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Foto concesse dall’ufficio stampa del concerto del Teatro Verdi Firenze
La sua storia è strettamente legata al gruppo rock a cui a dato il nome e grazie al quale ha dato forma alla sua creatività. Ian Anderson per tantissimi appassionati vuol dire Jethro Tull e una vicenda artistica iniziata nel 1968. Il gruppo attuale, definito Ian Anderson’s Jethro Tull, è giunto in Italia per una serie di concerti. Parliamo con lui prima del concerto al Teatro Verdi di Firenze.
Quale caratteristica avrà il concerto?
«E’ uno show che riprende il nostro percorso sui 50 anni dei Jethro Tull iniziato nel 2018. Inoltre mi fa piacere tornare nei teatri: questo spettacolo prevede proiezioni su uno schermo e la scorsa estate ci sono stati dei problemi (vento o sostegno non adeguato). Eventualità che indoor non dovrebbero capitare».
Sta uscendo un libro ufficiale sul gruppo, The Ballad of Jethro Tull. Che impostazione è stata data?
«Intanto è un volume con tante foto. E’ stato il primo bassista del gruppo, Glenn Cornick, scomparso cinque anni fa, a fornirmi il suo archivio con i Jethro Tull all’inizio della loro attività. Gran parte delle altre invece sono mie. Poi ci sono le testimonianze dei musicisti che in tutti questi anni hanno fatto parte della band, grazie a Mark Blake che ha curato il testo, anche se qualcuno ha preferito declinare l’invito».
In questo anno cade anche il quarantennale dell’album Stormwatch. Il disco chiuse un periodo della band con il successivo cambiamento di quasi tutti i componenti dopo la morte del bassista John Glascock. Che ricordo ha?
«Purtroppo Glascock aveva già problemi di salute durante l’incisione e spesso sono io a sostituirlo al basso nei pezzi. Ho voluto fare così invece che scegliere un altro bassista perché speravo che guarisse. Poi dovevamo andare in tour e gli dissi di rimettersi presto per tornare nella band. La notizia della sua morte arrivò mentre eravamo negli Stati Uniti. Di Stormwatch è uscita un’edizione dedicata ai 40 anni con registrazioni inedite in cui Glascock è presente in più tracce».
La formazione sul palco è la stessa dello scorso anno per la celebrazione dei 50 anni?
«Si ed è anche il gruppo di musicisti con i quali ormai suono da vari anni. Anzi è la formazione più longeva che mi ha accompagnato anche negli show acustici e in quelli natalizi: alcuni di loro sono con me da 15 anni».
Lei è di origine scozzese e il Regno Unito sta vivendo un periodo particolare con la prospettiva Brexit. Qual è la sua idea?
«Sia il referendum organizzato in Scozia per l’indipendenza, sia quello per la Brexit sono stati una grande prova di democrazia. Non vedo una debolezza del nostro sistema. Anzi, anche le ultime vicende parlamentari hanno dimostrato che l’uscita dall’Unione Europea non può essere imposta come un ultimatum».
Michele Manzotti
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