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foto (c) Cristina Canali
Piero Brega è uno dei personaggi di spicco della musica popolare italiana, nel corso degli anni è stato tra i fondatori del circolo Gianni Bosio, la voce solista e l’anima del Canzoniere del Lazio, ha avuto breve esperienza nei Carnascialia e collaborazioni con Giovanna Marini. Dopo dodici anni da “Fuori del paradiso” torna con un nuovo lavoro “Mannaggia a me ” pubblicato da Squilibri editore
Come mai questo titolo (che è anche uno dei brani dell’album)?
E’ una forma in cui si ammette la propria fallibilità, una sorta di mea culpa più laico. Se qualcuno conosce se stesso e sa che ha dei difetti, attribuisce le colpe non solo agli altri come è di moda ora, ma più a sé. Quindi non me la prendo con nessuno se non con me stesso, perché guarda dove diavolo mi sono andato a cacciare. E questa è la storia.
Spesso non si conosce molto bene la scena musicale di Roma (riferita al linguaggio popolare) al di fuori dei confini della capitale, nonostante il valore dei musicisti. Ci può descrivere la situazione attuale?
La scena è fatta di tantissimi immigrati interni, ragazzi fuori sede, studenti universitari o già laureati che approdano a Roma a trovare un lavoro. Tutte persone che hanno una grande cultura musicale tradizionale e hanno la capacità non soltanto di suonare strumenti tradizionali, ma anche di modificarli a loro uso e consumo perché si è perso, per fortuna, quello strano rispetto museale per le forme antiche. Allora capita che uno zampognaro (ne ho sentito uno qualche anno fa, ma la tendenza sta continuando) modifichi lo strumento dei suoi padri. ed era un cultore della zampogna molisana e laziale, e tirava fuori degli accordi minori. La zampogna diventava così uno strumento per suonare il blues. La commistione tra la cultura dei nostri padri e quello che ci ha portato a suo tempo la radio negli anni Cinquanta, ha portato a un grandissimo fermento. Senti musiche belle, nuove, diverso. Certo, le devi andare a cercare perché non sono ancora accettate dal sistema tanto da essere rappresentate a Sanremo, dove invece dovrebbero essere.
Nel disco, Roma è l’ispirazione principale. Generalmente è la sua fonte per scrivere canzoni?
Certamente. Io ho passato molti decenni a fare l’architetto e le musiche e parole che scrivevo stavano nel cassetto. Andavo in giro per cantieri con il motorino e conosco Roma come un tassinaro. Quindi Roma è lo scrigno della mia poetica e del mondo estetico che tenevo dentro. E’ tutta lì, come gli zingari io nascondo i miei stracci nei vari posti. Vado in piazza tal dei tali e mi ricordo la storia x. Roma mi compare anche in sogno.
Veniamo alle sonorità che ha dato ai brani: chi ha collaborato con lei in questa incisione?
La prima persona da citare è la mia compagna Oretta Orengo, oboe e corno inglese, diplomata in conservatorio, che mi assiste in questo lavoro e contribuisce in maniera creativa. Anzi un giorno ci siamo guardati nelle palle degli occhi e abbiamo detto: facciamolo. Come i Blues Brothers siamo andati a cercare i musicisti con i quali avevamo avuto rapporti affettivi e di lavoro, anche di quando eravamo ragazzi. A cominciare da Luciano Francisci con cui non ci vedevamo da quarant’anni: da giovane era campione italiano di fisarmonica, e la suona come nessun altro. Poi Ludovico Piccinini il chitarrista che con me per alcuni anni ha riproposto canzoni di Bob Dylan tradotte, progetto che non abbiamo affatto abbandonato. Quando gli ho detto che facevamo il disco mi ha risposto: va bene, ti porto il bassista. Poi il batterista Piero Fortezza era quello dell’album precedente, un “fratello de casa” e quindi eccoci qua con il sestetto. Poi vado a fare sentire il materiale a Giovanna Marini, cosa che faccio sempre prima che esca. Lei sente il disco tutto di un fiato e mentre lo ascolta dice “anvedi ‘sto bassista” che è Emanuele Marzi, l’ultimo arrivato in ordine di tempo: se non c’era bisognava inventarlo.
Ha parlato di un grande personaggio, qual è il suo rapporto con Giovanna Marini?
La conobbi andando a sentirla cantare in un posto sulla via Flaminia nel 1972. Sento le sue ballate e mi dico, lo fa lei perché non lo posso fare io? Suonava adattandosi all’ambiente ed era tutta presa nel racconto: aveva una capacità comunicativa gigantesca. Anch’io mi interessavo alla musica popolare e in quel momento ero in contatto con Alessandro Portelli per la ricerca che facevamo nelle campagne e nelle periferie. La conosco direttamente e nel 1973 lei generosamente mette il nostro Canzoniere del Lazio dentro uno spettacolo dove lei canta le sue ballate: dentro c’è un altro autore di canzoni, Gianni Nebbiosi, che ora fa lo psichiatra e che si era portato un gruppo elettrico .Questa strana compagine va nei teatri e si chiama Fare musica 1973. Da lì con Giovanna è nato un rapporto importante, mi ha dato una parte qualche anno dopo, siamo andati a fare un giro in Francia importantissimo e pieno di successi in una vita da convitto. Andavamo al mare nello stesso posto, a San Nicola Arcella dove aveva una casa, io piazzavo una tenda a tre metri dal mare. Recentemente lei mi ha ricordato che era arrivata l’alta marea e l’acqua era entrata nella tenda. Eravamo proprio matti!
Le tracce sono tutte firmate da lei o ci sono altri autori?
Le canzoni sono mie, testo e musica a eccezione di una che è Marinaio senza mare. Il brano è l’emblema di una collaborazione trentennale con un pianista, amico come quei pochi che restano nella vita, Adriano Martire, con cui ho scritto un’infinità di canzoni, facendo come Lennon-McCartney. L’arrangiatore del disco precedente mi disse: “tu hai un dono, con Adriano permettete l’uno all’altro di entrare in un mondo così delicato come quello dei lavori in corso di una scrittura musicale. Insieme riuscite a fare cose meravigliose, Non ti dimenticare di questo”. Ogni tanto vado da Adriano, che prima vedevo molto più spesso, gli porto una canzone abbozzata e lui ci mette sopra il suo tocco meraviglioso. Marinaio senza mare l’ha scritta lui e io ho aggiunto un paio di strofe. C’è un nostro amico critico musicale, Paolo Fusi, che l’ha definita come migliore canzone italiana degli ultimi 50 anni. E’ una opinione, ma considero il brano una pietra angolare.
Come si può reperire il disco?
Nella rete di Feltrinelli, in Squilbri.it o mi potete contattare su Facebook, Su YouTube c’è anche una cosa molto carina dall’Auditorium della scuola di Testaccio che è il riferimento di tutti i musicisti strampalati a Roma, un contro conservatorio popolare dove si studia jazz, lirica, classica. Tra gli streaming c’è anche un mio concerto.
Il disco contiene undici tracce che definiscono bene l’universo poetico di Brega e le sue influenze musicali. “Il sorriso di un pensatore” (“Mentre la lana del mio cappotto si fa una crosta grigia di sporco, cammino per le strade e non sono ancora morto, dove le scarpe mi porteranno dove nessuno mi può trovare, godo del sole del vento del clima, me la rido e canto in rima”) che apre il disco, è un valzerino folk sostenuto dal fagotto e dalla fisarmonica che accompagna il canto dignitoso di un barbone. “Triangoli quadrati” (“Siamo geniali, siamo eccentrici, siamo ai margini del normale, siamo dei mostri angelici, siamo degli abnormali, siamo cavalli di razza da tiro, siamo la trasgressione, stiamo fermi andiamo in giro , siamo la prossima stagione”) è una riflessione sugli artisti che si muove sullo swing e cambi di tempo. “Mannaggia a me” (“Galleria della stazione ci sta un urlo disumano, vai a capire dove cazzo viene, s’è fermato per un attimo il rumore.. Improvvisa la fiumana dalla metropolitana con facce di fastidio e schifo, passa via e senza parlare perché sanno proprio bene, basta poco basta niente, ti ci trovi altro che scelte”) è un racconto metropolitano sostenuto dall’oboe e dal corno inglese. Sonorità rock con la chitarra elettrica in primo piano per “Strada scura” (“Nella città bruciata le storie sono chiodi, dopo la fiaccolata due negozi vuoti, soffia il fiato vellutato della sera, sulla puzza pesante del canale, cantano le rane all’ombra de le canne, prima porta è una borgata in fiamme”),.”Gelosia” (“Una baietta tra scogli di rosa, lisciati dal mare in tempesta, stavi li nuda ad offrire corpo e cuore a un nuovo amore, altro che sole”) è una struggente ballata d’amore ricamata dalla chitarra classica, “Sono un vecchio marinaio senza mare” (“Non mi piace la campagna e detesto la città, sono un ateo sui generis non credo all’al di qua, io baro al gioco ma nella realtà, sono solo un poeta e così mi va, adoro la metafora, mi attira il paradosso, sono schiavo della carne solo quella intorno all’osso, la vita è sempre un po’ più in là e questo sono io.. “) è un ironico ritratto con la batteria in primo piano e gli ottoni. Ancora l’oboe crea un clima francese ricco di pathos per “In mezzo al mare” (” Ogni onda di mare può sciogliere il sale, aiutarci ad amare, a ridere a darci la mano, a guardare lontano, accertarci per quello che siamo, nel giorno per giorno sarà una piccola inutile felicità”). Si passa a sonorità jazz per “Tempo arido” (“Noi disillusi al chiaro delle stelle, cercando nel mosaico sparso che la vita ci ha dato e là inginocchiati nella polvere scegliendo tra i colori la traccia d’un sentiero per uscire fuori”), si ritorna alle chitarre per raccontare la storia popolare di “San Basilio” (“La terra sale e scende come il mare, al passo dietro al carro del dormiente, ogni parola è rabbia da gridare, come una disperata, come una demente, maledetto chi m’ha detto di sperare, Basilio è morto e resto senza niente , grido Basilio e chiamo piangente, come fanno tutt’intorno l’altra gente”). “Dal lago della giovinezza” (“è sufficiente che faccia il solito, mettendoci un po’ più d’olio di gomito, non chiederti quanto durerà, il tempo non farà la differenza, dei maestri che hai scelto fai tanto bene senza, la tua solitudine per ora aspetterà, l’illusione è la tua sola strada, donna verrà donna verrà”) parla di un amore sofferto, dove l’uso del dialetto sottolinea ancora di più il dolore. Ritorna la fisarmonica che si intreccia alla chitarra per il finale di “Centomila pensieri fuggono” (“Sentire il mare che c’è nel vivere , quando non c’è più niente da fare, vedo sparire anche l’ultimo, anche l’ultimo andare , era un giovane timido e schivo, come un inquieto mare, per questa volta sembrava dire non te la prendere, ma devo devo andare”). Un ottimo ritorno per Brega, cantore dell’umanità e della metropoli con le sue tragedie, con i suoi amori, con le sue speranze. Lo stile è asciutto, diretto, a tratti amaro, a tratti ironico con una voce profonda, adatta a cantare gli ultimi. Undici stanze di vita quotidiana pennellate con amore, un balsamo che tocca bene le corde dell’anima, specialmente in questi tempi così aridi. Il disco è arricchito dalle illustrazioni di Marco Brega e da un’introduzione di Giovanna Marini
Marco Sonaglia
Tracce
Il sorriso di un pensatore
Triangoli quadrati
Mannaggia a me
Strada scura
Gelosia
Sono un vecchio marinaio senza mare
In mezzo al mare
Tempo arido
San Basilio
Dal lago della giovinezza
Centomila pensieri fuggono
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