Pagine Facebook U svegliu calvese e Rencontres de chants polyphoniques
1989-2019. Trent’anni e trentuno edizioni. La prima delle quali con un solo concerto, nell’ambito di uno scambio tra Corsica e Sardegna con i Tenores di Orosei ospiti dei colleghi còrsi de A Filetta. I Rencontres des chants polyphoniques – A l’iniziu c’era a voce di Calvi sono ormai divenuti un punto di riferimento per gli appassionati di musica dal mondo perché la rassegna non ospita solo realtà vocali, ma cerca nel panorama internazionale realtà che possano dare l’idea dell’incontro fra sonorità differenti fra loro.
Il primo concerto in Cattedrale ha visto protagonista la cantante e violinista persiana Aida con il Babak Quartet (foto Jean-Marie Colonna). Il progetto Manushan, nome di una sommità della catena dell’Elbrouz, intende riprende sonorità tipiche dell’Iran (al centro di un’area dalle varie influenze culturali) con altre dell’Asia minore e del Caucaso e inserirle in un contenitore dove musica temperata e jazz fungono da collante. L’italiano Antonio Licusati al basso funge da direttore musicale del gruppo e insieme al chitarrista persiano Babak Amir Mobasher e al batterista francese Patrick Goraguer contribuiscono a mettere in pratica le idee di Aida. Ispirata da tematiche e sonorità popolari, le sue canzoni si sposano bene con la prassi dell’improvvisazione jazzistica. Per quanto riguarda l’esecuzione, Aida ha puntato su tecnica e musicalità tirando fuori la potenza nel finale, mentre l’alter ego melodico era Licusati con il suo basso a cinque corde.
La tradizione persiana era presente in parte anche nel concerto successivo grazie alle origini di Kiya Tabassian, cantante e solista di Sétar, componente dell’ensemble canadese Constantinople (foto Natacha Manarin) . Con lui Pierre-Yves Martel alla voce e Patrick Graham alla percussioni con il cantante e solista di kora Ablaye Cissoko. In questo caso le suggestioni sono state molte: la Persia e l’Asia Minore, l’Africa, la tradizione classica occidentale, le praterie del Nord America. Non sembri irriverente il termine pop nell’approccio dei musicisti perché il risultato dell’incontro di varie sonorità è apparso di impatto immediato e di grande fascino melodico-ritmico. Il sétar di Tabassian ha ricordato la chitarra acustica, così come la kora di Cissoko si è integrata nel sistema temperato. Uno dei momenti più alti della serata è stata una passacaglia avviata dalla viola da gamba e completata dagli altri strumenti con apparente naturalezza in modo sorprendente. Griot e storyteller, termini che hanno lo stesso significato pur in territori diversi, hanno convissuto in una serata piena di pubblico, attento ed entusiasta.
La mattina del secondo giorno è stata dedicata al lavoro della cantante bretone Marthe Vassallo (foto Silvio Siciliano) dedicato alla storia di Maryvonne Le Flem. La donna, vissuta tra il 1841 e il 1926 a Port-Blanc, è il soggetto che permette il recupero di una vicenda che tocca le tradizioni popolari e la nascita di un canzoniere bretone. Vassallo propone uno spettacolo in movimento (in questo caso all’interno del Fort Charlet) in cui legge, recita e canta. Per un’ora e mezza lo spettatore viene portato nella Bretagna attraverso i mestieri, gli amori, i figli e tutte le testimonianze raccolte in un testo di Anatole Le Braz conservato all’università di Brest. I brani musicali di Vassallo mostrano la parentela melodico-ritmica della cultura bretone sia con quella francese sia con quella di oltremanica. La raccolta di canti popolari si accompagna ai testi preparati dall’artista che espone certificati di nascita e matrimonio oltre a pagine di diario e appunti riprodotti su teli. Voce affascinante e nel racconto per uno spettacolo che sarebbe perfetto con la durata ridotta di 15 minuti.
Quello tra Ernst Reijseger e Concordu e Tenore de Orosei (foto Jean-Marie Colonna) era un matrimonio musicale tutto da verificare. La classe del violoncellista olandese, difficilmente etichettabile nel suo stile grazie al suo eclettismo, e le sonorità del complesso vocale sardo invece vanno d’accordo. Certo, i due mondi continuano a percorrere una strada differente e parlare di simbiosi ci pare difficile. Ma il progetto funziona e consiste nell’adattabilità del violoncello a cinque corde di Reijseger al canto della formazione, prevalentemente legato alla musica sacra. Tra i momenti più significativi del pomeriggio nel suggestivo Oratoire St Antoine ricordiamo l’inizio con cantanti e violoncellista iniziando a eseguire una via crucis a tappe, l’uso di tre marranzani a fornire la base a una melodia e il finale pirotecnico con una danza (Nanneddu meu) in cui il violoncello è usato come una chitarra acustica.
Reduci dal Festival di musica antica di Utrecht, in Cattedrale sono arrivati i belgi di Graindelavoix (foto Jean-Marie Colonna). Il progetto portato a Calvi ha riguardato le musiche per le confraternite religiose del Brabante scritte dai grandi maestri fiamminghi tra i secoli XV e XVI (De la Rue, Des Prez, Compère, Obrecht, Ockeghem) oltre al canto piano. Il complesso diretto da Björn Schmelzer ha eseguito i brani dapprima dietro l’altare poi ai quattro angoli della chiesa. Un’esecuzione magistrale che ha comportato anche molta attenzione da parte del pubblico, calato nel fascino di un’epoca antica.
Concludiamo ricordando i padroni di casa di A Filetta (foto Armand Luciani / Casta Libre), motori della manifestazione, presenti con tre brani prima di ogni concerto serale. Jean-Claude Acquaviva e compagni dimostrano la vitalità della tradizione vocale còrsa. I decenni di attività passati nel recupero della lingua e della forma della paghjella (oggi patrimonio Unesco) mostrano un consolidamento del repertorio che non è necessariamente legato solo al passato. In quest’ultimo periodo nell’isola sono nate molte formazioni vocali e la stessa A Filetta è integrata da elementi giovani. Segno che la strada iniziata e percorsa anni fa era quella giusta.
Michele Manzotti
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