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INTERVIEW

Intervista a Francesco Gazzara

Il Popolo del Blues ha intervistato il tastierista romano Francesco Gazzara, fresco della pubblicazione dell'album My Cup of Tea con il progetto “Gazzara”. Partendo proprio da questa recente pubblicazione, Francesco ha raccontato l'album, la band, la sua carriera. 

State suonando questo album dal vivo?

Per la verità non molto al momento. Abbiamo fatto, però, la presentazione dell'album in un club a Roma, con organizzatori che conoscevano la nostra musica, ed è stata una serata molto bella e con ottima affluenza di pubblico. In generale, in Italia  non è facile trovare posti che capiscano veramente le esigenze artistiche e di palco del progetto. Non è facile per noi suonare in luoghi in cui il service, l'acustica e i suoni non sono adeguati. Si può portare il proprio fonico, che conosce quindi le sonorità della band, ma anche il fonico si deve adeguare alla situazione che trova nel locale e noi, a cominciare dal numero dei microfoni, abbiamo esigenze un po' diverse da quelle, ad esempio, di un gruppo rock

Con che formazione vi esibite dal vivo?

All'occorrenza suoniamo anche in formazione ridotta, ma quando siamo al completo siamo in sei.  Il percussionista (che utilizza anche il computer),  il bassista e io alle tastiere stiamo dietro e siamo un po' il motore del progetto. Sul fronte del palco ci sono invece flauto, voce e un Mc che si relaziona con il pubblico. Anche in virtù della nostra formazione, come ti dicevo, è fondamentale che sul palco ci sia la possibilità di sentirsi bene 

Nel corso della vostra carriera avete sempre prestato attenzione alla musica “suonata” e mi sembra che la tendenza sia la stessa anche adesso...

Si assolutamente. Questo album inoltre vede il coinvolgimento del produttore fiorentino Marco Lamioni, che è un amico e che ci ha aiutato anche per quanto riguarda la produzione delle sonorità più acustiche, a cui noi da soli avremmo lavorato più artigianalmente. Soprattutto Lamioni è stato in grado di capire lo spirito dei nostri brani, il fatto di partire dalla struttura di canzoni, se vogliamo, pop, per poi svilupparle nella direzione delle sonorità del progetto Gazzara

Nell'album c'è un nucleo base che è quello costituito da te, Massimo Sanna e Mauro Mirti, insieme da molti anni. Com'è il rapporto che vi lega?

Se vuoi la presenza di questo nucleo all'interno del gruppo è nata, all'inizio, casualmente. Quando abbiamo pubblicato il primo disco per la IRMA la formazione era diversa. Massimo e Mauro erano due amici ma, per il resto, chissà....nessuno aveva idea di come sarebbe proseguita la nostra avventura musicale. Poi, dall'album successivo, il sound del gruppo si è evoluto in una nuova direzione, con grande attenzione verso il materiale originale. Massimo e Mauro mi hanno seguito  in questo nuovo percorso e, da allora, la partnership è sempre proseguita.

Com'è la scena in Italia per quanto riguarda il vostro genere musicale?

Fino a poco tempo fa era possibile esibirsi nei club e abbinare il nostro set a gruppi di Hip hop oppure funk, spesso chiudendo la serata, nonostante il gruppo andasse a costituire una cornice sonora un po' diversa rispetto a quella degli altri gruppi. La formazione completa con tanto di Mc si presta bene per trascinare il pubblico a fine serata. Adesso c'è più scetticismo generale, solo il fatto che il gruppo dal vivo non ha batteria talvolta desta delle perplessità, cosa che all'estero non succede assolutamente. All'estero possiamo esibirci dal vivo dopo un gruppo di bossa nova senza che nessuno sia dubbioso o sospetti che la cosa non funzioni. Il pubblico italiano, durante l'esibizione,  dimostra forse maggior calore ed entusiasmo. All'estero invece, durante il concerto c'è più silenzio perché il rispetto, verso questo e altri generi di musica, vince su tutto il resto. Questo accade anche in Spagna o Portogallo, paesi in cui ti immagineresti più festosità. La festosità c'è, ma il rispetto prevale.  Alla fine del concerto invece, che si ascolta con attenzione come se fosse un disco, c'è una piccola pausa di silenzio – cosa che qui spesso non è percepibile! - dopo di che, se l'esibizione è piaciuta, esplodono gli applausi.

Cosa c'è di diverso intorno a voi oggi rispetto a quando avete cominciato ?

Oggi mi sarei aspettato un pubblico più o meno dell'età nostra, di quarantenni, dal momento che quando ho cominciato, dieci anni fa, il nostro pubblico era costituito soprattutto da trentenni. Immaginavo che oggi quel pubblico sarebbe stato lo stesso, che me lo sarei portato dietro nel corso del tempo. Invece ho notato che c'è un ricambio costante e che oggi ai nostri concerti c'è un pubblico tra i venticinque e i trent'anni, che magari non conosceva la nostra musica e che l' ha scoperta per caso, che si è informato o che ci ha trovato via internet.

Mi racconti dei molti ospiti che hanno preso parte a My cup of tea?

Non ci sono grandi nomi, ma se escludiamo James Taylor del James Taylor Quartet che è stato ospite nel nostro primo disco, nei nostri album non abbiamo mai avuto grandi nomi. Ci sono però musicisti molto bravi tra cui la cantante Lily Latuhero, che si esibisce con noi anche dal vivo, o Eduardo Piloto Barreto, che è il figlio di Marino Barreto. Poi, ad esempio, c'è Dario Cecchini, che ha prodotto il brano Your way your style, oppure Pierluca Buonfrate che canta su Who Do You Love. Il brano è per altro l'unica composizione cantata da una voce maschile. Quando compongo spesso canto io i brani, quindi li scrivo nella tonalità che fa per la mia voce. Ogni volta c'è quindi un lavoro di riarrangiamento per trasportare le canzoni nella tonalità giusta per le cantanti che li interpretano. In questo caso il brano ha un arrangiamento molto particolare che non era possibile trasportare, quindi abbiamo scelto di affidarlo ad una voce maschile. C'è inoltre come ospite la cantante Yasemin Sannino, che ha già lavorato stabilmente con noi in passato ed è quindi un ponte di collegamento tra questo album e il precedente. 

Qual'è stata la soddisfazione più grande che ti sei tolto realizzando e vedendo poi pubblicato My Cup of Tea?

Sicuramente ce ne sono due. Su un piano generale, quella di aver potuto dare alle mie canzoni “una casa” raccogliendole all'interno di un album.  Nell'era di internet non è un concetto così scontato. A fronte del mondo digitale e della rete era importante per me che le canzoni trovassero una casa all'interno di un disco. Poi, tra qualche anno, magari questa casa sembrerà vecchia, è una casa del 2009... ma non importa, l'importante è che le canzoni siano entrate a far parte di un album.

Nello specifico, invece, sono molto contento di poter pubblicare il secondo album per l'etichetta Ritmica. E' un etichetta nuova ma con un rispetto totale della libertà creativa e promozionale dell'artista. Lavorare con loro è come lavorare con le major come erano anni fa, all'antica. Quando il rapporto discografico con la IRMA si è interrotto, ci sembrava impossibile poter trovare una realtà analoga. Invece per fortuna è stato possibile. Ritmica ci ha dato la libertà di poter fare un prodotto bello e completo anche dal punto di vista del packaging e della grafica. Ad esempio nell'album c'è un bel libretto con i testi, che è molto importante. Noi, cantando in inglese, spesso ci relazioniamo con l'estero. Chi ci ascolta può leggere i testi e si rende conto immediatamente se sono testi profondi oppure no. 

Alcuni dei brani che hai scritto sono stati richiesti e usati per fiction televisive importanti come Sex & the City...

Io tendo a separare il progetto Gazzara da tutto il resto. I brani che mi chiedono di scrivere sono per me una fonte di guadagno, ma il guadagno deve essere finalizzato a permettermi di portare avanti i miei progetti. In ogni caso, anche in questo tipo di lavoro cerco di essere creativo e di non eseguirlo meccanicamente. Mi sono organizzato con uno studio sotto casa che mi permette di scrivere a tutte le ore senza problemi di orario. Il rapporto discografico dei Gazzara con la IRMA ha portato a collaborazioni importanti proprio come l'inserimento di alcuni brani in Sex & The City, che per il gruppo ha significato maggior esposizione e alcuni concerti all'estero. E' interessante citare, oltre a questo, il fatto che all'estero, soprattutto nei paesi dell'est, esistono delle etichette indie via internet che rendicontano le vendite dei dischi proprio come un'etichetta tradizionale e che ci hanno portato a collaborazioni inaspettate. E' il caso di un brano dai toni un po' cupi, alla John Carpenter, che abbiamo registrato per un'etichetta di Kiev e che ci ha dato la possibilità di essere remixati da un dj più famoso di noi. Tom Moulton, infatti, lo ha notato e ci sta lavorando per realizzarne una nuova versione. 

Riassumi brevemente ai lettori del Popolo del Blues la tua storia, che cosa è cambiato dai tuoi esordi ad oggi?

Le cose cambiano dentro di noi nel tempo, crescendo riscopri cose che avevi abbandonato, anche se io tendenzialmente non guardo mai indietro. Quando ho cominciato venivo da un mondo più jazz e funk e mi sono lasciato alcune cose alle spalle, come la musica classica o i Genesis, uno dei miei grandi amori musicali. Poi, ricominciando anche a studiare il pianoforte, mi sono riavvicinato a quel mondo. E' nato infatti il progetto The Piano Room, di cui a settembre uscirà il terzo album. All'inizio si poteva credere che fosse il mio progetto parallelo da solista, uno di quei progetti con cui pubblichi un album e poi la cosa finisce. Invece siamo andati avanti, anche perché ho la fortuna di suonare in The Piano Room con due musicisti che hanno dieci anni meno di me ma sono preparatissimi (Luca Fogagnolo e Giuliano Ferrari, membri anche del gruppo jazz Chat Noir, n.d.a.). Il progetto ha accolto l'interesse di un'etichetta con la IRMA. Non si presta ad essere eseguito dal vivo nei luoghi in cui si cerca musica di sottofondo o musica per ballare, ma è adatto a molte altre situazioni più vicine all'idea della musica classica. 

Come riesci a far convivere i tuoi diversi progetti? Li porti avanti contemporaneamente?

Riesco a far convivere la musica e la vita familiare, quindi non mi spaventa far convivere diversi progetti e portarli avanti contemporaneamente. Diciamo che, comunque, le cose a mezza giornata non vengono bene, quindi ogni volta che è necessario sono pronto a chiudermi e concentrarmi su un solo progetto. Con The Piano Room e Gazzara abbiamo modi di operare diversi. Quando scrivo per TPR butto giù io una stesura per pianoforte ma poi dobbiamo subito trovarci con gli altri per arrangiare i brani. In modo particolare il batterista è bravissimo a cucire le parti insieme. Uno dei problemi di certa musica progressive, anche fatta bene, sono le cuciture troppo forti tra le parti. Quando c'è un bravo batterista con un buon groove il problema si risolve facilmente. Con Gazzara il processo di scrittura è ancora diverso, spesso coinvolge per gli arrangiamenti anche gli ospiti che prendono parte ai brani. Diciamo che solo quando scrivo la musica per i film scrivo veramente tutto da solo senza nessun apporto esterno. 

Come mai la scelta di inserire, in un album di materiale originale, una cover come Disco Bouzuki?

Disco Bouzuki è nata come uno scherzo, un lusso che ci siamo presi in un momento di pausa. Sia io che Massimo Sanna abbiamo un grande amore per la Grecia. Con i Gazzara alcune volte questo amore è venuto fuori, ma poi abbiamo deciso di non renderlo troppo evidente perché il nostro lato più richiesto è quello western e jazz, specialmente da parte di chi è più vicino alle sonorità greche e vuole invece sentire altro. 

Poi abbiamo scoperto questo brano di  Daniel Vangarde, francese di adozione, scritto in pieni anni Settanta quindi nell'era della disco music. Abbiamo poi scoperto che Vangarde è il padre di Thomas Bangalter dei Daft Punk e che in Francia è famoso e rispettato per aver istituito l'equivalente della SIAE per gli ebrei, vietata ai tempi del nazismo. Nel brano originale, più kitsch rispetto alla nostra versione, il bouzuki contrastava con l'accompagnamento dance in sottofondo. Noi abbiamo ripreso lo stesso stile. Dopo averci studiato un po', io che suono la chitarra come secondo strumento ho inciso la parte di bouzuki, che si muove con un accompagnamento ballabile sullo sfondo. Il brano non era stato pensato per il disco, poi Marco Lamioni lo ha ascoltato. Anche lui è un appassionato della Grecia, quindi ha detto “o di questo brano facciamo il singolo, oppure lo inseriamo nell'album”. E' andata a finire che prima dell'album il brano non era pronto per pubblicare un singolo, quindi lo abbiamo completato e inserito nell'album. Dopo di che, presto, uscirà anche la versione singolo. 


Giulia Nuti

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