualcosa di inaspettatamente e scandalosamente umano che si legge sotto la proverbiale perfezione delle esecuzioni di ogni singola canzone.
Cosa sta succedendo? Ben presto, nascosta tra le note, appare la vera chiave di lettura di questo concerto: questa sera Donald Fagen sta celebrando il tempo ed il suo passare inarrestabile, inesorabile e spietato. Il dandy di Hey Nineteen ed il leggendario dj di The Nightfly sono cresciuti e stasera stanno cantando sì la malinconia ma anche quel senso di crudele disorientamento che si prova quando ci si ritrova improvvisamente e dolorosamente con un passato fisiologicamente molto più lungo del futuro prossimo.
Stiamo dunque assistendo al meno perfetto degli show degli Steely Dan? O forse a quello destinato ad essere ricordato più di ogni altro? Le note percuotono un Fagen che il destino ha scelto quale ultimo e solitario ambasciatore del suono e della storia degli Steely Dan. Le canzoni lo agitano e lo esaltano in una scaletta che non tralascia nulla e che trova i suoi momenti migliori in una inaspettata New Frontier ed in una dolcissima Book Of Liars tratta dal secondo ed ultimo lavoro solista di Becker 11 Tracks of Whack.
Le altre canzoni scivolano come seta portandosi via pezzi della nostra vita, dei nostri migliori ricordi e concludono la loro sfilata con la festosa Reelin in the Years al termine della quale Fagen lascia il palco con le note del tema di The Untouchables di Nelson Riddle.
E’ una Dublino piovosa, quella che si fa trovare all’uscita di questo concerto e mentre ci si allontana a piedi dalla 3 Arena, cresce la sensazione di aver assistito ad uno show straordinariamente umano seppur nella sua improvvisa ed inattesa imperfezione. Le luci dei docks di Dublino sembrano quasi replicare il blu della copertina di The Nightfly ed un sorriso sornione ci sorprende e ci porta a pensare che sì, nonostante tutto, nonostante gli anni, le scomparse, le tragedie, gli acciacchi e finanche questa fastidiosissima pioggerellina irlandese We’ll be eternally free yes and eternally young.
Giovanni de Liguori
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