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La serata si è conclusa con il pubblico ammassato sotto il palco. Un giusto omaggio a un gigante della musica folk americana, erede non più giovanissimo del miglior cantautorato di Oltreoceano. A Steve Earle, classe 1955, nato in Virginia ma texano a tutti gli effetti, bastano infatti una chitarra e un’armonica per conquistare una platea per quasi due ore di musica ad alto livello. Senza effetti speciali, con tanta forza creativa e contenuti solidi. Quello di Earle è stato inoltre un ritorno dopo cinque anni nel cartellone del festival romagnolo Strade Blu, dedicato tradizionalmente ai linguaggi folk con particolare attenzione per quelli legati alla ricerca di nuove sonorità attraverso il recupero delle radici. Si è trattato di una serata dal programma che inaspettatamente ha visto la musica di Howe Gelb introdurre il set di Earle. Il musicista dell’Arizona, noto anche per il progetto Giant Sand, doveva suonare il giorno precedente ma le condizioni meteo avevano consigliato il rinvio del concerto. La sua disponibilità di restare a Faenza ha consentito al pubblico di mettere a confronto due modi diversi di affrontare il country. Quello di Gelb è sicuramente più sperimentale, con echi di altri generi e l’uso delle tastiere alternato a quello della chitarra. In trio con Steve Shelley alla batteria e Maggie Björklund, strumentista danese di pedal steel, la proposta del musicista è fatta di sensazioni forti e suadenti al tempo stesso. Un repertorio basato in parte sul suo ultimo album The Concidentialist.
Tutt’altre sonorità con Steve Earle. La tradizione in questo caso è molto forte e non solo nella musica. Earle è un musicista militante contro pena di morte (il più famoso dei suoi brani sul tema è Elis Unit One inserito nella colonna sonora di Dead Man Walking) e proliferazione delle armi, seguendo la strada indicata da grandi songwriter del suo paese a partire da Woody Guthrie. Earle è arrivato in Italia sulla scia del suo disco The Low Higway in cui con i suoi The Dukes (& Duchesses) rivisita il genere Americana nelle sue varie sfaccettature espressive. Dell’album Earle ha presentato il brano omonimo e 21st Century Blues a inizio scaletta. Poi ha ingranato la marcia dei ricordi accontentando una buona parte di pubblico. Ecco quindi le ballate Goodbye e Now She’s Gone, il breve medley Dominick St./The Galway Girl, My Old Friend The Blues, South Nashville Blues, la cover di Townes Van Zandt Rex’s Blues . E alla fine quella Christmas in Washington dove si invoca il ritorno sulla terra di Woody Guthrie. Il tutto con un’energia accompagnata da una spiccata vocazione alla linea melodica e al testo. Caratteristiche che fanno di Earle un songwriter di pura razza.
Michele Manzotti e Giulia Nuti
Foto Michele Manzotti
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