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Che i Post-Csi , come oggi si fanno chiamare , abbiano ricondiviso da tempo le loro strade e fatto i loro conti con la loro storia era un fatto noto. Oggi invece li ritroviamo in formazione allargata, che vede la presenza di alcuni tra i migliori nomi tra i giovani del panorama musicale del nostro Paese. Tutti insieme a dare voce all’ultimo Lp ufficiale in studio dei CCCP , datato 1990 , creando una situazione del tutto nuova: una sorta di spettacolo cabaret punk in grado di rivalutare e ricreare le atmosfere di un disco prendendodistanza da tutto ciò che oggi è dominante: la superficialità degli ascolti, la mancanza di memoria, la fragilità estrema delle proposte di musiche odierne , alternative e non. Cosi Epica,etica, etnica e Pathos diventa un “concept“, termine che applicato ad un gruppo punk sembra contradditorio ma che invece ridisegna chiaramente qual è la geografia musicale non solo dei CCCP ma di tutto il rock italiano: il disco è l’anello di congiunzione tra tre storie di rock “massimalista“, CCCP appunto, Litfiba che da lì a poco ripartiranno con differenti prospettive e risultati e i CSI, destinati con questo apocrifo ad essere ironicamente in parallela sintonia con gli avvenimenti politici del maggiore dei paesi euro-asiatici E di Asia nel concerto di Roma , presentato come progetto unico all’interno del “RomaEuropa Festival“ (anche se c’era stata a Maggio l’anticipazione alla Stazione Leopolda di Firenze) , se ne rivive molta. Lo spettacolo inizia con la voce di Brunori Sas che insieme a quella di altri ha il compito arduo di sostituire quella di Lindo Ferretti, (gli altri assenti sono Annarella Giudici e gli scomparsi Ringo De Palma e Luigi Ghirri, fotografo della copertina che campeggia alle spalle della band). Poi si aggiungono gli altri : Max Collini degli Offlaga disco Pax in Aghia Sofia, Ginevra Di Marco, che nel disco originale non c’era ma che sarà poi fondamentale nel proseguio della storia della band in Paxo de Jerusalem, Vasco Brondi in Narko’s, l’agitato e agitante Fatur in Baby Blues.
Una liturgia, dove a fare da officiante è Massimo Zamboni e dove le voci si susseguono celebrando “tutto lo sporco degli anni novanta con la tecnologia degli anni settanta“, come recitava la nota di copertina del disco, che allo stesso tempo ci forniva all’epoca anche delle nozioni nuove: la musica folclorica balcanica assunta dalle feste dell’Unità e non da collane discografiche patinate e lussuose, lo sguardo ai fatti e alle cose, disarmante e insieme lucido dei testi di Ferretti. Il tutto avviene però in un allegria contaminante e lontana dalle celebrazioni un po’ luttuose che accompagnano di solito operazioni sul passato : dopo l’esibizione elettronica dello Stato Sociale in Depressione Caspica è la volta di un appassionante Amandoti affidata alla voce di Appino degli Zen Circus accompagnato dalla fisarmonica di Antonio Aiazzi, e poi ancora Francesco Di Bella dei 24 Grana, e sorprendente in Mozzil’ O re, che poi viene coadiuvato da Angela Baraldi in Maciste contro tutti. Gran finale con il duetto con le due voci femminili e speculati della Baraldi e Ginevra Di Marco: quasi una chiusura del cerchio. La band esce e poi rientra per il bis di Emilia Paranoica, fuori dal disco ma dentro le viscere del pubblico, in una versione particolarmente sguaiata e fuori dalle righe. Del resto una celebrazione se non è “sporcata“, non è tale.
Ugo Coccia