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Van der Graaf generator: Present
(charisma/Emi)
www.vandergraafgenerator.co.uk



Solo 37 minuti per riaffermare il proprio primato, per far dire ai loro fans italiani “pare che non se ne siano mai andati”, per dire a se stessi “ siamo vivi“, dopo i primi sintomi di mortalità (l’attacco cardiaco di Peter Hammill deve averli messo fretta), per ricordare cosa è la musica non adulterata e come si suonava nei primi anni settanta, per scacciare avventori, cialtroni, falsari, parolai, musicisti che si riempivano la bocca e si rivendevano un nome che ancora suona autorevole: Van der Graaf Generator.
“Present” is an ACE album.
“Present” è un ritorno Top Form senza compromessi; per un gruppo che visse una costante instabilità, che fece parte della domanda e mai della risposta – soffrendone parecchio – “Present“ è un punto di partenza ma, azzardiamo, anche di arrivo. Una scommessa vinta a cui più volte avevano pensato i quattro musicisti ma a cui non avevano mai voluto dare una risposta. Paura del passato ? Ombre lunghe sulla vita presente? La paura per essere ricordati per un periodo breve di una lunga, gloriosa, imperva vita da musicisti ai bordi dell’impero, di quello impero che loro avevano dichiarato decaduto ?
Quando due anni fa un ex organista da chiesa, High Banton, un ex jazz freak e guidatore di camion, David Jackson, uno studente dell’università di Manchester, Guy Evens e un ex soulboy, Peter Hammill si sono ritrovati davanti alla brezza marina, la stessa che chiude il primo cd del nuovo, doppio, “Present”, ci piace immaginare che sia stato il vento a fugare in un attimo tutti i dubbi. Da lì è iniziata una lenta, rigorosa, a volte scaltra, operazione di rientro che, senza disturbare nessuno – nè fan, nè case discografiche, nè impegni singoli – riconducesse i quattro a pensare la stessa idea di musica contemporaneamente. Sensazione assolutamente chiara nei dischi di una volta, “Pawn Hearts“ docet ma “H to He“, da un lato, “God Bluff”, dall’altro, e fortemente ampliata ed emotivamente impressionante per quel pubblico affettuoso che li fece grandi in Italia nei primi settanta.


In sei brani completi, gravi e liberi da costrizioni compositive i Van Der Graaf riprendono un discorso lasciato incompiuto. Nel secondo cd, senza spiegazioni, a testa alta come sempre licenziano poi 70 minuti di improvvisazione strumentale che è più vicina a Ornette Coleman che al progressive e che delizerà la fanbase e magari aprirà le orecchi e qualcun altro.
In “Present”, buona nuova, non se ne è andato quel senso di desolazione che fece diventare importante brani come “A Plague of lighthouse keeper“ da “Pawn Hearts“ al primo ascolto. E se l’idea d’ ineluttabilità che Hammill canta, oggi ancora più convinto di una volta, incalza è quel tono coraggioso che conforta, quel sentirsi unici e uniti anche come ascoltatori intorno alla bandiera della diversità del gruppo.
Definiti nella metà dei settanta dalla stampa inglese “unconfortable, coherent, unremitting, corageous” non si può che affermare che i Van der Graaf Gererator del 2005 non lo siano meno di allora. Guy Evans afferma che se la reunion c’è stata è perché “ la band pensa di poter affrontare questo ritorno gestendosi meglio di come abbia fatto una volta”.


Due volte nella vita? A quelli come il recensore che può orgogliosamente dire “io c’ero, eccome se c’ero”, pare più una prima volta con totale e coerente consapevolezza. Per quelli venuti dopo non può non essere la prima volta. E che allora lo sia con tutto il trasporto, l’amore e la sensazione di condivisione che ci siamo scambiati attraverso una musica che con la propria unicità ci ha fatto crescere, facendoci sentire unici in un mondo di marionette e pedine.

Ernesto de Pascale

L'intervista a Peter Hammill

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