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A journey through the roots of the authentic bosnian music
Le cronache degli ultimi anni hanno dato un’immagine della Bosnia legata unicamente ai conflitti etnici e alla convivenza difficile del dopoguerra. Si sa invece ben poco della scena musicale e della tradizione più autentica di questa. Il film, uscito del 2009 e che è stato incluso nella programmazione del recente Balkan Florence Express, spiega il recupero della forma in chiave moderna da parte di uno degli artisti più famosi di Bosnia. E’ Damir Imamović, nipote d’arte di Zaim, che con il suo trio va alla ricerca dell’anima della Sevdalinka o Sevdah, il prodotto musicale autentico della cultura musicale della Bosnia urbana. Insieme a lui è la stessa regista Marina Andree in un viaggio dove la malinconia è inevitabile, così come gli echi della guerra, ma in cui rimane un forte senso identitario culturale. I due seguono le tracce lasciate dai racconti e dalla vita di un’amica a musicista scomparsa, Farah Tahirbegović, La Sevdah, che nella notte dei tempi è basata su canto e uno strumento simile al liuto persiano chiamato Saz, si è evoluta con gli anni assimilando sonorità portate dall’impero austriaco come quella della fisarmonica. Da un punto di vista musicale può ricordare il fado portoghese e il blues, nella sua funzione di musica dell’anima, con i testi che raccontano generalmente vicende tristi. Damir e il suo trio (Evdin Hadzic al contrabbasso e Vanja Radoja al violino) trasformano la Sevdah attraverso la sensibilità moderna. Incontri con i protagonisti, filmati e audio d’archivio aiutano a leggere in modo nuovo la Sevdah facendone uno simbolo non tanto del passato quanto del futuro. Lo simboleggiano al meglio le immagini del concerto finale a Mostar, città divisa in un paese diviso, lanciando un messaggio di continuità nella speranza di anni migliori.
Michele Manzotti
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