. Bob Mosley - Bob Mosley



La parola a uno dei più grandi produttori di musica in Italia:
Vincenzo Micocci
si racconta al popolo del blues




Preparatevi a leggere un po’. Lasciate perdere impegni per i prossimi venti minuti perché ne vale la pena... Sono intimidito entrando a casa di Vincenzo Micocci (della figlia in verità, la moglie e lui vivono al mare); ha iniziato a produrre musica sessant'anni fa, ha vinto diversi Sanremo e insieme al direttore storico della Rca, Ennio Melis (purtroppo scomparso, ma trovate una esaustiva intervista di De Pascale in archivio) si inventò una parolina che descriveva perfettamente il cambiamento in atto nella musica degli anni '60: cantautore.
E' il Vincenzo che Alberto Fortis voleva ammazzare in un suo successo di diversi anni fa (tranquillo Albè...) e che io ho avuto occasione di conoscere quando negli anni settanta cominciai a lavorare in Rai. Ritrovo ora un anziano signore che magari non ricorda subito i nomi ma non appena inizia a parlare di musica, esprimendo anche giudizi critici, muta il suo sguardo che diventa acuminato:quello di un uomo senza vizi in un ambiente che invece ne coltiva molti. Prova ne è che volevo rubargli soltanto una ventina di minuti e lui ha parlato per un'ora e mezza raccontando la sua storia, quella che lo ha visto parte in causa nella musica italiana dal dopoguerra in poi.
Non aspettatevi troppa cronologia,i discorsi si sono susseguiti a volte in libertà e senza steccati di alcun genere e,come uso, non ho voluto intervenire sulle parole di Micocci in alcun modo.

D. Buongiorno signor Micocci, entrando nel suo portone ho notato che proprio accanto c'è un fornitissimo banchetto con dvd e cd falsi. Certo che sotto casa sua è un segno del destino. Per le case discografiche come le conoscevamo, internet ed il digitale sono stati uno sfracello...
R. Il progresso fa avvenire queste cose. Internet è stato il colpo mortale,come gettare un'atomica. Le dico soltanto questo:non esiste più la Rca e non è poco. La rivoluzione tecnologica non è stata fronteggiata adeguatamente né dai governi né dagli addetti al settore, poi c'è, secondo me, una crisi mondiale che si riflette su tutto. Chi produce musica,una casa discografica,deve anche riuscire a fronteggiare i momenti difficili con un bilancio a posto,quindi produrre cose di qualità,che durino nel tempo. Va detto che il fatturato di tutta l'industria musicale italiana è una cosa patetica se raffrontato ad altri,ci sarebbe bisogno anche di aiuti,di più interesse..

D. Visto che le cifre sono queste, non sarebbe un gran danno per l'erario l'abbassamento dell'iva sui dischi portandola al 4% come per i libri
R. Certo. Non sarebbe cambiato molto per il bilancio dello Stato che naviga in ben altri oceani per così dire...però è difficile parlare coi sordi. Tutta la classe politica non è riuscita a capire che la musica è parte integrante del sistema della comunicazione. La Rai ci campa con la musica che è come una barca che tiene a galla anche tante altre attività:la pubblicità e fatta con la musica,le canzoni negli spot sono parte fondamentale nell'approccio. Ciò non toglie che alcuni artisti siano diventati molto ricchi. Anche perchè, parlando della Siae, su 150.000 iscritti a riscuotere è una minoranza. L'iscritto si chiede come mai non prende diritti:ma il suo pezzo ha avuto successo? Le radio, la tv lo hanno trasmesso? Non è facile vivere con la musica però la Siae è una organizzazione in genere precisa seppure da tempo con problemi di gestione perché c'è chi chiede una maggiore ridistribuzione dei proventi, cosa che in parte già viene fatta. Prendiamo gli autori, pochi, di musica classica: guadagnano pochissimo e sono molte altre le categorie che stentano.

D. Vogliamo raccontare la sua storia?
R. Io ho cominciato dopo le superiori, nel dopoguerra,ascoltando in cuffia l'Eiar che trasmetteva tutti i generi di musica, anche la classica e l'operistica che sono funzionali alla creazione del gusto, dell'orecchio musicale. Ora la maggior parte degli italiani non sa chi è Giuseppe Verdi e questo è grave. Nelle scuole poi... Insomma ero un appassionato,anche di jazz e ho scritto un libro con S.G.Biamonte, con cui ho fatto le prime trasmissioni di musica jazz per la radio. Mio zio aprì un negozio,si chiamava "Musica e Radio" ed era a Roma in via delle Convertite, che divenne punto d'incontro non soltanto romano per gli appassionati soppiantando altri famosi negozi del tempo. Io mi occupavo della parte discografica e trattavo con i rappresentanti,gli agenti. Si stava anche formando,grazie al piano Marshall, la Rca Italiana che era diretta mi pare dal governatore della banca vaticana,una ottima persona,il fratello un po’ meno visto che si vendette le foto del Papa morto. Comunque, all'inizio misero dei dirigenti inglesi e americani,stranieri ad ogni modo,che non andavano bene ed erano lontani dal nostro gusto e modo di fare. Arrivarono allora due italiani,uno era Ennio Melis che durante la guerra si trovava in Vaticano ed aveva sviluppato rapporti importanti che lo avrebbero portato ad interessarsi della Rca, l'altro era Ornato che si occupava molto dell'organizzazione.

D. E lei,come entra in scena?
R. Fu l'agente della Rca che veniva al nostro negozio a segnalarmi alla dirigenza della sua azienda,furono il tipo di dischi che ordinavo e il fatto che ne vendevamo tanti a farmi da migliore presentazione. Arrivò dall'America un catalogo con le ultime uscite,io,per canali miei,le conoscevo già tutte. Per esempio Harry Belafonte che sarebbe stato un grandissimo successo,oppure Perry Como e altri. Melis mi chiese di segnare su quella lista il numero di copie che secondo me avrebbero dovuto stampare,calcoli che loro generalmente dei successi americani stampavano duecento,trecento copie. Io vedevo il movimento che questi dischi creavano nel mio negozio,avevo il polso della situazione e capivo la qualità della musica,quella che poteva diventare di successo e dopo due o tre notti insonni cominciai a scrivere duemila,cinquemila,di qualcuno anche diecimila. Belafonte solo in Italia ne vendette cinquecentomila. L'agente portò in Rca questa lista, Melis la lesse,stampò le copie e vide che le vendeva tutte. Morale:all'inizio della stagione invernale la Rca mi chiese di andare a fare il direttore artistico. Una volta questo ruolo era fondamentale,gli artisti,quelli veri,non si trovano sotto a un sasso,bisogna sapere,ascoltare e capire. Sono persone. Alcune da coltivare, altre da scaricare.
D. Si è trovato quindi all'improvviso in una realtà colossale che era la Rca di quegli anni.
R. Si. Mi ritrovai con disponibilità grandissime,non di soldi certamente,pensi che quando andai con Nilla Pizzi a Sanremo,era per lei la terza volta,ci dettero un'orchestra di cinque,dico cinque,elementi... però intanto io mi occupavo anche del catalogo americano,musiche da film soprattutto,che cominciai a stampare anche qui. Nessuno lo faceva,le colonne italiane non vendevano e quelle straniere nessuno le faceva uscire. Fu una iniziativa importante,che ha portato poi al successo dei temi da film e in Rca si cominciava a capire che grazie a tutto questo catalogo si poteva diventare ancora più grandi e allora tutte le altre case discografiche che stavano a Milano si trasferirono a Roma. Qui c'era tutto:il cinema,la televisione,la radio. Nacque da questo il boom della discografia italiana,il salto di qualità anche degli artisti. Io produssi alcuni dischi di jazz tra cui il primo di Romano Mussolini con Lilian Terry e Nunzio Rotondo ma anche di cantautori. Questa parola la ho inventata insieme a Ennio Melis, a me all'inizio venne in mente cantantautore perché volevo che il pubblico capisse che non si trattava solo di un cantante ma anche di un autore. La gente era abituata a cantanti tipo Claudio Villa o Nilla Pizzi,che comunque era moderna per i tempi,e doveva capire che stava ascoltando qualcosa di diverso. Per farla breve:alla fine decidemmo per cantautore e il primo disco che facemmo uscire fu di Gianni Meccia.
D. Non mi dica:Gianni Meccia è quindi,per la storia,il primo cantautore?
R. Si,con una canzone che si intitolava "Odio tutte le vecchie signore",un titolo tremendo e poi lui cantava non in maniera tradizionale ma anzi era quasi discorsivo,diverso dai canoni dell'epoca. Da qui la necessità di trovare una parola che racchiudesse tutto questo e adesso sento che c'è qualcuno che vuole depositarla pensi un pò.

D. Mi parli di Ennio Melis, il direttore della Rca.
R. Lui come direttore era bravissimo,di grande intuito e si fidava di me e delle scelte artistiche che facevo. Mi fu vicino anche per il fatto che i dischi li vendevamo ma,ripeto,avallava anche i miei suggerimenti. A volte fui fortunato:quando Edoardo Vianello incise "Il capello" io ero dubbioso poi,arrivando in ufficio sentii che la mia segretaria e le sue colleghe stavano tutte ascoltando quella canzone. La stampammo subito e fu l'inizio di una serie di successi ormai storici per la nostra canzone, anche grazie al lavoro rivoluzionario degli arrangiatori che erano Morricone e Bacalov. Poi cominciai a lavorare alle colonne sonore dei film italiani con Morricone e producemmo i film di Sergio Leone.
Cambiava lo stile,"Legata ad un granello di sabbia" fu il primo disco italiano a vendere più di mezzo milione di copie e devo dire,guardando l'ultimo Sanremo non mi pare ci si sia mossi di molto,o meglio:si torna indietro. Per qualche anno andò avanti così,con le musiche da film,i successi internazionali e anche con versioni fatte in Italia di successi non Rca. Le cose andavano a gonfie vele ma ad un certo punto dall'America arrivò la richiesta decisa di sostituirmi con Nanni Ricordi,io me ne andai,la Rca mi fece diverse offerte ma mi era impossibile continuare il rapporto con loro. Lui veniva dalla Ricordi e,senza saperlo,si occupava di cantautori,i genovesi per esempio.

D. Quindi le strade della Rca e sua si separano dopo diverse stagioni di successi.
R. Esatto. Comunque, dopo un anno o poco più Nanni Ricordi fu mandato via. Francamente lo sapevo:lui alla Ricordi aveva fallito. Il mestiere lo sa fare ma ha un brutto carattere e litigò,vendevano poco eppure già avevano Paoli che aveva fatto due o tre dischi. Alla fine chiamarono me:la Ricordi era una strana realtà,pensi che avevano diciotto negozi in tutta Italia e in vetrina non c'era mai,mai,un disco Ricordi. I commessi quasi si vergognavano...le pare possibile? Si vergognavano di vendere quella musica e davano spazio a tutto il resto. Anche Gaber era rifiutato. Ricordi,come me,aveva trovato una strada nuova e la percorreva con tutte le difficoltà che si incontrano. Quando arrivai facemmo uscire "Il nostro concerto" di Umberto Bindi che già era in Ricordi e anche quello non era un pezzo facile eppure ebbe successo. Mi aveva chiamato anche Sugar, perché Roma aveva fatto tremare un po’ tutti nel mondo della discografia. Era un gran signore(Sugar),sapeva che ero in parola con la Ricordi e non insistette più di tanto. Avevo pieni poteri e lavorammo molto con i cantautori e anche con la Vanoni che,incredibilmente aveva poco riscontro. bella, brava ed affascinante eppure non vendeva. Era attrice al "Piccolo" di Milano,veramente brava,una donna intelligente. Ricordo che mi disse che sarebbe passata sul cadavere della madre pur di avere successo,era determinata,veniva dall'alta borghesia. E' bello vedere che lei e Paoli siano ancora così attaccati l'uno all'altra a distanza di tanti anni e di tante esperienze. Sono rimasto tre anni a Milano,poi siamo tornati a Roma per motivi familiari. La Ricordi mi propose una quota dei guadagni della società e tante altre cose ma io volevo tornare a Roma. Accettarono il fatto che potessi lavorare da qui ma dopo poco ci accorgemmo che non era possibile. Bisognava seguire tutto,dalla registrazione alla stampa del disco come facevo in Rca dove uno su dieci era rovinato e da buttare e bisognava assicurarsi che fosse davvero così. A nessuno piace buttare un prodotto ma la qualità va rispettata.

D. Lei torna a Roma e che fa,decide di fare il salto e mettersi in proprio?
R. Ebbi un'offerta da parte di persone con cui avevo lavorato e formammo una società. I soci eravamo Ennio Morricone, Nico Fidenco, io; fondammo la Parade. Purtroppo erano rappresentati da un avvocato che non si comportò bene. Io con loro avevo fatto i successi degli Alunni del Sole e avevo venduto un disco di Ennio in Giappone. La cosa andava bene però,dicevo,quest'avvocato credo avesse il vizio del gioco e i soldi sparivano...me ne andai. Mi chiamò Melis e mi chiese se volevo fare un'etichetta e feci la It.

D. La It era un’etichetta che aveva uno staff notevole,abituato a lavorare bene anche con la musica di qualità.
R. Già. Eravamo io, Michele Mondella che ancora si dà da fare assai bene ed è diventato un’autorità nella promozione,Gaio Chiocchio al quale volevo bene come a un figlio e che purtroppo è morto giovane per malattia ma anche per la vita sconsiderata che conduceva e una eccessiva familiarità con l’acido. Ricordo un concerto a Milano,venne anche lui che era una persona deliziosa solo che aveva le allucinazioni fu una nottata tremenda. Riuscì a fare a meno delle droghe ma iniziò con l’alcool, beveva molto. Comunque la It era,come al solito,diventata il punto d’incontro di molti artisti che erano a Roma e ricordo che durante la registrazione del primo disco di Venditti e De Gregori, Theorius Campus, diversi musicisti li venivano a trovare. Ovviamente mi è rimasto impresso Renato Zero che aveva un guardaroba tutto suo e indossava una mantella che gli dava un’aria misteriosa. Non era mai da solo,c’era sempre qualcuno con lui.

D. Si era creata una situazione adatta alla scoperta di nuovi talenti quindi
R. Si,in quel periodo i cantautori incontravano la politica,la coscienza sociale e un nuovo modo di esprimersi. Ricordo come uno dei migliori,non di quelli di cui mi occupavo io,Paolo Conte,un ottimo pianista e geniale scrittore adottato da Genova ma tutto il gruppo dei genovesi era di livello.

D. E a Roma stavano accadendo cose importanti forse anche grazie a punti di incontro come lo storico Folkstudio.
R. Questo certamente ma io Venditti e De Gregori non li trovai lì,non ci sono mai andato. Loro sono venuti da me grazie ad un conduttore della radio che mi invitò a casa sua per sentirli. Io andai da lui,ascoltammo le canzoni che a me piacquero e gli dissi di mandarmeli in ufficio. Quando vennero fu una tragedia,è stata una lotta sul contratto di quelle politiche che andò avanti tutto il giorno. Alla fine gli dissi “guardate,io vi ho detto come stanno le cose,qui ci sono i contratti a percentuale,le percentuali crescono con le vendite e tutto il resto. I soldi li pigliate tutti quindi non ne fate una questione politica. Andate pure, riflettete e fatemi sapere. Tenete presente che qui ci sono dei fatti e le cose sono chiare”. Così sono andati via. Dopo un po’ si sono ripresentati,non ricordo se insieme o meno,sono sempre stati un po’ gelosi l’uno dell’altro. Venditti era un ragazzo spregiudicato mentre de Gregori era più chiuso, riflessivo. Discutevano sull’amore libero e si sono azzuffati per molto tempo su questo ma lo facevano su molte cose. Erano sempre un po’ tesi fra loro. Comunque il primo disco fu difficile,Antonello con la sua bella voce impressionava tutti e le sue canzoni erano decisamente più comprensibili di quelle di Francesco. Quando le feci sentire in Rca per la distribuzione tutti dissero che “va bene Venditti con la sua bella voce ma quel De Gregori” e dagli io a dire che quel De Gregori cantava meglio,secondo me era più espressivo.

D. Quindi la It fa subito un grosso colpo,stiamo parlando di due grandi figure della musica italiana.
R. Voglio parlare di Rino Gaetano. Negli ultimi anni non è passato mese senza che qualche studente non venisse a parlare con me per una tesi su di lui. Il primo disco che facemmo era molto politico e non ebbe grande successo. Ricordo che gli feci registrare le basi e la mattina dopo doveva venire per fare le parti cantate ma prima di andar via venne da me e mi disse che lui il giorno dopo non si sarebbe fatto vedere perché non si reputava all’altezza di cantare in un disco.Io gli chiesi se era pazzo e giù una discussione. S’era portato un amico e mi disse che le avrebbe cantate lui. Gli dissi di andarsene a casa e pensarci su perché erano stati spesi dei quattrini per le basi e tutto e non poteva neanche lontanamente pensare di piantare le cose a metà. La mattina dopo quando arrivai in ufficio mi chiamò il tecnico dicendomi che Rino era gia lì che cantava: Era un tipo strano,la gente resta sempre vittima delle sue cose in qualche modo. Era venuto a Roma e come progetto aveva di fare la casa alla sua famiglia perché il papà faceva il portiere e non ne avevano una degna di questo nome all’epoca. Quando è morto, la famosa casa non era ancora finita ed era una villa bellissima che aveva fatto costruire per la famiglia. Se ne andò in modo così stupido,se si può dire così di una morte. Dopo i successi veri della prima parte del suo repertorio che aveva fatto con me era diventato impegnativo per tutti gestirlo e passò alla Rca dove Melis lo mise in mano a un produttore esterno che lo mandò a fare un disco in Messico dove diceva c’erano ritmi così particolari ma la verità è che cominciavano a girare le droghe e questo tipo non le disdegnava. Ecco, certi artisti invece vanno seguiti in altro modo. Poi gli piaceva bere,non andava mai a letto,telefonava agli amici a qualunque ora e dopo una o due sveglie nel cuore della notte quelli staccavano il telefono. Allora andava da certe amiche,finivano in uno dei pochi caffè aperti e parlavano tutta la notte,piaceva molto alle donne e ne ha avute tante.
Tenco per esempio era il contrario,gran parte del suo malessere derivava dal rapporto con le donne seppure anche lui piacesse,poi è finito con Dalida che non era una passeggiata per nessuno come si sa.



D: Diceva prima della morte di Rino Gaetano
R. Rino morì di notte mentre tornava a casa in macchina.S’addormentò mentre guidava in via Nomentana qui a Roma e finì contro un albero. Aveva forse bevuto e magari non dormiva da troppe ore. Mi dispiacque veramente tanto e sono ancora convinto che se fosse rimasto con me non sarebbe successo.
Ho sempre trattato gli artisti abbastanza duramente però parlavo con loro ore,non ho fatto mai mancare la mia disponibilità anche ad ascoltare e seguire quelli più “deboli”,di carattere più insicuro. Uno così è De Gregori, anche se è un grande. A proposito, mi ha appena mandato il suo nuovo disco,me li manda sempre come fanno ancora in diversi. Francesco quando dà concerti è sempre molto teso,non ama apparire e ricordo che quando con Lucio Dalla,più smaliziato,facemmo “Banana Republic” loro stavano diventando veramente importanti. C’era anche Ron, grande musicista e persona molto seria che secondo me è il migliore pianista italiano di musica pop. Insomma, un notissimo editorialista chiede di intervistarli. Avremmo avuto la prima pagina e molta pubblicità. Francesco non lo voleva incontrare e per fortuna che c’era Lucio Dalla che è bravissimo a parlare e risolse la situazione.
Lucio a parlare è bravissimo- ma facci caso- non dice mai nulla e comunque le interpretazioni che puoi fare sono sempre molteplici,come in una canzone. Tu lo stai a sentire con interesse e poi ti accorgi che non ha detto nulla,non ha preso alcun impegno e nessuna posizione. Fantastico! Mi ricordo – lui, come sai è orfano - che alla festa nazionale de L’Unità a Bologna avevamo tutti i ragazzi per un concerto e Lucio si fece riservare diversi posti in prima fila per la madre adottiva,era una sarta,e le sue amiche. Fu una cosa molto bella,una testimonianza d’amore da parte di Lucio per quella donna che lo aveva cresciuto.

D. Vogliamo fare qualche altro nome di artisti che lei ha avuto?
R. Beh!. ci fu la “Una sors coniunxit” con cui lanciammo Goran Kuzminac, Lino Rufo ed altri ma ricordo Amedeo Minghi che scrive delle belle canzoni. Gaio Chiocchio gli scrisse “1950” che lo fece arrivare al successo che inseguiva da anni. Lui le canzoni le sa fare ma ha sempre creduto di essere Verdi e diceva che i testi rovinavano le sue musiche quindi non li seguiva. Si stava scavando la fossa da solo,per fortuna cambiò idea.”1950” lo riportò a galla perché era una bella canzone e lo fece ripartire con mia grande soddisfazione. Un’altra che ricordo con piacere è Paola Turci. Con lei abbiamo vinto a Sanremo,però non era una cantautrice anche se lo abbiamo all’inizio fatto credere.

D. Signor Micocci, c’è qualche artista a cui lei ha detto un no di cui poi si è pentito?
R. Pentito mai. Ricordo però di avere cacciato via dal mio ufficio a Milano Chet Baker, il celebre trombettista bianco che poi morì in Olanda. Ci parlai un’ora e lo invitai ad andarsene. Grandissimo musicista ma non mi piaceva la gente che lo accompagnava.
Un altro è stato Piero Ciampi. Gli volevo bene ma non abbiamo fatto cose insieme,era incontrollabile purtroppo.

D. Per salutarci,dove va la musica? C’è qualcosa di rivoluzionario in arrivo?
R. La musica non va da nessuna parte,tutto è stato fatto, scritto, interpretato. Guardi la musica contemporanea,dopo Berio, Maderna e Nono o Scelsi non abbiamo altro che io sappia. Il resto non mi sembra tanto vitale anche perché non c’è più niente da inventare.


Alessandro Mannozzi

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