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Special

Giovani e indipendenti a Sanremo 2021

7 marzo 2021 by Michele Manzotti in Special

Greta Zuccoli

foto Luisa Carcavale

3 marzo - Ventitré anni, napoletana, autrice delle sue canzoni, Greta Zuccoli ha avuto un percorso insolito e ricco di collaborazioni importanti che l’hanno portata in breve tempo a essere considerata una delle migliori voci italiane della sua generazione. Con lei l’appuntamento al Teatro Ariston per il Festival di Sanremo è la sera di mercoledì 3, quando all’interno della categoria nuove proposte proporrà il brano Ogni cosa sa di te.

Nella sua biografia musicale c’è stato un incontro importante, quello con Damien Rice. Come è stato lavorare con lui?

Una grande esperienza non solo musicale, ma anche dal punto da vista umano, perché è un artista che in qualche modo riesce a tirare fuori una natura sincera nella scrittura e nel modo di stare sul palco, rispecchiando in modo autentico se stesso. E’ stato un incontro fondamentale perché mi ha aperto una finestra sul mondo della musica e del lavoro al suo interno. Quando l’ho incontrato avevo 19 anni: avevo le idee abbastanza chiare, ma non come adesso. Quindi queste esperienze in tour fatte insieme con lui all’estero, oltre al contatto con musicisti di differenti paesi, con la voglia di scambiare e condividere, mi sono rimaste dentro ed ora è il mio modo di vivere la musica. All’estero c’è la consuetudine dei collettivi musicali e degli scambi di esperienze: questa è l’impronta che mi ha lasciato

Siamo a Sanremo e nei mesi passati ha lavorato con il vincitore dello scorso anno. Ha carpito qualche segreto da Diodato, che è anche il produttore artistico del brano?

E’ un artista molto speciale, perché riesce ad avere un approccio veritiero con la musica (e qui trovo anche dei punti in comune con Rice). Questa cosa mi ha sempre molto colpito: ho fatto il tour con lui l’estate scorsa e ho avuto modo di conoscerlo e di condividere tante cose, in un periodo molto importante per lui. Inevitabilmente affiancarlo per molti giorni mi ha lasciato tanto e i segreti che ho carpito riguardano non solo la presenza scenica, ma anche le sfumature della voce che è anche il mio strumento. La meraviglia di rendersi conto dei colori, dei suoni, delle parole: sono cose che ho assimilato nel mio modo di porgere le canzoni. Specialmente ora che sto scrivendo in italiano, mi ha consentito di mettere a fuoco qualcosa di me stessa.

La canzone è scritta da lei, quali sonorità cerca per i suoi brani?

Principalmente prendo spunto da quelle del cantautorato classico e quelle del trip hop britannico. Ho cercato di amalgamarle, e anche da questo punto di vista il lavoro fatto con Diodato e Tommaso Colliva tende a esprimere al meglio quello che sono le mie influenze (che tra l’altro condivido con loro).

A quando un album a lunga durata?

Ci sto lavorando, scrivendo nuova musica. Probabilmente in questi mesi vediamo in quale modalità realizzarla. Sono molto emozionata dall’idea di portare il mio pubblico in questo nuovo percorso in italiano, una tappa importante per me

Folcast

foto Chiara Mirelli

3 marzo – “La scuola romana è dentro di me (cito Sivestri, Fabi e Gazzè) così come Roma è dentro di me, quando suonavo la chitarra in periferia e interpretavo canzoni di altri insieme agli amici. Io ho poi una formazione accademica al conservatorio di Frosinone, E’ stata importante, anche perché ho incontrato docenti che mi hanno dato ottimi spunti per la scrittura”. Così si presenta Folcast, Daniele Folcarelli di 28 anni, dopo che si è conquistato l’accesso alla finale delle nuove proposte dopo la prima serata in cui ha cantato la canzone Scopriti. “E’ un brano che ho scritto alcuni anni fa, solo in casa con il pianoforte. L’ho composto pensando a me, mettendo anche in gioco me stesso come ho provato anche a descrivere nel video. Ma è una tematica in cui si possono riconoscere anche altre persone, e ho avuto un ottimo riscontro da questo punto di vista. Penso inoltre che sia adatta ad essere interpretata da altri artisti”. Sull’esibizione ha detto che l’unica cosa da fare era quella di scendere le scale, chiudere gli occhi e cantare. “Inoltre ho avuto la fortuna di lavorare con un arrangiatore e direttore come Rodrigo D’Erasmo che ha fatto un grande lavoro” Il suo produttore artistico Tommaso Colliva ha aggiunto che con Folcast è nato qualcosa di diverso e molto bello: “Scopriti meritava di salire sul palco di Sanremo. Per noi era come l’esigenza di indossare un vestito da sera, Ci siamo mossi con le nostre gambe e siamo qui: Daniele è un grande ragazzo oltre che un musicista eccezionale e abbiamo fatto esattamente ciò che volevamo”

Marco Gallorini

foto Gabriele Spadini

4 marzo – Al festival di Sanremo non ci sono solo le grandi case discografiche. Esiste un mondo di indipendenti che ha contribuito a portare aria nuova sul palco del Teatro Ariston con artisti che il grande pubblico non conosce, ma che hanno una forte base di appassionati e considerazione della critica. E’ il caso di Marco Gallorini, dell’etichetta Woodworm di Arezzo, discografico de La Rappresentante di Lista. Parliamo con lui proprio dopo l’esibizione del duo.

Lei è un discografico indipendente toscano al festival. Ci piacerebbe sapere, proprio in questa veste, come ci si sente ad avere un gruppo o un artista che suona sul palco dell’Ariston. E’ il risultato di un lavoro collettivo per portare a Sanremo un progetto artistico importante?

E’ il quarto anno che sono a Sanremo, come discografici avevamo già avuto gli Zen Circus e come management siamo stati con Motta, per ricordare due nomi. Quindi questa dinamica con il festival per fortuna è diventata un’abitudine negli ultimi anni ed è il maggiore obiettivo del nostro lavoro in qualità di discografici in Italia, per ovvi motivi. Si tratta di una situazione che è così al centro dell’attenzione che devi portare la qualità della produzione a un livello molto importante. Da quel punto di vista è stato, ed è anche oggi il riconoscimento di un impegno di una squadra di professionisti che sono cresciuti negli anni, partendo dalla famosa gavetta, in questo caso un piccolo locale di Arezzo. Dall’altro lato abbiamo avuto fortuna e intuizione di prendere artisti con un potenziale importante, perché se no a Sanremo non ci si va. ll gruppo degli indipendenti al festival, quindi noi e altri colleghi, è arrivato dopo un lavoro durato dieci anni. Non sono cose che piovono dal cielo o per un caso fortunato. E’ una circostanza che dà ancora più soddisfazione alla fine di un percorso con tanti sacrifici e anche qualche errore.

I giorni del festival, per una realtà come la Woodworm, sono anche fatti di rapporti, scambi, progetti futuri. Come vive questo periodo?

Normalmente è così, quest’anno siamo condizionati dalla pandemia. Siamo anche organizzatori di eventi e il primo anno abbiamo allestito una festa sulla spiaggia la sera della finale che è diventata subito un punto di riferimento per tutti gli addetti ai lavori come occasione di riferimento. Quest’anno ovviamente non la possiamo fare. Così abbiamo sempre sfruttato negli anni i rapporti con gli altri operatori, anche per velocizzare una serie di riunioni o appuntamenti: normalmente occorrono tre mesi per cose che a Sanremo si fanno in tre giorni. E’ come se fosse una fiera per il mondo discografico. Ora è più complicato: Irama ha dovuto esibirsi grazie a una registrazione e se qualcuno dello staff è positivo l’artista non può salire sul palco.

Ieri c’è stata l’esibizione de La Rappresentante di Lista, che tipo di riscontri arriva a un discografico a Sanremo dopo l’esibizione di un suo gruppo?

Dipende dal singolo progetto. ogni artista ha suscitato reazioni diverse. Non nascondo che con La Rappresentante di Lista ci sono delle aspettative, anche di classifica. Quindi mi aspetto un determinato risultato, perché la performance ritengo sia di alto livello (per tre anni non l’ho detto, ma quest’anno mi sento di dirlo). Ci aspettavamo la posizione non alta nella graduatoria di ieri perché la giuria demoscopica ha meccanismi un po’ datati. Il distacco tra i brani però è minimo, poi la differenza viene fatta nelle sere successive. Quindi siamo sereni anche da quel punto di vista perché attendiamo il giudizio di stampa e orchestra. Da un punto di vista emozionale, e lo dico anche ai miei collaboratori, quando arrivi a questi appuntamenti importanti dopo un lungo lavoro (e qui parlo di otto mesi) ti metti davanti alla televisione e te la godi un po’. L’importante è impegnarsi al massimo prima: poi quando arrivi qui fai quello che devi fare e poi me la sono sempre goduta. E’ giusto che sia così, perché non è banale fare questo nella vita ed è bello sentirsi appagati.

Per fare questa attività è necessaria anche una grande dose di passione?

Certamente, e anche l’artigianalità che ritrovi anche in altre realtà. Abbiamo in corso questa collaborazione con Valentino, e con il direttore creativo che un guru della moda. E mi ha colpito molto che in una multinazionale ci siano valori di artigianalità e di passione che sono gli stessi nostri. E’ questo atteggiamento che ritengo importante, a prescindere dalla dimensione dell’azienda. Sono anche belle esperienze dal punto di vista della crescita personale e umana.

Una volta concluso Sanremo ci sono dei progetti a cui tiene particolarmente?

Abbiamo tanti artisti da seguire con dischi in uscita. Rimanendo in Toscana, ricordo il nostro progetto di punta che è Emma Nolde, molto giovane con la quale c’è un accordo e sulla quale ci sono aspettative importanti, dato che è una delle migliori tra le ventenni in Italia. Poi ci sono Motta, Zen Circus e altri, augurandoci dei tour estivi che sarebbero molto importanti. Sono contento, perché siamo comunque riusciti a sfruttare un anno difficile per la progettazione del lavoro.

Fulminacci

foto Filiberto Signorello

5 marzo – “Non avrei mai potuto rinunciare a Sanremo, sono sempre stato un fan del festival. Ho fatto bene perché questa è la prova più impegnativa da quando faccio l’attività di musicista. Una grande tensione, ma anche una grande gioia. Qui mi sto divertendo tanto”. Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci, si sta godendo le lodi della critica e i messaggi di stima che stanno arrivano sui social dopo le sue esibizioni al festival. Il pezzo in gara Santa Marinella è stato apprezzato per il suo stile cantautorale che ha scomodato paragoni importanti, come quello con il principe Francesco De Gregori.

“Mi imbarazzo un po’ quando me lo dicono – spiega Fulminacci -. Sicuramente De Gregori, con Dalla e Battisti fanno parte dei miei ascolti, così come la successiva scuola romana di Fabi, Gazzè e Silvestri. Per quanto riguarda la scrittura, di solito compongo i brani nella mia stanza preferibilmente alla chitarra. Poi faccio una piccola preproduzione, prima di andare in studio di registrazione per preparare i brani in bella copia”. Il musicista romano, classe 1997, ha conquistato il pubblico per la sua cover di Penso Positivo di Jovanotti insieme a Roy Paci alla tromba e con l’attore Valerio Lundini.

Anche lo stesso Jovanotti ha scritto il suo apprezzamento in rete. “Non ho avuto dubbi nel scegliere la cover – sottolinea Fulminacci -. Così come non li ho avuti per Santa Marinella, canzone che sarà nel mio disco Tante care cose in uscita il 12 marzo. Spero di poter portare dal vivo presto il mio repertorio, in Itaia e all’estero. E poi, anche se non accadrà mai, ho il sogno nel cassetto di fare un duetto con Elton John”.

Le Deva

foto Marco Piraccini

5 marzo  – «Prima di salire sul palco Orietta Berti ci ha fatto il suo grande in bocca al lupo, come se tutte quante fossimo una cosa unica – raccontano Le Deva, formate da Laura Bono, Greta Manuzi, Roberta Pompa e Verdiana Zangaro – È stato emozionante e probabilmente questa coesione fra tutte noi è arrivata forte e chiara anche al pubblico e all’orchestra, che ci ha messo al secondo posto. Il fatto di essere state votate e apprezzate così tanto da professionisti della musica ci inorgoglisce e rende ancora più felici per quello che siamo riuscite a fare: il bel canto finalmente ha vinto su tutto. Siamo immensamente grate a Orietta, al nostro team, alla vita e alla musica». Così il quartetto vocale ha espresso la propria grande soddisfazione dopo la serata delle cover al festival di Sanremo dove hanno cantato insieme a Orietta Berti Io che amo solo te di Sergio Endrigo. Un’occasione che ci ha permesso di parlare con una di loro, Roberta Pompa, che ci ha raccontato come sono arrivate alla rassegna.

Siete quattro voci differenti che si sono fuse insieme, da quale formazione provenite?

Ognuna di noi ha un percorso singolo e diverso: io ho sempre fatto pop, Laura è cantautrice, Verdiana è la nostra jazzista top, Greta invece è l’anima più legata al Rhythm’n'Blues. Tocchiamo un po’ tutti i generi, però ci siamo unite per creare una “bomba atomica” al femminile. Abbiamo trovato solo giovamento da questa unione perché ognuna dà qualcosa all’altra.

Avete pensato di presentarvi come interpreti o vi sentite anche compositrici?

Entrambe le cose. Nel nostro primo disco “Quattro” ci sono brani nostri scritti in collaborazione con Marco Rettani. All’interno del secondo album che stiamo ancora preparando, ci saranno più pezzi scritti da noi e quindi tanto de Le Deva. Abbiamo sfruttato questo periodo di isolamento per continuare a lavorare insieme grazie alle tecnologia. I frutti li vedremo in questa nuova produzione che speriamo possa uscire entro l’anno

Vi proponete di essere anche gruppo a cappella?

Non ci abbiamo mai pensato, anche se a volte l’abbiamo fatto dopo che ci era stato chiesto a bruciapelo, dividendoci le parti in pochi secondi. Chissà, potrebbe essere un’idea.

Come è nato l’incontro con Orietta Berti?

Il nostro autore guida Marco Rettani è anche uno degli autori del brano che Orietta ha portato a Sanremo. E’ stato un incontro casuale in studio. Lei ha ascoltato alcuni brani, le sono piaciuti e ha detto: ragazze, venite a Sanremo con me quest’anno. E noi ovviamente abbiamo accettato, onorate e felici di questa proposta di salire su un palco così importante insieme a un pilastro della musica italiana. Poi va detto: ha una voce pazzesca ed è una grande professionista, quindi noi da lei abbiamo solo da imparare. Sia come persona sia dal punto di vista lavorativo,.

L’atmosfera sul palco come l’avete vissuta?

Avevamo una tachicardia che non provavamo da tempo. Ritornare dopo un anno su un palco come quello dell’Ariston, con un’orchestra di musicisti pazzeschi, è stato magico. Le sensazioni che ho avuto, e parlo per me, dietro le quinte e andando verso la scena non le avevo da anni. Mi sono sentita come una bambina, anzi come Roberta trentenne con un’emozione incredibile, ma anche con tanta consapevolezza e tanta gratitudine,

Avete pensato a come portare in tour il vostro repertorio, una volta finita l’emergenza sanitaria?

Sinceramente no, per adesso siamo concentrate sul disco. Però non vedo l’ora di ritornare in sala prove tutte insieme con i nostri musicisti per lavorare e sviluppare i nostri brani.

Toto Barbato

nella foto Toto Barbato è secondo da sinistra

5 marzo – Era una cover molto particolare. Una canzone che poi si è trasformata in un appello-denuncia sul dramma dei lavoratori dello spettacolo. Non è per sempre degli Afterhours è stata presentata dallo Stato Sociale nella serata dei duetti, oltre che delle versioni dei brani di altri artisti, al Festival di Sanremo. Dopo la prima parte con la canzone vera e propria, si sono aggiunti sul palco Emanuela Fanelli, Francesco Pannofino e Toto Barbato in rappresentanza proprio dei lavoratori dello spettacolo. Il direttore artistico del The Cage di Livorno ha così portato sul palco di Sanremo la situazione del club, citato da Pannofino, così come dei tanti in Italia, ancora chiusi a un anno dall’inizio della pandemia.

“Sono molto amico dei ragazzi dello Stato Sociale – spiega Barbato -. Li ho chiamati a Livorno quando ancora erano un gruppo underground e sono tornati anche a Effetto Venezia, partecipando all’iniziativa L’ultimo concerto che si è tenuta in rete pochi giorni fa. Quando c’è stato da scegliere chi doveva rappresentare questo settore hanno pensato a me, anche per i miei trascorsi cinematografici. Di solito noi titolari di Live Club preferiamo restare dietro le quinte, ma stavolta c’era da metterci la faccia”.

Un’iniziativa che ha trovato un riscontro importante grazie alla vasta platea sanremese. “Ho partecipato alla conferenza stampa con lo Stato Sociale e fatto alcune interviste. Ma soprattutto mi sono arrivati tantissimi messaggi di colleghi, tecnici e musicisti. Con L’ultimo concerto e la partecipazione a Sanremo si è chiusa la fase uno della nostra iniziativa per difendere i Live Club, che deve continuare anche quando finirà la pandemia. Vogliamo infatti che questi luoghi siano riconosciuti come cinema e teatri dal punto di vista legislativo. Questo settore può rinascere, non solo con un codice Ateco specifico, ma soprattutto con leggi chiare e non restrittive come quelle attuali che risalgono agli anni 90 con qualche aggiornamento. Leggi che ci permettano di misurarci con i Live Club europei. Vogliamo essere riconosciuti e sederci al tavolo per contribuire a riscrivere la normativa”.

La Rappresentante di Lista

foto Manuela di Pisa

6 marzo – Mancano poche ore alla finale e La Rappresentante di Lista con il brano Amare si prepara a conquistare il pubblico del Festival di Sanremo. Stasera infatti sarà il televoto a spingere in alto i partecipanti alla gara. Accanto al palermitano Dario Mangiaracina c’è la viareggina Veronica Lucchesi. unica toscana sul palco (“C’è anche mia sorella alla chitarra” precisa) dato che l’esibizione di Irama sarà quella registrata durante la prova generale

Domanda d’obbligo: ci potete fare un bilancio di questi primi giorni sanremesi?

Veronica: Salire sul palco del Teatro Ariston per il festival è un’emozione gigantesca. Facendo musica in italiano l’abbiamo sempre sentito come il nostro festival. Possiamo anche dire che per noi è la realizzazione di un sogno. E’ molto strano ovviamente sentire che quel teatro è vuoto, che si fa fatica a incontrare gli altri artisti soprattutto, che è una parte bella e piacevole. Far parte di un festival del genere, vuol dire confrontarsi con altre realtà diverse dalla tua e quindi arricchirti con esperienze e incontri anche dal punto di vista personale. In questo momento non possiamo goderne. Comunque al di là della fatica del fatto di essere chiusi in un albergo da una settimana, il palcoscenico e il calore che ritorna dal pubblico, ci ricorda quanto è importante fare musica e passare messaggi che possano essere accolti con calore da chi ascolta.

Nel brano abbiamo trovato un forte omaggio alla musica dance. Una scelta precisa o è nato per caso?

Dario: Nulla avviene per caso, specialmente se prepari una canzone per Sanremo. In questo brano più che alla dance abbiamo pensato che Amare, anche per le tematiche che tratta, potesse avere un ritornello esplosivo con molta carica. Una canzone che facesse star bene, a compiere un’introspezione e capire che ci si può risollevare. Quindi un’atmosfera elettronica di spinta con la cassa dritta è legato alle sensazioni raccontate nel testo.

Avete appena vinto il premio per il miglior artista indipendente dato dal Mei. Cosa vuol dire essere e operare in una realtà indipendente (l’etichetta Woodworm di Arezzo) influisce dal punto di vista musicale?

Dario: Certo che sì, in qualche modo credo che la cosa più importante (anche se abbiamo comunque legami con una major) sia contare sul tempo per la ricerca. Una fase che permetta anche di sbagliare, di provare se si sta seguendo la strada giusta. Veronica: E comunque quella di portare avanti la propria identità, anche nell’errore come diceva Dario però rimanere quanto meno se stessi e rimanere libero e indipendente da determinati schemi e logiche. Dario: Ci siamo resi conto negli anni che è una delle vie migliori per creare un forte legame con il pubblico. Non c’è bisogno di essere sempre coerenti con se stessi, si può anche cambiare ma restare autentici.

Ci date un motivo perché bisogna votare per voi?

Dario: Perché siamo belli! Veronica: Perché vogliamo andare all’Eurovision Song Contest che è in palio oltre alla vittoria del festival. E’ un bellissimo live dove mi piacerebbe portare fuori dall’Italia un progetto particolare come il nostro che secondo me potrebbe essere divertente. Dario: Tra l’altro questa pulce nell’orecchio ce l’ha messa il pubblico: ci sta arrivando una pioggia di messaggi che ci spingono ad andare all’Eurovision. Realtà come la nostra permettono di portare in Europa una modalità di produrre musica differente dal solito.

Michele Manzotti

 

 

 

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