Un viaggio geografico e temporale con scrittura e ascolto che si legano indissolubilmente. Tracce raccolte sul campo con la registrazione della testimonianza orale. Vere e proprie esibizioni, canti nelle chiese, cori intonati nelle manifestazioni. 50 anni di musica popolare, di protesta sindacale e studentesca raccolte in We Shall Not Be Moved, raccolta di quattro cd accompagnati da un volume che ne illustra il contenuto. L’autore è Alessandro Portelli che ha pubblicato il risultato di questa attività per Squilibri (pp. 340, con 4 cd, Euro 39,00. www.squilibri.it). Portelli è presidente del Circolo Gianni Bosio ed è stato professore ordinario di letteratura angloamericana all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Questa raccolta a una prima lettura appare come il punto d’arrivo di una vita dedicata alla ricerca. Come è nato il progetto?
“Sinceramente come è nata non saprei, perché è un’idea che ho sempre avuto e che finalmente ho messo in pratica, Tra l’altro il progetto di fondo del lavoro era già pronto cinque o sei anni fa, poi varie vicissitudini hanno allungato i tempi e questo mi ha permesso di arricchirlo, dato che le ultime registrazioni sono del 2018. L’idea è sempre stata quella di condividere il materiale e di non lasciare che restassero seppellite in un archivio”.
Una domanda è dedicata alle persone che sono protagoniste di queste tracce, ovvero gli artisti. A parer suo c’è qualcuno di loro che meriterebbe di essere conosciuto di più in Italia per la sua attività musicale? E forse la raccolta può aiutarci a conoscerlo meglio?
“Sicuramente Barbara Dane che è un po’ la protagonista di questo lavoro, Diciamo che lo devo a lei: mi ha aperto un sacco di strade e di idee. Barbara non è del tutto sconosciuta perché è venuta negli anni Settanta alcune volte alle feste dell’Unità, ha tenuto concerti con il circolo Gianni Bosio, un suo disco è uscito con i Dischi del Sole (tra l’altro il quarto volume di questa raccolta era uscito già con quella etichetta con le sue registrazioni). E’ una figura leggendaria, riconosciuta da musicisti afroamericani come Louis Armstrong e Lightnin’ Hopkins come la cantante migliore di blues esistente pur essendo bianca. Poi per militanza politica sceglie di buttare a mare la carriera per dedicarsi alla canzone popolare, a quella politica e all’azione di base organizzando movimenti di opposizione alla guerra del Vietnam fra i militari stessi. Oggi ha più di 90 anni ma fa concerti di blues e ha inciso un disco nuovo. Un personaggio monumentale ed è assurdo che tra noi non sia apprezzata come dovrebbe”.
Lei conosce molto bene la realtà degli Stati Uniti che è molto complessa. Ci sono alcune zone geografiche che secondo lei sono particolarmente ricche non solo per il lavoro che ha pubblicato, ma anche per il loro ruolo nello sviluppo del linguaggio della musica americana e di quella popolare?
“Ho dedicato più di 30 anni a fare ricerca sul campo, riguardo a memoria storica e cultura popolare, in una zona come quella degli Appalachi meridionali tra West Virginia, Kentucky, Tennessee nord orientale che è una regione mineraria e con grandi tradizioni sindacali. Un’area che oggi è attraversata da una crisi ambientale e sociale molto dura che ha, come quasi tutta l’America industriale, votato per Donald Trump ma che continua a coltivare forme di lotta sociale. Dagli Appalachi viene il meglio della Mountain Music, della Old Time Music, della canzone sindacale ed è uno dei luoghi come il linguaggio musicale che veniva da Inghilterra e Irlanda si è incontrato con la tradizione afroamericana che veniva dal sud. Uno dei luoghi culturalmente più ricchi e più appassionanti che esistano”.
In uno dei dischi, con un legame particolare alla musica degli Appalachi, lei si sofferma su due brani molto conosciuti in Europa e Italia, Will The Circle Be Unbroken e Amazing Grace. Quest’ultimo è entrato nelle nostre chiese, mentre il primo è noto a molti per il disco della Nitty Gritty Dirt Band. Quanto sono importanti questi due pezzi per la musica popolare degli interi Stati Uniti?
“Amazing Grace è un brano che viene dall’Inghilterra quindi non è estraneo da questo lato dell’Atlantico. E’ un brano che si ascolta in chiesa, ma nel meraviglioso documentario di Barbara Kopple “Harlan County, Usa” che è la storia di un grande sciopero nella regione in cui ho lavorato, quando alla fine c’è la vittoria dei minatori, questi cantano Amazing Grace. E’ un canto di riconoscimento e ringraziamento che non coinvolge necessariamente i credenti. A Roma al Circolo Bosio avevamo costituito un coro che interpretava la musica Sacred Harp dal nome Amazing Grace. Quanto a Will The Circle Be Unbroken, come quella che ha dato il titolo alla raccolta We Shall Not Be Moved, è una canzone che attraversa i generi e da canto religioso diventa canto sindacale, per i diritti civili. Ho insistito su questi brani che toccano una vasta gamma delle opzioni emozionali che scavalcano le barriere musicali tra bianchi e neri. Per questo nel disco di questi brani ci sono versioni di interpreti bianchi e di quelli neri nelle chiese afroamericane”.
Il suo metodo di ricerca (che ha trovato un punto d’arrivo in questa raccolta) ha avuto come prassi quella della registrazione dal vivo così come la faceva a suo tempo Caterina Bueno nelle campagne della Toscana. Oggi basta un telefono cellulare per registrare: da un punto di vista tecnico quali mezzi ha utilizzato in tutti questi anni?
“Un po’ con tutti: a questo proposito avevo scritto un articolo per il sito di Internazionale in cui raccontavo proprio questo. Io comincio con un Uher, un meraviglioso registratore a bobine che mi fu prestato da Israel Young, la persona che per primo a New York aveva fatto fare un concerto a Bob Dylan e avevo sempre pensato che avesse usato quel mezzo per registrare Dylan. Poi il mio primo Uher me lo diede direttamente Gianni Bosio, quindi è un mezzo molto legato a questa nostra tradizione. Successivamente ho usato per comodità, perché registravo meno musica e più interviste, un Sony cassette quindi al Dat a cassette fino al digitale; qui ho usato in alcune occasioni uno Zoom, ma generalmente utilizzo un Marantz che è lo strumento raccomandato dalla Bbc. Però in emergenza una parte della registrazione del disco, ovvero gli interventi degli studenti alla manifestazione contro le armi, l’ho fatta con il telefonino perché mi ci ero imbattuto per caso. In un certo senso è anche una storia degli strumenti tecnici di registrazione sul campo”.
Parliamo del presente e del futuro: secondo lei cosa può dare ancora il movimento popolare americano di protesta, sindacale o studentesco da qui ai prossimi anni?
“Woody Guthrie diceva ‘Folk song is big when labour is big’, la canzone popolare cresce quando cresce il movimento operaio. Credo che si possa allargare il concetto a tutti i movimenti, come quello dei diritti civili. Direi che possono succedere due cose: una, come è stato il caso di Occupy Wall Street, è la riscoperta di brani classici della tradizione. A New York il movimento cantava Whose Side Are You On?, canzone sindacale nata proprio ad Harlan County negli anni Trenta, o We Shall Overcome che caratterizzò la lotta per i diritti civili. Sono brani adatti a essere cantati insieme. Però contemporaneamente. e questa è l’altra cosa, vengono inventate nuove canzoni: Ani DiFranco riscrive We Shall Not Be Moved in un altro modo. I ragazzi che erano in piazza contro le armi cantavano una canzone scritta da loro: probabilmente della tradizione non sapevano niente, ma la tradizione non consiste tanto nel ricordarsi il passato ma nella capacità di ereditare dal passato modelli per inventare cose nuove. Brani che riprendono tutto il senso del mio lavoro We Shall Not Be Moved, noi siamo qui e non ci muoviamo. E’ esattamente ciò che dicevano quei ragazzi: voi continuate a buttarci giù e noi continueremo a rialzarci. Ecco, la tradizione è quella: cantare la resistenza da una generazione all’altra”.
Michele Manzotti
Foto 1 e 4 tratte dal libro
Tagged Alessandro Portelli, Barbara Dane, folk, Musica popolare