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Con “City of Broken Dreams” aveva confermato le sue grandi doti artistiche. Il disco, inciso per l’etichetta Ecm (distribuita in Italia da Ducale) per la quale incidono nomi come Keith Jarrett e Jan Garbarek, aveva portato Giovanni Guidi a una maggiore attenzione da parte del panorama jazzistico internazionale. Oggi il pianista umbro fa il bis con lo stesso marchio con l’album dal titolo “This is The Day”. Un disco in cui il linguaggio di Guidi si fa più sperimentale, sicuramente più coraggioso, con una minore indulgenza nei confronti della melodia. Il risultato è di grande efficacia con brani come Trilly (ripresa anche in una variazione), The Debate, Where They’d Live, The Night It Rained Forever.
Il Cd “This is The Day” è inciso nuovamente in trio. Trova questo tipo di formazione la più adatta alle sue creazioni musicali?
“Onestamente mi trovo bene in qualsiasi ensemble, come può essere il duo il quartetto o il quintetto. Piuttosto è questo trio, ovvero i musicisti Thomas Morgan al contrabbasso e Joao Lobo alla batteria, con cui mi rapporto in modo eccellente e con i quali avevo suonato nel primo disco Ecm”.
Partiamo proprio da questo album: dato che ha avuto un ottimo riscontro tra stampa, pubblico e addetti ai lavori, non ha sentito una certa pressione nell’affrontare un nuovo disco con un’etichetta come l’Ecm?
“Non è stato certo un successo da montarsi la testa, atteggiamento che d’altra parte non mi appartiene. Mi ha dato molta soddisfazione, ma bisogna ricordarsi che il settore è di nicchia e non c’è una visibilità come in altri. Piuttosto mi ha spinto come sempre la voglia di fare bene”.
Il jazz italiano all’estero come è visto?
“Noto che sono apprezzate tante cose, ma forse quelle meno interessanti. C’è un movimento di grande stimolo artistico che però si muove come in un sottobosco. In Italia c’è una corrente che tende a perfezionare l’hard bop degli anni ‘50. Una scelta apprezzabile, ma che non mette in luce tutto il lavoro che fanno tanti musicisti, specialmente nel caso dell’avanguardia.”
Dopo alcuni anni di una carriera già importante, si diverte come prima a suonare dal vivo?
“Fa parte del mio lavoro e mi piace sempre. Magari a volte rifletto che si tratta di un’attività che può avere il rischio della routine. L’importante per me è cercare di dare al pubblico che mi viene ad ascoltare la mia stessa emozione che esprimo quando suono”.
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