Il gruppo racconta “Solitari Blu”, l’ultima produzione di Ernesto De Pascale prima della sua scomparsa
Da trio storico a una nuova formazione: come e quando è avvenuto questo importante cambiamento?
Guido Melis:Ti riassumo, brevemente, quella che è stata la storia del gruppo:
Nel 2003, quando ci siamo formati, eravamo in tre, io, Lorenzo Desiati e Matteo Urro. Nel 2004 abbiamo partecipato al Rock contest di Controradio, aggiudicandoci il secondo posto ma vincendo il premio della critica. Il 2004 è stato un anno di svolta e di notevole importanza in quanto abbiamo auto prodotto il nostro primo cd, registrato,in parte, allo Studio Larione 10 di Firenze e al Plastic Sun Studio di Firenze. Abbiamo iniziato, così, a fare i primi concerti live. Di questo album abbiamo avuto buone recensioni in tante riviste musicali e quotidiani. L’anno dopo abbiamo prodotto il nostro primo videoclip del brano “Nevica” presente nell’album. Tra il 2005 e il 2006 abbiamo portato dal vivo uno spettacolo in versione unplugged, noi, che siamo un gruppo principalmente elettrico. Nome dello spettacolo “Underflorence: echi dalle visioni sotterranee” univa la letteratura di autori del novecento quali Franco Fortini, Umberto Saba, Mario Spinella, con il linguaggio dei nostri testi e della nostra musica, in modo da regalare una visione assolutamente innovativa della città di Firenze; non più Firenze città turistica ma anche Firenze città oscura, malinconica, oserei dire quasi un po’ inglese. Nel 2007 abbiamo iniziato a scrivere il disco successivo, “Vertigine”, uscito nel 2008 per l’etichetta Suburban Sky. Poco dopo l’uscita del disco, con un tour alle porte, Matteo, allora cantante chitarrista, ha deciso di lasciare la musica completamente, è così che è entrato nel gruppo Marco inizialmente come chitarrista successivamente come compositore e membro a tutto tondo. In quanto a me, io ho iniziato a occuparmi della parte vocale. Indubbiamente è stato un passaggio molto difficile. Abbiamo pensato se cambiare o meno il nome del gruppo e ripartire con un progetto ex-novo, invece, poi, ci siamo accorti di credere nel gruppo così come era. Credo che tra il primo, il secondo e il terzo disco ci sia un trait d’union, anche se sono progetti diversi tra loro che hanno avuto un’evoluzione storico-musicale diversificata.
Riguardo all’ultimo album, “Solitari blu”, come quest’ultimo si discosta dal primo disco, definito alternative-rock con venature psichedeliche, nella concezione musicale e testuale dei brani?
Guido Melis: Per la composizione dei testi abbiamo adottato un lavoro diverso. Prima li scriveva Matteo, quindi rispecchiavano una sua sensibilità e esigenza di trasmettere qualcosa attraverso un testo. In questo ultimo lavoro li ho scritti io e in parte anche Marco. Abbiamo preso come modello il modo di scrivere anglosassone, quello proprio dei gruppi rock britannici, che, appunto, nei loro brani non devono, necessariamente, raccontare una storia o parlare di se stessi, i testi si fanno portavoce di sensazioni, possono diventare visioni di immagini; in questo senso quelli del nostro ultimo album sono stati definiti più onirici. Per noi è stato fondamentale lavorare sul suono delle parole. Prima ancora del significato è stata importante la musicalità dei termini che usavamo.
Durante il lavoro di composizione dei vostri brani, nascono prima i testi o la musica?
Guido Melis: Solitamente i testi arrivano dopo. Facciamo un grande lavoro anche di improvvisazione che svolgiamo in studio per cercare di estrapolare spunti sui quali lavoriamo a sua volta. Soltanto in un caso è capitato che avessimo prima il testo della musica, se non ricordo male, si trattava proprio del brano “Solitari blu”, però questa rappresenta un’eccezione che conferma la regola secondo la quale i testi, nel nostro processo compositivo, nascono dopo la composizione musicale. Questo proprio per confermare quanto detto sopra, riguardo al fatto che non esiste una storia vera e propria all’interno dei nostri testi ma esiste un’impressione derivante dai suoni attraverso la quale cerchiamo di trovare delle “immagini letterarie” che si adattino bene da un punto di vista fonetico, privilegiando la parte descrittiva rispetto a quella narrativa.
La copertina di Solitari blu è un’opera del pittore pistoiese Gianfranco Chiavacci. Guardandola bene, e non conoscendo l’opera, viene da pensare che i solitari blu siano proprio quelli rappresentati visto che il disegno delle linee sembra immortalare un diamante, un solitario. Sorge spontanea la domanda: sono quelli i solitari blu?
Guido Melis: Riguardo la copertina, siamo rimasti molto sorpresi. È arrivata quando il disco era già completato e stavamo pensando a quale sarebbe stata la “cover” più adatta per l’album. È stato Ernesto De Pascale a “scovare” questa immagine che, fin da subito, abbiamo pensato fosse in perfetta sintonia con ogni singola cellula del disco. Anche la copertina, come i testi per gli ascoltatori, appunto, esercita su chiunque la guardi un lavoro di suggestione; così ben venga la tua idea di vederci il diamante e di conseguenza il rimando al fatto che potesse rappresentare i solitari blu. Noi abbiamo saputo il procedimento usato per realizzare la foto di copertina, è una foto degli anni settanta realizzata per mezzo di diapositive, non è stato usato materiale digitale. Sicuramente il brano con il quale la copertina si sposa meglio è proprio Solitari blu dove il testo ti proietta in uno spazio. L’inizio del brano, quando dico “più distante dal sole”, realmente sta a significare uno spazio oltre il quale poter vedere le cose da un altro punto di vista, il poter guardare la Terra da fuori e cercare di capire le cose in maniera diversa. Riguardo al titolo, la connotazione di “Solitari blu” è abbastanza ampia, pensiamo sia giusto lasciare libero spazio all’interpretazione personale nella quale si rivela di fondamentale importanza il ruolo dell’ascoltatore. Naturalmente in questa ottica la nostra musica può sembrare meno immediata proprio perché non è spiegata dall’inizio alla fine, ma secondo noi questo è anche il bello perché all’interno di una tale musica ci puoi trovare più cose e tante sfaccettature.
La produzione dell’album è firmata da Ernesto De Pascale. Come è stato lavorare con Ernesto?
Guido Melis: Con Ernesto avevamo già lavorato anche nel mixaggio di “Vertigine”. Personalmente, io avevo lavorato con lui in altri progetti e con Lorenzo Desiati avevamo suonato in un suo disco, quindi, esisteva tra noi, anche precedentemente a Solitari blu, un rapporto di reciproca stima lavorativa e personale. Lavorare con Ernesto è stata un’ottima esperienza. Purtroppo dopo la sua assenza si è interrotto il processo che noi avevamo in mente per il disco e anche per altri progetti. In qualche modo questo disco è rimasto un po’ sospeso, oltre al fatto che siamo rimasti tutti molto scioccati e abbiamo dovuto far passare del tempo prima di rimettere in ordine le idee circa il futuro del disco.
Quando vi siete conosciuti con Ernesto?
Guido Melis: Con Ernesto ci siamo conosciuti nel 2004 in occasione del Rock contest. All’inizio eravamo molto intimoriti dalla sua persona; in realtà dopo aver suonato si avvicinò a noi per complimentarsi e da subito nacque un rapporto di collaborazione ma anche di amicizia.
Il tour di Solitari blu come si è svolto?
Guido Melis: Siamo riusciti a fare alcune date, meno di quelle che avremmo voluto fare e meno di quelle fatte per il disco precedente. Avevamo un rapporto con un booking agent che, però, si è interrotto non a causa nostra. Conseguentemente a ciò ci siamo trovati un po’ spiazzati per fare al meglio la promozione del disco. Naturalmente queste sono cose che, per chi fa il nostro lavoro, deve mettere in conto. Abbiamo appena concluso di registrare un nuovo disco e vorremmo portare la nostra musica in tante situazioni live, promuovendo non soltanto Solitari blu ma anche gli altri due album precedenti.
Quale vi sembra la localizzazione più idonea a un gruppo come il vostro?
Guido Melis: Noi abbiamo suonato in tantissime situazioni, ma la nostra dimensione più naturale è il palco grande perché abbiamo una spinta sonora rock. Il club piccolo ti porta a fare una serie di compromessi che si possono rivelare anche stimolanti per il fatto di dover cambiare il modo di suonare, da elettrico ad acustico, ma alla lunga, quella del club, è un’esperienza stancante in quanto rischia di snaturare la vera spinta musicale del gruppo.
Quali sono i gruppi musicali che vi hanno maggiormente influenzato?
Lorenzo Desiati: I Beatles sono alla base del gusto musicale personale di ognuno di noi, come anche i Led Zeppelin, i Deep Purple, e tutta la corrente hard rock come i Black Sabbath. Prendendo in considerazione un gruppo più recente, i Radiohead sono un gruppo molto significativo. Tra l’altro non è la prima volta che ci viene fatta questa domanda ed è stato curioso il fatto che una volta ci è stato chiesto di rispondere circa quali fossero le influenze musicale di ognuno di noi senza vedere le risposte degli altri ed è venuto fuori che tutti e quattro avevamo citato come prima influenza musicale i Beatles. In realtà non ci siamo trovati sulla base di queste affinità perché ognuno di noi viene da percorsi musicali diversi. Anche se abbiamo citato i Beatles la nostra musica non ha niente a che vedere con quella dei Beatles, è il punto di partenza da dove siamo partiti che è importante e che è rappresentato dalla musica dei Beatles che è la matrice attraverso la quale siamo arrivati alla nostra musica.
Questa nuova formazione vede non solo l’entrata nel gruppo di Giulia Nuti ma anche di uno strumento insolito in un gruppo rock come il vostro. Come è avvenuta la fusione dello strumento classico?
Giulia Nuti: La viola è uno strumento classico, ma l’approccio nel metodo di suonarlo non è particolarmente classico. Io vengo da un percorso musicale classico, quindi determinate cose rimangono tali anche nello stile di suonare oltre alla sonorità propria dello strumento. Sicuramente quella dello strumento classico nella musica rock non è un’accoppiata inedita ma insolita; in più la viola è meno utilizzata del violino, che rappresenta lo strumento più celebre in contesti extra classici; anche se, nel genere rock, uno strumento come il violino deve essere usato con cautela ed estrema attenzione proprio a causa delle frequenze e delle caratteristiche dello strumento.
Durante i vostri concerti live date ampio spazio all’improvvisazione?
Marco Superti: Per noi è importante il momento dell’improvvisazione anche se dipende molto da quanto suoni dal vivo. Allo stesso tempo stiamo anche molto attenti a non esagerare perché il rischio è quello di fare delle cose che non abbiano un filo conduttore, cioè improvvisate nel vero senso della parola e che non abbiano un reale spessore. Perciò è giusto dare libero sfogo all’improvvisazione durante il live ma in precisi momenti in qualche modo per poter rimanere legati alle canzoni, ai brani che iniziano e finiscano, che hanno la loro struttura. È bello il fatto che in un live si riconosce la struttura del brano dell’album ma è arricchito da momenti di unicità, molto legati a quella determinata situazione, a quel determinato ambiente e al gioco che si instaura tra ognuno di noi.
Ho notato che è stata riposta molta cura nella realizzazione del disco non soltanto a livello musicale ma anche materialmente, cioè con l’intento di creare un significativo “oggetto-disco” e non la solita raccolta di brani, non è così?
Guido Melis: È così, e rispecchia la nostra filosofia di gruppo e di etichetta. Nonostante oggi i dischi siano fuori moda e c’è la possibilità di scaricare tutto da internet e distribuire il prodotto digitalmente, paradossalmente questo non sembra valere per i “piccoli artisti” o per quelli emergenti. Secondo noi è attraverso il disco che un artista, un gruppo, si fa conoscere e instaura un rapporto con il pubblico, e il pubblico vero è quello che viene ai concerti; la visibilità su internet è una chimera, non esiste per un piccolo gruppo. In più alla gente che viene a sentirci il cd che comprano a fine concerto è una parte di noi che gli rimane ed è proprio per questo motivo che è giusto curare il disco nei minimi dettagli. Il cd inteso come oggetto è una sorta di prosecuzione della forma di arte-musica ed è attraverso il disco inteso con questo significato che si supera il lavoro musicale, si va al di là della musica, si va oltre il materiale, si va oltre la plastica, grazie al suo prezioso contenuto.
Lucilla Fossi
www.underfloor.it
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