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Collecting The Bluesway label
Una notizia di poco conto: dopo otto anni di ricerche ho trovato l’unico album su vinile del gruppo Gospel della Spencer Jackson Family su etichetta Bluesway. Con l’acquisizione di esso ho terminato di collezionare l’etichetta americana Bluesway, una collezione iniziata, proprio con la ricerca di questo ellepi, nel 1995.
L’etichetta statunitense Bluesway venne fondata come "custom label", marchio sussidiario, sotto l’ala della etichetta madre ABC records, nel 1966. I dirigenti di quella prestigiosa firma discografica speravano, con essa, di monetizzare l’emergente interesse dei giovani bianchi verso gli artisti di colore di Blues. Pensando perciò che i maggiori fans di quel genere erano studenti appartenenti alla cosiddetta "counter-culture," che non gradivano affatto l’ approccio delle grandi compagnie verso la musica, decisero che un marchio chiamato "Bluesway" sarebbe stato più accreditato di quello "ABC." .
La Bluesway nacque da una idea del produttore jazz Bob Thiele, un personaggio con grande credito presso la ABC, soprattutto per aver fondato la Impulse, l’etichetta che accolse il jazz più moderno degli anni sessanta, da John Coltrane a Archie Sheep, da Charlie Mingus a Sun Ra e che ha continuato a testa alta fino alle porte del duemila. Thiele, a ogni buon conto, non seguì mai la Bluesway da vicino, se non per la creazione del marchio e per aver portato B.B. King alla ABC fin dal 1962, affidando invece il lavoro giornaliero ad altre persone, ma detenendo l’idea della creazione.
L’unico artista ad aver veramente venduto su etichetta Bluesway fu proprio B.B. King, il quale, legalmente parlando, si trovava tecnicamente legato con un contratto alla ABC-Paramount (dove era approdato dalla Modern/Kent nel 1962). Il primo album ad essere pubblicato fu, "Blues is King" del chitarrista di indianola, Mississippi.
La casa madre ABC ebbe un atteggiamento molto discontinuo verso il marchio Bluesway alternando esperimenti di blues elettrico - alcuni album venivano registrati in una mattinata e non è difficile distinguere, se possedete un buon numero di quei dischi, l’ordine e la sequenza delle session e il modus operandi del produttore di turno! - a dischi di B.B. King, come il mitico "Live and Well" (quello con la grande, definitiva, versione di "Thrill is Gone" ).
In alcuni casi, come per Jimmy Reed, Big Joe Turner e Jimmy Witherspoon si ristamparono vecchie matrici alternandole ad album ufficiali. Di Ray Charles la Bluesway ripubblicò un concerto dei primi sessanta mentre il cantante non vedente continuava la propria carriera sul marchio “ madre” ABC, che, a sua volta, era anche la casa di distribuzione dei dischi della “Tangerine”, il marchio di proprietà di Charles. Ray, per amore della precisione e delle statistiche, non incise mai per la “sua” etichetta relegandosi spontaneamente a ruolo di produttore ed executive.
La ABC affidò la prima serie, un’intera uscita di ben 15 album a un solo supervisore ( Nick Venet, che proveniva da una serie di successi nella prima metà dei sessanta ), le produzioni a un paio di giovani produttori losangelini, come il non ancora celebre Bill Syzmzyck- in seguito divenuto famoso grazie al grande successo con “The Eagles” e che sfruttò la Bluesway per imporsi, grazie soprattutto proprio al lavoro con B.B. King in “ Live & Well”. Le note di copertine di buona parte di quella prima serie vennero affidate al giovane giornalista di San Francisco Joel Selvin, oggi capopagina dell’inserto “entertainment” del San Francisco Gate, all’epoca assistente del mitico critico Ralph J. Gleason, il promotore della beat generation, prima, del San Francisco Sound, dopo, e, infine, il fondatore della rivista “ Rolling Stone”.
Dopo la prima serie di 15 album, che presenta una grafica differente dai due “logos” successivamente usati, la “ Bluesway” ampliò il proprio raggio di azione e la sua storia è riconducibile ad altri due distinti periodi: quello di mezzo, che mostra fin da subito ancora lo smaccato interesse verso B.B. King gli album 6016, 6018, 6022, 6031 e 6037 sono di quell’artista, mentre nella prima serie il chitarrista ne aveva visti pubblicati altri due ( 6001 e 6011) - mentre l’ultima e terza parte della discografia è riconducibile dai numeri di catalogo intorno al 6040 in poi e denota una serie di problemi di direzione del marchio e della etichetta di riferimento. Infatti sono ben 4 i dischi non pubblicati fra il 6040 e il 6045. Questa pratica, molto diffusa nel Blues dimostra come presso la casa madre l’etichetta ”Bluesway” non intraprese mai il volo. L’ordine catalogico è pieno di ripescaggi e quello numerico non rispecchia quello delle registrazioni.
Da lì in poi la produzione e la diffusione della “Bluesway” coincideranno a una ricerca verso un’area del Blues di stampo antico, “ downhome”, lasciandosi alle spalle il sound saturo e pulsante degli studi losangelini. Ne sono dimostrazione gli album di Sunnyland Slim, Homesick James, Snooky Pryor, Johnny Young , Roosvelt Sykes. Tra le registrazioni dell’ultima serie vale la pena di ricordare quelle di Carey Bell che incise il suo primo album da solista con la collaborazione di Michael Bloomfield, il quale, così, continuava, indefesso, la propria personale opera di divulgazione del blues nero di Chicago, iniziata appena sedicenne nei primi sessanta.
Il suono dei dischi della “ Bluesway” è piuttosto riconoscibile per alcuni semplici motivi, in parte tecnici - l’uso degli stessi studi per quasi tutti i dischi - in parte umani - i musicisti sono un ristretto numero, quasi sempre quello- in parte produttivi - i produttori prediligono un suono scarno e saturo, prevalentemente elettrico.
I budget di registrazione, B.B. King escluso sono sempre, evidentemente, risicati; alcune delle sedute paiono realizzate nei tempi morti di altre.
Alcuni artisti - come John Lee Hooker - incisero per la Bluesway rarissimi singoli non su album. Merito della “ BluesWay” fu quello di aver dato spazio a personaggi minori come Big Moose Walker e Andrew “ Big Voice “ Odom che, persi nell’anonimato, altrimenti con sarebbero mai potuti approdare in uno studio di Los Angeles. Quest’ultimo, a detta di Selvin, fu una vera casualità dell’etichetta, ripescato da quell’anonimato fu sideman di John Lee Hooker tra il 1968 e il 1970 apparendo in un paio di album di questo - dove tornò dritto dritto dopo l’incisione di due dischi (6035 e 6055 ), il primo dei quali non venne pubblicato. Odom riaffiorò grazie a quella unica registrazione pubblicata con l’etichetta divenuta presso gli appasionati di Blues un must e partecipò a tre tour europei dell’”American Folk Blues Festival “( 1972, 1974, 1982 ), collaborando tra gli altri con Little Milton e prima di morire ( 1991 ) con il gruppo canadese “Gold Tops”. La Bluesway dette spazio a vecchi leoni come Roy Brown, l’autore di Good Rockin’ Tonite” nel 1949 e permise a Lucille Spann, moglie di Otis di incidere l’unico suo album ( Lucille celebra il compianto Otis nel doppio “ Ann Arbour Blues Festival 1972 su etichetta ATCO / Atlantic 2 - 502).
La “ Bluesway”, nell’ottica propulsiva contemporanea della ABC e di un po’ tutta la discografia americana dei tardi anni sessanta pensate alla CBS di Clive Davis durante in San Francisco Sound con gruppi quali gli “It’s A Beautiful day “- tentò anche il lancio di un qualche gruppo bianco “ minore”. Dopo averci già provato con la Dirty Blues Band(con un giovanissimo Rod Piazza all’armonica) e la Outlaw Blues band( quest’ultima ristampata dalla italiana Akarma ) la Bluesway ”made the ends meet” con la James Gang di Joe Walsh - in seguito chitarrista con “ The Eagles “ - proveniente da Cleveland, Ohio, finalmente un successo!.
I discografici della ABC pensando che il trio non potesse essere pronto per essere recepito su ABC lo dirottò nel roster Bluesway; ma vennero smentiti dal successo di brani come “ Funk 48“ e “ Take a look around”. Con questi due successi il gruppo guadagnò la major league e i dischi fino a quel momento pubblicati su Bluesway vennero ristampati dalla casa madre, ABC. Il successo della “James Gang”, non fece il gioco della sussidiaria che continuò, invece, ad essere l’apripista per B.B. King e che, per volere dei vertici dell’etichetta di Los Angeles, così continuò, nonostante le pressioni dei produttori, dei supervisori e dei consulenti che premevano invece per far crescere di potere il marchio.
Nel 1973 la “Bluesway” tentò anche la strada del Gospel con Spencer Jackson Family ( album amatissimo dai dj di rare groove, oggi vale 250 euro e non è mai stato ristampato), proprio mentre la ABC dava alle stampe l’album del reverend Cleophilus Robinson. Gli ultimi prodotti mancarono, però, perfino graficamente, di una caratterizzazione editoriale precisa, con marchi e logos come accennato già alla terza modifica.
La tubercolosi di T Bone Walker ( morirà nel 1975), sul quale si voleva puntare per affiancarlo a B.B. King, affrettò il processo di smembramento della etichetta; di lui restano 2 dischi fra i primi 15 ( 6008 e 6014 ) mentre il “così-dichiarato ” terzo periodo inizia idealmente con un altro disco dello stesso T Bone (6058). Nel frattempo Walker aveva per di più pubblicato un disco dal vivo registrato al festival di Montreaux (“Fly Walker Airlines“) per la Polydor americana, fregandosene dei contratti e di tutto e tutti.
Fu forse questo avvenimento a convincere la casa madre ABC a puntare intanto su nuovi progetti altrove, primo fra tutti la nascita del marchio “Sound Of South”, su suggerimento di Al Kooper che ne fu talent scout ed A & R, e che avrebbe portato al successo in breve tempo I Lynyrd Skynyrd.
La Bluesway cadde in disgrazia e si spense senza mai morire, lasciandosi alle spalle 66 album e 88 numeri di catalogo.
La crisi energetica del 1974 fece il resto e il detto latino “Ubi Maior, Minor Cessat” venne messo in pratica senza sentimenti da parte della casa madre, ABC records.
Quando, anni dopo, la ABC vendette il proprio intero catalogo alla MCA, BluesWay compreso, tutto passò a quel colosso inghiottito poi a sua volta dalla Universal Pictures prima, dalla Seagram poi, nel 1998 ed infine dalla francese Vivendi, nel 2000 e poi dal nuovo marchio americano Universal, nel 2003.
Gran parte dei dischi in vinile della “ BluesWay” non sono mai stati ristampati, essi costituiscono un pregiato e ghiotto boccone per i collezionisti del blues moderno.
La collezione intera è oggi pregiatissima.
Per completare la mia personale collezione ho viaggiato nei luoghi più disparati del mondo: da Olema ( Golden Gate records ) a Mill Valley ( Village Music ) e poi a San Francisco (Amoeba records ) in California, ad Orlando ( Rock & Roll heaven) in Florida, Da New York City ( Footlight, Downtown Music Gallery, mercatino del parcheggio di Chiantown, Other Music ) a Sommerville, sobborgo di Boston ( Nugget Records ), dal Texas ( Records by Mail ) a Chicago ( Solid Viper), in Canada ( Beatnick records ). Sono volato lontano per incontrarmi con collezionisti privati su in Finlandia, ad Amsterdam, alle convention annuali di Wembley, a Londra, e di Brighton, Parigi, Amburgo, scendendo fino a Strasburgo, infine sostando a Vinilmania a Milano. Amici come Fabrizio Berti e Gregg Levethan di Pond Ridge, NY grandi collezionisti pure loro hanno pensato bene di contribuire pure loro, regalandomi un disco della Bluesway (quando ne trovavano uno che mi mancasse!) per questo o quel Natale o compleanno e per quelli li ringrazio pubblicamente.
Ho cercato di non essere oggetto di speculazioni di collezionisti o negozianti loschi, facendo mille ricerche incrociate sui prezzi, sulle condizioni ma soprattutto sulle reali richieste dei dischi Bluesway. Ho così incontrato ed intervistato giornalisti come Joel Selvin, il collega francese Sebastian Danchin (autore di uno splendido volume su Earl Hooker per University press of Mississippi), produttori come Detlev Hoegen e Denny Bruce, il gotha della Universal americana.
Adesso, come diceva il grande Muddy Waters, “I’m satisfied”.
È stato un lungo meraviglioso viaggio nel blues a cavallo fra i sessanta ed i settanta in una America che cambiava; un viaggio iniziato molto tempo prima, con una raccolta di Jimmy Witherspoon, comprata usata da Contempo records a Firenze, negli anni settanta e un album di B.B.King su Bluesway acquistato non consape-volmente, ma per “vox populi“, credendo incondizionatamente al giudizio di Luca Lupoli, la cui voce nel Blues è tutt’oggi sinonimo di rigore e sobrietà.
Cosa ho dedotto dalla storia di questa -in fin dei conti piccola “custom label“?
Che la “Bluesway” fu poco più che una casualità nella gloriosa avventura della ABC Records e che le intenzioni meritorie di Thiele si stemperarono presto. Se non fosse stato per una serie di master che la ABC acquisì in quegli anni come l’etichetta Peacock e se poi, negli ultimi anni, non ci fosse stato Al Schimitt e il suo marchio di produzione “Blues on Blues “ a sfornare dischi quasi senza anticipi, l’etichetta “Bluesway” avrebbe chiuso i battenti molto prima.
L’etichetta Bluesway mi ha permesso di ripercorrere le strade di periferia dell’industria discografica, soprattutto di quella losangelina, che traghettava i sessanta nei settanta e che attingeva alla cultura nera travasandola nel mondo bianco. Ho potuto, allo stesso tempo, riconsiderare le motivazioni di una cultura bianca alternativa che cercava affermazione. Pochi però ce la fecero: ancora meno quelli che trovarono successo. Molti, bianchi o neri che fossero, inseguirono i propri fantasmi, tornando a vivere al limite. Qualcuno affondò nell’Oceano Pacifico senza nemmeno accorgersene, proprio come accadeva nelle canzoni di Warren Zevon, uno di quelli che stavano per debuttare su “Bluesway” ma che restò fregato, pure lui, come molti, dalla congiuntura mondiale del 1974. C’est la vie!…
Ernesto de Pascale
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