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Luciano Vincenzoni
Uno scrivano trevisano perseguitato dalla fortuna:
Luciano Vincenzoni, autore di Petro Germi e Sergio Leone, "inseguito" dalla strage di Manson a Bel Air si racconta (anche fuori dai denti) al Popolo del Blues
"La Grande Guerra","Signore e Signori","Il Buono,il Brutto e il Cattivo","Per qualche dollaro in più","Giù la testa" ma anche "La Poliziotta" e "L'orca assassina" di cui è stato anche produttore. Questi titoli,e innumerevoli altri,rappresentano la storia professionale di Luciano Vincenzoni (Treviso 1928) che poco tempo fa ha pubblicato per Gremese un libro intitolato "Pane e Cinema" dove racconta la sua vita di affamato di cinema e,come vedremo,anche di cibo perchè la creatività si coltiva pure a pancia piena. Peraltro ha punteggiato la sua lunga amicizia con Billy Wilder di pranzi all'italiana nella villa del regista a Beverly Hills. Il signor Vincenzoni mi accoglie nella sua casa all'attico di un palazzo che si trova in una tranquilla zona di Roma le cui strade portano il nome di personaggi che hanno fatto la storia del cinema e della tv. Un segno?
D. Signor Vincenzoni, qual'è il suo rapporto con la musica?
R. Di grande amore,passione totale. Nei quindici anni che ho passato in America (non fossi mai tornato...) ho avuto la fortuna di conoscere tanti musicisti di blues e di jazz grazie ai quali ho sviluppato una vera e propria passione. Il cinema e la musica sono le mie due passioni.
D. Ci fa qualche nome?
R. Billie Holiday, Dinah Washington, Louis Armstrong, Duke Ellington, Lionel Hampton, Erroll Garner e tutti. Quando vivevo in America avevo una raccolta di oltre tremila album tra cui dei pezzi straordinari che purtroppo in un momento di difficoltà dato che sono un pessimo amministratore, ho venduto. Comunque ho vissuto in quel mondo, per esempio le posso dire che Erroll Garner l'ho incontrato l'ultima volta davanti agli ascensori del Beverly Wilshire Hotel, io dovevo salire e lui usciva e gli ho detto "ciao Erroll" e lui "ciao Luciano" allora io "come stai?" e lui "bah, credo di avere solo tre mesi di vita", mi ha voltato le spalle e se ne è andato. Circa tre mesi dopo è morto,aveva un cancro ed era in cura ma i medici non gli avevano dato speranze. Volevo nel libro un capitolo dedicato al mondo della musica jazz e degli autori americani poi, non so perchè, forse mi sembrava fuori tema e non lo ho inserito. Mi viene in mente anche un altro grande amico a proposito di autori: Sammy Khan. Ero amico suo e della moglie, avevo tutti i suoi dischi autografati. Avevo anche le dediche dei due campioni dell'Hot Club del Bronx: Django Reinhardt e Stephane Grappelli. Un grande amore la musica,che ho potuto coltivare frequentando i musicisti e gli appassionati come un mio amico afroamericano, anestesista, che aveva fatto il dj per dieci anni. Insomma, ho vissuto nel mondo della musica quasi più che in quello del cinema.
D. Sarà ma anche in quello del cinema di cose ne ha fatte a leggere la sua biografia.
R. Anche troppe,pensi che quando ho visto la lista di tutti i film che ho fatto un pò mi sono spaventato. Molti neanche li ricordavo... Ho avuto anche tanti amici: Sidney Poitier,Jack Lemmon (mi fa vedere le foto con dedica,sul tavolo due libri,uno di Kirk Douglas e uno di Billy Wilder entrambi con lunga dedica),Walter Matthau e tanti altri. Guardi quella foto di Billy Wilder. Vede quant'è grande? Legga la dedica: "dear Luciano, this is the smallest I have. Auguri!". La più piccola che aveva,pensi le altre. Comunque è molto bella, lui si fece fare questa foto da un famoso fotografo giapponese e fece parte di non so quale campagna pubblicitaria di auto giapponesi per la quale guadagnò mi pare 500.000 dollari oltre ad automobili,moto e non so che altro.
D. Volevo dirle che ho letto il suo libro, bellissimo e divertente e non capisco come mai nel nostro paese delle persone che hanno dato tanto alla sua storia siano conosciute quasi solo dagli addetti ai lavori. Quante persone ancora ridono delle sue battute,le raccontano, senza sapere che magari le ha scritte lei? Questo suo libro serve a colmare una lacuna?
R. Devo dire che questa lacuna è colpa mia. Io sono riservato,non sono mai andato in televisione, non voglio andare ai talk show, insomma non sono Alberto Bevilacqua o De Crescenzo che tirano sempre fuori un loro libro da sotto il sedere... A questo proposito posso dirle che Maurizio Costanzo quindici anni fa mi faceva sempre invitare, ma io gli rispondevo di no, per la mia agorafobia, la paura dell’obbiettivo (per fargli due foto ho dovuto convincerlo n.d.r.) e per la poca voglia di sedermi accanto alla puttana calante o alla puttana crescente, non mi interessava. Lui si è offeso al punto che, le dico una cosa che non ho detto a nessuno, quando avevo il dattiloscritto del libro glielo ho mandato, come lo ho inviato al Presidente della Repubblica o al sindaco di Roma che mi hanno risposto con lettere bellissime, anche per farmi perdonare di non essere mai intervenuto ai suoi talk show e per avere un consiglio, ritenendolo un uomo di spettacolo. Tre ore dopo un suo galoppino me lo ha riportato con una lettera in cui mi si diceva che il signor Costanzo non aveva tempo di leggere. Un nano calvo, sudaticcio e...lasciamo perdere! Molti critici hanno accolto bene il mio libro e l'atteggiamento di Costanzo non mi è piaciuto, si è dimostrato, inutilmente, uomo di potere.
D. Leggendo il libro si capisce che per lei fare cinema era scritto nel destino e una cosa che mi ha molto colpito è che lei parla subito della fortuna. Cosa che insieme al talento e alla faccia di bronzo è necessaria per proporsi ed imporsi anche quando tutto sembra contrario. La fortuna conta molto,quanto ha contato per lei?
R. L'ho scritto. Moltissimo. Nel 1943 ho offerto un cognac ad un aviatore eroe di guerra spendendo tutta la mia paghetta e tre anni dopo mi illuminò coi fari della sua automobile,sapeva che la mia famiglia era finita in miseria e mi fece fare dei soldi,molti,ma soprattutto mi portò a Roma a fare il cinema. A 22 anni ero produttore,abitavo al Grand Hotel...Questa è fortuna,non c'era ancora il mio talento. Ricevevo sceneggiature e soggetti da tutti,anche da Roberto Rossellini,io leggevo e pensavo "ma io scrivo meglio di questi". Ho capito leggendo soggetti di tutti gli autori che avrei potuto scrivere. Sempre a proposito di fortuna,lo ho scritto nel libro,un giorno avevo le ultime mille lire e non mangiavo da tre o quattro giorni. Dovevo scegliere: o andare in latteria e farmi due uova con la mozzarella e un bicchiere de latte o prendere un tassì per andare da Dino De Laurentiis che non conoscevo. Ho preso il tassì,strada facendo il tassametro è scattato oltre le mille lire,era a milleseicento,sono sceso,ho detto al tassista di aspettare e sono entrato nascondendomi dietro ad un camion. Sono arrivato nel suo ufficio e per fortuna c'è un testimone che è Carlo Lizzani e può confermare la scena. De Laurentiis voleva chiamare la polizia ma Lizzani mi conosceva e lo esortò ad ascoltarmi (avevo già fatto "Il Ferroviere" con Pietro Germi) e a darmi una chance. Visto che glielo chiedeva un regista lui mi diede un quarto d'ora. Parlai per due ore.
D. E cosa gli ha raccontato?
R. "La Grande Guerra","I due nemici","Sacco e Vanzetti"...di tutto. Prese tutti i miei soggetti e mi chiese "quanto vuoi?" io pensavo a due-trecentomila lire per tutti,ero in arretrato con l'affitto,ma non avevo il coraggio di dire una cifra,allora lui s'è rivolto all'avvocato Borgognoni che era lì e gli disse "intanto compriamo i soggetti a un milione l'uno e poi lo mettiamo sotto contratto per qualche anno a un milione al mese". Dunque,un milione di allora erano circa 20.000 euro di adesso e un capitano dell'esercito prendeva 170.000 lire al mese. Ero entrato miserabile,affamato e uscivo ricco. La mattina dopo avrei firmato un contratto di tre anni e sulla porta mi sono ricordato che non avevo i soldi per pagare il tassì e dissi che avevo qualche problema di contante...lui chiamò un tale ragionier Bianchi (c'è sempre un "ragionier Bianchi") e gli chiese quanto c'era in cassa "due milioni e trecentomila avanzate dalle paghe di Iovanka e le altre" "va bè,piglia due milioni e dalli a questo ragazzo". Allora c'erano le banconote da diecimila grandi come lenzuoli e mi dettero un pacco grosso come un tacchino di natale. Non sapevo più dove metterle. Uscii e fuori trovai il tassinaro che era in coma perchè erano passate ore e pensava l'avessi bidonato (se la cosa fosse andata male sarei scappato per i campi vicini al cinodromo e mi vedevo fuggire inseguito dai levrieri) allora l'ho svegliato e lui "eccola signor Conte!", chissà perchè mi aveva fatto Conte,"c'ho 'na fame dottò..." e io "dove è che vorrebbe mangiare?" "bè un posto sarebbe Giggi Fazi ma quello è pè ricconi..." "Andiamo! Lei mi ha portato fortuna e io le offro il pranzo". Abbiamo mangiato tanto,ma tanto e non sospettava che anche io ero digiuno. Così è partita la mia carriera.
D. Quando si affacciava per le prime volte a via Veneto dove si trovavano i registi lei scrive che era difficilissimo entrare nelle varie conventicole. L'unico che era gentile con lei era Ennio Flaiano.
R. Ennio era gentile,mi aiutò più volte. Una volta mi presentò ad un regista anglo argentino che si chiamava Fregonese pensando che mi volesse come autore ma io da giovane ero un bel tipo così mi volle per la parte del protagonista del film che stava preparando visto che non aveva potuto avere Mastroianni che chiedeva diciassette milioni. Centomila lire al giorno per ventiquattro giorni. Mamma mia! Un capitale per me. Accettai poi successe un casino,scappai dal set,mi vergognavo della telecamera e non ero d'accordo su alcune scene,anzi solo sull'ultima. Con Ennio siamo rimasti talmente amici che poi io ebbi la possibilità di dargli una mano,allora ero con Germi,avevamo grande successo e dovevamo fare "Signore e Signori". Incontrai Flaiano a piazza Ungheria e lui mi chiese se potevo fargli guadagnare due milioni io gli risposi che sì,non c'era problema e gli dissi di venire in produzione. Venne e gli demmo da leggere la sceneggiatura. Ci diede un'idea formidabile,disse "sembrano degli episodi staccati ma se voi mettete in ogni episodio la luce su due personaggi diversi con gli altri come coro e andate avanti così il film non sembrerà ad episodi". Facemmo così,io lo portai a Treviso a fargli conoscere i miei amici,le loro case,i loro cibi e lui ha avuto i suoi due milioni.
D. Prima parlava di De Laurentiis, esistono ancora produttori così?
R. No,il nipote poi è sempre stato un comico involontario. Mi ricordo che un giorno,quando già ero affermato grazie ai film di Leone,era giovane,mi battè la mano su una spalla e disse "ti tengo d'occhio" con quella faccia che ha...non gli ho fatto pipì addosso perchè in quel momento non mi veniva ma la tentazione era forte. Un cretino,lo scriva. E sa perchè lo dico? Gli ho mandato il libro con una bella lettera in cui gli ricordavo i cinquanta anni di frequentazione della sua famiglia e quanto dovessi a suo zio e gli dicevo che nel libro ne parlavo in termini più che positivi. Non mi ha neanche risposto.
D. Dopo il sodalizio con Germi lei ne iniziò uno con Sergio Leone ideando come prima cosa il titolo di "Per qualche dollaro in più" che si doveva intitolare "La collina degli stivali". Poi siete diventati amici e il regista la considerava il suo angelo protettore soprattutto per l'episodio riguardante il figlio da lei risvegliato dal coma.
R. Ero a Parigi e ricevo una telefonata da Sergio,mi dice che il piccolo Andrea al quale portavo sempre delle caramelle che lui chiamava " 'e manche" era in coma in clinica,mi chiese di andare da lui perchè soltanto io lo potevo salvare. Presi l'aereo e intanto mi chiedevo cosa fare...avrei fatto una pessima figura,come potevo salvarlo? Comunque,arrivo in questa clinica a Monte Mario e mi si sono subito fatti tutti intorno. Nella stanza c'erano due medici e due suore che mi guardarono malissimo e,sotto la tenda a ossigeno,il bambino. Devo dire che attraversando la stanza mi rivolsi a Dio dicendogli "lo sai che io non credo,ma se esisti dammi una mano". Mi sono avvicinato e ho cominciato a dire "t'ho portato 'e manche,t'ho portato 'e manche" sempre più forte quasi istericamente e all'improvviso ha aperto gli occhi,mi ha sorriso e ha detto " 'e manche!". Mi sono saltati addosso tutti per baciarmi,i dottori sono usciti,le suore si sono fatte il segno della croce. Sono uscito gloriosamente. Nel libro c'è anche la copia di un articolo in cui la moglie di Sergio racconta l'episodio. A loro portai anche la ricchezza grazie ai miei rapporti con i produttori americani.
D. Infatti va detta una cosa,oltre a scrivere lei è stato anche bravo nelle relazioni con i produttori. Leone non fu l'unico a beneficiarne,anche Germi le doveva molto da quel punto di vista.
R. Avevo relazioni molto buone con la United Artists che mi permettevano di essere solo io a poter trattare e a certe cifre che nessuno avrebbe ottenuto. Ho fatto diventare ricchi tutti. Avevo una grande amicizia col presidente della United che era Ilya Lopert il quale aveva per me affetto e stima,fiducia.
D. Vogliamo parlare dei suoi anni in America con De Laurentiis e di come si sia trovato in mezzo al mondo di Hollywood che sognava da giovane?
R. Con De Laurentiis facevo il cinema,anche come produttore ma preferivo scrivere. Ho venduto storie alle majors americane e mi piaceva la vita che vivevo lì. Comunque l'ultimo che ho venduto,scritto insieme a Sergio Donati, era "Codice Magnum" con Shwartzenegger, la mia storia era più bella ma a Hollywood l'hanno rovinata... Quando ero a Treviso e sognavo di fare il cinema mi dicevo che avrei voluto lavorare con Germi e con Billy Wilder...fatto. Poi per un periodo mi vedevo con Ava Gardner (quella che spezzò il cuore a molti tra cui Sinatra n.d.r.) che era una forte bevitrice, ne morì. Lei aveva due giradischi, su uno metteva una canzone cantata da Nat King Cole e sull'altro la stessa cantata da Sinatra. Le ascoltava e poi diceva rivolta a quello col disco di Frank "you know Francis, he sings better than you do" e andava avanti fino alle quattro di mattina.
D. Lei le chiese perchè bevesse così tanto e la Gardner cosa le rispose?
R. Mi disse "così si muore prima".
D. Dunque non riusciva a tollerare di vedersi invecchiare?
R. Esatto. Lei ha capito perfettamente il concetto. Lei non voleva diventare vecchia. La capisco perchè neanche io volevo diventare vecchio e invece... Poi ho avuto la fortuna di conoscere Kerouac e Bukowsky che sono stati i più grandi del secolo secondo me. Entrambi e anch'io,hanno amato svisceratamente "Viaggio al termine della notte" di Cèline. Sono andato a trovare Bukowsky perchè Goffredo Parise mi aveva detto che nel giro di qualche anno sarebbe stato considerato il più grande scrittore americano del secolo. Ha scritto trentasei trentasette libri tra romanzi,racconti e poesie. Li ho letti tutti. Vuole un whisky? A me fa bene per la solitudine che mi sono creata respingendo tutti quelli che mi amavano. Se penso che potrei avere di là una moglie,dei figli....brrr,tremo. Mi piace la solitudine.
Suona il citofono e ci raggiunge Sergio Donati, autore con Vincenzoni di almeno trenta film tra cui "Giù la testa", "Casablanca Casablanca" e molti altri...
D. Ecco però la sua metà professionale,con lui sì che riesce a coesistere a parte il fatto che è un fumatore pentito. Con Sergio Donati collaborate da anni. Ma tornando a Sergio Leone e al ruolo che lei rivestiva di suo angelo protettore c'è un altro episodio che testimonia quanto avesse ragione. Ce lo vuole raccontare?
R. La notte in cui Sharon Tate e altri furono massacrati a Bel Air io e Sergio Leone dovevamo essere lì,saremmo arrivati proprio all'ora dei delitti. Il mercoledi però mi telefona Jack Beckett da San Francisco,era il proprietario della Transamerica Corporation e mi chiede di andare da lui per il fine settimana. Chiamai Sergio e gli dissi che partivo. Il venerdi sera lui andò al ristorante di Billy Wilder con uno scrittore che era il nostro tramite per andare alla villa di Polanski che era in Europa a girare. Dopo cena però Sergio decise che prima di andare si sarebbe fatto una doccia in albergo e,grazie alla sua eccessiva traspirazione,la pigrizia e ad un bicchierone di whisky che lo stese,non andò quella notte a Bel Air e si salvò da una strage atroce di cui io venni a conoscenza a San Francisco quando me lo disse Beckett (la Transamerica era la proprietaria della United Artists) che era sconvolto perché la figlia di un suo grande amico era stata massacrata insieme a Sharon Tate in quella villa. Immediatamente chiamai l'albergo,pensavo che anche Sergio fosse morto,invece mi rispose lui e mi disse " a Lucià,stò a guardà le news e me sò cacato sotto...". Se fossi stato lì saremmo andati,noi tre più l'autista della limousine e saremmo arrivati proprio quando iniziò la strage,avremmo potuto fare qualcosa e salvare tutti da quelle tre donne esaltate...è un cruccio che mi porto dietro. Da quel momento Leone si convinse che ero il suo angelo protettore.
D. Incredibile
R. Ma per me l’intreccio non è finito qui. Passano gli anni e un giorno mi telefona Dino De Laurentiis e mi dice “senti Luciano c’è una bellissima ragazza,era sulla copertina di Playboy,che viene a Roma. È l’amica del proprietario della Paramount,lui è un po’ geloso potresti ospitarla tu così sta tranquillo?”. Io all’epoca avevo un appartamento qui sotto dove ospitavo i miei amici e gli dissi che,certo,potevo ospitarla. Insomma questa ragazza è arrivata,la mia segretaria è andata a prenderla. Devo dire che era molto bella,la mia segretaria la portava in giro per Roma a fare shopping,a vedere i monumenti,fuori con degli amici. Però non mi sembrava contenta,si annoiava,allora decisi di presentarle un mio caro amico,Gianni Bulgari,che mi sembrava perfetto:bello,famoso,affascinante,ricco e parla perfettamente le lingue. Cominciano ad uscire e io ero tutto contento anche perche De Laurentiis mi aveva detto “a Lucià,guarda che se gli metti ‘na mano addosso HAI CHIUSO!,nun lavori più!” e io zitto, buono. Un giorno Gianni deve andare a Londra una settimana per affari, mi viene a trovare e mi fa “senti Luciano,a me questa ragazza interessa molto. Tienile un occhio addosso mentre sono via. Ho visto che quando entriamo nei locali si scatena il putiferio quindi…” ed è andato via. L’indomani mi telefona lei, da qua sotto, e mi chiede di venire su a prendere un caffè,viene su,si siede dove è seduto lei e mi fa “ma io ti faccio schifo?” e io “no. Anzi sei bellissima,cazzo sei proprio bellissima!” e lei “sai, esco con Gianni da venti giorni e ogni volta che mi presenta qualcuno,quando dico che vivo da te tutti ne sono atterriti, come se fossi ospite di Landrù. Tu invece non mi hai mai guardato,ergo ti faccio schifo”. Le ho detto che,no,non era questione di far schifo ma lei mi era stata raccomandata e io non volevo quindi prendermi certe libertà. Lei allora diventa seria e mi dice “no. Il motivo non è questo. Il motivo è il mio nome.”. Io francamente la conoscevo solo come Janet e glielo dissi, e lei “Janet sì, ma il mio cognome è Manson, siamo figli di due fratelli io e Charles Manson.” insomma,indirettamente Manson era arrivato a casa mia…comunque le dissi che per me la cosa era irrilevante. Dopo un po’ andò in Francia dove cantando jazz è diventata una donna di successo.
D. Mi pare di capire che l’intreccio si vada infittendo…
R. Passano alcuni anni e un giorno mi telefona una mia amica americana,anche lei era stata ospite qui,dicendomi di organizzare una carbonara sulla mia terrazza perché sarebbe venuta a trovarmi con una sua amica,bella,ha aggiunto. Io ovviamente diedi la mia disponibilità alla carbonara e le invitai. La ragazza era proprio bella,ero in cucina quando arriva la mia amica dicendomi che lei avrebbe preso un taxi lasciandomi lì l’altra,senza aggiungere nulla. Allora io comincio a parlare con la ragazza “che lavoro fa?” e lei mi dice che fa la costumista,”un bel lavoro!” dico io. “Sto partendo per la Tunisia,vado a fare il nuovo film di Roman Polanski”,”bè è un’ottima cosa,i suoi film in genere sono lunghi,lavoro sicuro per molti mesi…” e mi disse “eh ma lui me lo deve…” “e perché” le chiesi già rabbrividendo “ perché io sono la sorella di Sharon Tate,sono Debra Tate,avevo quattordici anni all’epoca”. Ancora una volta quella brutta storia era entrata a casa mia,ricordandomi che se fossimo andati da Polanski,in quattro uomini e tutti abbastanza rissosi,quella notte a Bel Air forse sarebbe andata diversamente. Qualche anno dopo vengo coinvolto a fare un film con William Friedkin sulla vita di Puccini prodotto da un francese. Tutto a posto,bei soldi e di nuovo in America dove faccio alcune riunioni con Friedkin che mi spaventò perché è un aggressivo,più di Vincenzoni,e una sera,di nuovo qui,ho raccontato questa storia al produttore. Lui mi fa finire,poi dice “Janet Manson è una mitomane” “come?” faccio io e gli chiedo cosa ne sappia. “E’ mia moglie” risponde lui. Un incubo,la notte mi sogno Manson che cerca di farmi fuori…
D. Billy Wilder
R. Un papà. Pensi che mi ha inserito nel suo asse ereditario. Non dico quanto mi ha lasciato ma posso dirle che mi ha salvato la vita. Nella sua villa sull’oceano è addirittura riuscito a farmi dormire con lui (Sergio Donati,che dalla poltrona annuisce n.d.r.). Artisticamente un grande. La capacità di passare dal dramma,al noir,alla commedia e che commedia…cosa si vuole di più da un uomo? Non faceva i western perché diceva di non saper dirigere i cavalli. Non si prese mai troppo sul serio,mai!
Interviene Sergio Donati
R. Mi ricordo che lui aveva una specie di amarezza perché per esempio “Front page” (Prima pagina),meraviglioso film,negli Stati Uniti fu accolto con sufficienza,la critica disse che era un film “old fashioned”, all’antica. Anche “1,2,3” con James Cagney venne stroncato Luciano mi portava spesso a cena da Wilder e era uscito un film suo “Fedora” con Marthe Keller. Io non sono andato apposta a vederlo perché sapevo che mi avrebbe chiesto cosa ne pensavo ed ero timoroso di parlarne con lui. Pensavo non mi sarebbe piaciuto e non volevo mentire. Ovviamente capì tutto. Anni dopo vidi il film a Maccarese (sulla costa a nord di Roma tra mare e campagna n.d.r.) ed era bellissimo, mi sono vergognato e mi sono detto “porca puttana,avrei potuto parlarne per ore con lui se solo non fossi stato così prevenuto”.
Segue un racconto di Vincenzoni che però non riporto dato che la conversazione, piacevole, anche grazie a qualche whisky, è diventata molto personale e la discrezione impone di non approfondire la storia di un amore non corrisposto e del film “Fedora”…
D. Senta Luciano,questa intervista uscirà a ridosso delle elezioni. Non è che vorrebbe dire qualcosa riguardo la politica italiana? Così,tanto per dare un’idea…
Donati ridacchia
R. Posso dire una cosa?
D. Quello che vuole
R. Gliela dico. Ogni volta che vedo Berlusconi in televisione, in Italia o all’estero,mi vergogno di essere italiano! Più di così…tanto alla mia età che me fà Berlusconi…
Alessandro Mannozzi
Leggi un 'intervista del 2003 di Ernesto de Pascale a Luciano Vincenzoni sul film di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi "La vita agra" (1964) dal libro di Luciano Bianciardi (1962)
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