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L’attitudine di Joe Harrison è quella di trasformare materiale di vario tipo in un linguaggio chitarristico che parte dal jazz ma che supera i generi. Lo strumentista di Washington D.C. ha infatti assorbito l’atmosfera che la capitale federale ha proposto nei decenni precedenti, con tutti i generi rappresentati da artisti di rango, come si conviene a una città dove hanno sede governo e parlamento. Poi ha studiato jazz con Bill Harris, musicista che non disdegnava la buona musica in genere. In Mother Stump troviamo uno stile elettrico che rilegge pagine tradizionali e standard di Buddy Miller, Paul Motian, Leonard Cohen, Al Kooper e altri autori. Bravi i collaboratori Michael Bates al basso, Jeremy Clemons alla batteria e in alcune tracce Glenn Patscha alle tastiere. Ascolto per orecchie allenate, che possono apprezzare tutte le sfumature del lavoro di Harrison. Segnaliamo la massa sonora di Folk Song For Rosie, il blues originale di Harrison Do You Remember Big Mama Thornton?, le remiscenze bop di Stratusphunk, la melodia in parte destrutturata di Suzanne.
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Restiamo sempre a Washinton D.C. dove un altro chitarrista, Anthony Pirog, ha invece inciso un album di proprie composizioni. In trio con il bassista Michael Formanek e il batterista Ches Smith, Pirog è al suo debutto discografico come leader. Anch’egli ha un’esperienza molto vasta nelle sale da concerto e nei locali della capitale e il suo stile ha modelli importanti come Bill Frisell e Alan Holdsworth ma anche il linguaggio minimalista. Per questo il suo jazz elettrico è molto vario, senza perdere comunque di vista il gusto della melodia. Tra le tracce segnaliamo l’orientaleggiante Song in 5, la riflessiva The New Electric, e soprattuto l’hard bop misto all’elettronica di Head. Ottima prova strumentale e compositiva.
Michele Manzotti
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