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Si chiude con il concerto di Perugia la tournée europea dei King Crimson e il finale traccia bene quello che è ed è stato il percorso della band in questi anni dalla ricostituzione dalla tarda estate del 2013 ad oggi: una costante definizione del sound Crimson scolpito in maniera certosina che richiama più un lavoro artigianale piuttosto che una facile riproposta di materiale di successo. I concerti di quest’estate celebravano il cinquantennale del primo album della band, “In the court of the crimson King “ e, come del resto nelle precedenti serie di concerti, ci sono state integrazioni importanti ed esclusioni altrettanto eccellenti. Ma non importa. Il concetto al quale la band di Robert Fripp ha abituato il proprio pubblico è che ogni esibizione ha una vita propria, un evento ogni volta diverso e allo stesso tempo uguale come intensità e ricerca di tradurre la complessità dei brani in un’emozione unica. L’Arena di Santa Giuliana ha accolto la band, passata da otto a sette elementi per la defezione di Bill Rieflin, ormai punto cardine del gruppo, con una standing ovation preventiva, come quasi mai si vede in una arena squisitamente rock. Dal quel momento è stato un continuo passare dal repertorio degli anni 60/70 a quello più new wave degli ottanta fino alle versioni del nuovo millennio.
E qui sta la vera e propria prova di intelligenza e talento dei musicisti e cioè il riuscire a rendere omogeneo fasi profondamente diverse dei vari momenti della band. Si inizia con lo strumentale di presentazione dei tre batteristi Gavin Harrison , Jeremy Stacey e Pat Mastelotto ossia il vero e proprio incipit della nuova filosofia crimsoniana degli anni dieci del nuovo millennio per poi proseguire con “Larks’ tongues in aspic part I“, brano tratto dall’omonimo album del 1973 dove il flautista Mel Collins si sostituisce a David Cross che nella versione originale si esibiva al violino, includendo nel suo solo anche una breve citazione dall’Inno di Mameli . Poi spazio ad un brano dal nuovo repertorio che ancora non ha trovato posto in un vero e proprio disco in studio “Suitable grounds for the blues “, dimostrazione di come la band può ancora scrivere della buona nuova musica. E’ anche la prima vera e propria canzone della serata cantata con ottima maestria da Jakko Jakszyk, sicuro ormai anche nel ruolo di secondo chitarrista della band. Fripp dal canto suo suona con discrezione, distribuendosi tra chitarre e mellotron ma soprattutto coordina, vigila attento evitando di accentrare l’attenzione su di se e lasciando molto spazio ai membri del gruppo. Dopo la sognante “Cirkus “dall’album Lizard il primo momento unitario del concerto ossia la sequenza della seconda facciata di In the court con le cadenze di “Moonchild” che sfociano in “The court of Crimson King “ finalmente completa del finale che sprofonda l’audience nella malinconia “lunare” del luglio 1969 , complice anche la falce nel cielo sopra Perugia. Poi sarà la volta di Discipline e Frame by Frame tratte da quell’album dell’1981 vere e proprie montagne da scalare visto che appartenevano a quel quartetto capitanato da Adrian Belew che tracciava un netto cambio di stile con le formazioni degli anni settanta. Ma Jakszyk con la complicità di Tony Levin riesce a smussare le asperità di quei suoni e, come già detto, a rendere intatto un filo logico. Finisce il primo tempo con una versione della quarta parte di “Larks” e con la sempre toccante “Islands”. Già tutto ciò potrebbe bastare per definire questo concerto uno dei migliori di quest’estate ma il secondo tempo non sarà da meno. Si ricomincia con altri due brani tratti dal quartetto degli anni ottanta (“The Sheltering Sky” e “Neurotica“). Ancora emozioni dall’ultrapassato con “One More Red Nightmare” da Red dove i tre batteristi si dividono i controtempi di Bill Bruford che nell’originale del 1974 diede un contributo fondamentale al brano, giusto prodromo a Drumzilla dove il trio da un esibizione di come tre batterie possano essere leggere e funamboliche senza raddoppiare e deviare quindi dalle intenzioni del materiale proposto. Dopo una nuova immersione nel 1969 con Epitaph altro momento di buona continuità con “The Construcktion of Light” e le relativamente nuove composizioni Radical Action III” e “Meltdown“ a ricordarci che 50 anni dopo i King Crimson hanno davanti un luminoso futuro per poi chiudere con “Indiscipline” e “Starless”, con quest’ultima a colorare il palco di rosso sangue, unico momento di concessione visiva in tempi di video shows . Il bis è tutto per “21st century schizoid band “ bandiera mai ammainata e poi l’uscita di scena per la band e per il pubblico: a riveder le stelle di una bella notte umbra . Non poco per i nostri “Uncertain Times“.
Ugo Coccia
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