. | INTERVIEW Intervista a Marco Grompi dei Rusties
La recente pubblicazione di Move Along, disco che segna il debutto dei Rusties con un disco composto interamente da brani originali, è l’occasione per intervistare Marco Grompi, con lui abbiamo parlato della nascita del progetto, e delle relative influenze ed ispirazioni che lo hanno animato.
Caro Marco, puoi raccontare brevemente ai lettori de Il Popolo del Blues come nascono i Rusties? I Rusties sono nati nel 1998 dalla “fusione a caldo” tra alcuni membri di due gruppi lombardi piuttosto attivi sulla scena lombarda di quel periodo, i Feel Hippie & Grumpy e Bacco il Matto con l’intento iniziale di fare un unico, isolato, concerto tributo a Neil Young. Quella volta ci siamo talmente divertiti che abbiamo deciso di farlo ancora. Dal 2001 è subentrato stabilmente Osvaldo Ardenghi (al posto del chitarrista del Bacco Nicola Bonetti, trasferitosi altrove per ragioni di lavoro), un chitarrista dalle grandi passioni “sudiste (Allman Bros., Lynyrd Skynyrd, etc.). E’ stata suffciente una sola prova, nel settembre del 2001, per capire che la cosa funzionava.
Come vi siete per così dire “evoluti” dalle cover a brani vostri? Nell’arco di oltre 10 anni e circa 500 concerti (e solo una prova, nel 2001) dedicati a Neil Young ci siamo resi conto che il gruppo aveva una propria personalità musicale ben definita e anche piuttosto originale e, dato che avevamo nel “cassetto” diverse canzoni autografe, ci siamo detti… “perchè no?”.
Come è nato Move Along, è un progetto recente oppure è il frutto di vari anni di lavoro su questa idea? L’idea di fare un album con canzoni originali c’è sempre stata, ma la “natura” dei Rusties è sempre stata fin dall’inizio quella di divertirsi suonando dal vivo (e infatti tutti i nostri album precedenti composti di cover younghiane sono sempre stati realizzati in “presa diretta”). Solo in tempi più recenti abbiamo scelto di concentrare gli sforzi (anche economici, trattandosi a tutti gli effetti di una vera e autentica autoproduzione) maggiormente sulle nostre canzoni. I dieci brani che compongono l’album sono il frutto di una prima selezione tra le molte canzoni che avevamo. Ci piace pensare a Move Along come una serie di “canzoni a raccolta” e non una “raccolta di canzoni”.
Ci racconti delle sessions di registrazione di Move Along? Nel complesso, per registrare l’album, ci sono volute complessivamente circa 4 settimane in studio (benchè sparse nell’arco di alcuni mesi, a seconda degli impegni di ognuno). L’ossatura base delle canzoni è stata registrata in presa diretta, poi sono state apportate modifiche, sovraincisioni ed editing, ovvero tutto ciò che era necessario per farle diventare un disco vero e proprio. Per l’occasione la formazione (io, Osvaldo, Dario Filippi al basso e Paolo Guerini alla batteria) si è ampliata con l’arrivo di Massimo Piccinelli (un amico di lungo corso e pianista di gran gusto e talento) in quanto la maggior parte delle canzoni richiedevano l’impiego di pianoforte e organo. Tutte le registrazioni sono avvenute presso il Cavò Studio di Azzano S. Paolo (BG), uno studio davvero di prim’ordine per la meticolosa cura con cui è stato realizzato (ci hanno lavorato molti grandi del jazz contemporaneo e anche Mario Biondi ha inciso qui il suo album di grande successo di qualche anno fa) e per la competenza tecnica di Paolo Filippi e Teo Marchese, i due proprietari, musicisti, produttori e tecnici del suono che lo gestiscono.
Al vostro disco hanno collaborato Robi Zonca e Cristina Donà ci parli di queste prestigiose collaborazioni?
Sono legato a Cristina da una profonda amicizia (già avevamo suonato assieme stabilmente in un duo acustico tra il 1992 e il 1996 e anche in seguito abbiamo collaborato in diverse occasioni) e tutti nutriamo per lei una stima immensa come artista. Sono davvero felice che abbia accettato volentieri di cantare Move Along regalandoci un’interpretazione da brivido che ancora ci commuove ogni volta che la riascoltiamo. Robi Zonca è uno dei più grandi chitarristi italiani di estrazione blues (e infatti riscuote più successo negli USA e nel Regno Unito che qui da noi) ed è un amico di vecchia data: ho sempre pensato che il suo tocco e il suo feeling fossero perfetti per You’ll Never Know e penso che la sua performance in quel brano (e anche in Tracks) sia una meraviglia assoluta. Non aveva mai sentito il brano prima di arrivare in studio, e dopo un primo, fugace, ascolto ha imbracciato la chitarra e ha prodotto quello che si po’ ascoltare nella versione definitiva. Una sola take… perfetta! Vorrei ricordare anche l’apporto fondamentale di Paolo Filippi (alla chitarra in alcuni brani) e della violinista italo-siriana Jada Salem (in prestito dalla band di Elena Vittoria, una giovane cantautrice di cui sentiremo parlare presto) che ha realizzato l’arrangiamento d’archi di Sinking e il violino di Above Everyman.
Quali sono stati i vostri punti di riferimento, le vostre ispirazioni, in fase di scrittura e arrangiamento? Difficilissimo nel nostro caso dire da dove viene l’ispirazione per quanto riguarda la scrittura e gli arrangiamenti. Abbiamo tutti alle spalle decenni di ascolti (e spesso anche di frequentazioni molto più ravvicinate) della Grande Musica, per cui credo che il risultato sia un ibrido di tutto ciò che abbiamo ascoltato, assorbito, amato, vissuto e anche suonato in tutti questi anni. La mia passione per Neil Young è solo la più “visibile”, ma in realtà amiamo tutti artisti e generi musicali anche diversissimi tra loro (e troppo numerosi da elencare). Per quanto mi riguarda la scrittura di un brano è sempre un processo indecifrabile e misterioso. E proprio per questo prezioso. Ogni canzone ha una sua storia, una sua ispirazione (o più di una), un suo “ambiente”. Personalmente non amo molto gli album “monocordi”, ovvero quelli che suonano alla stessa maniera dalla prima all’ultima canzone. Credo che ogni canzone necessiti un suo spettro sonoro, una sua identità. Di certo volevamo fare un album fuori dalle mode del momento e dai trend musicali che “invecchiano” presto. Se avessimo fatto quest’album 10 o 20 anni fa, probabilmente suonerebbe allo stesso modo e abbiamo la presunzione di credere che questo disco ci piacerà anche tra 10-20 anni.
Veniamo ad Eclipse, il brano parla di un eclissi solare che diventa metafora di distruzione, quanto c’è di attuale in questo brano? Eclipse è stata scritta durante una vera eclissi solare totale. Ho voluto raccontare le sensazioni di quel momento in cui ho avuto la sensazione che tutto ciò che in molti chiamano “il creato” si fermasse attonito di fronte alla magnificenza dei movimenti astrali. Un silenzio e un’immobilità quasi irreale. Una sorta di senso di stupore misto a paura e rassegnazione al cospetto di fenomeni immensamente più grandi di noi “terrestri”.
The Show è un brano che considero assolutamente significativo. I latini per persona intendevano maschera, in fondo è la storia di tutti noi, della nostra vita come un eterno teatro…
Sì. Il problema è però che la vita non è uno show! Quando lo show finisce riponi la maschera e torni nuovamente nella vita reale. E questo vale anche se lo show lo affronti da spettatore. Da molto tempo in qua invece i modelli di comportamento che ci vengono proposti sono quelli di una recita perenne e spesso seguendo copioni davvero scadenti. E’ una canzone molto personale che ho scritto molto tempo fa, eppure io stesso mi sono stupito di quanto fosse ancora pertinente alla situazione sociale e politica italiana di questo periodo.
La title track sarebbe stata benissimo nella seconda parte di Freedom di Young… come nasce questo brano? C’è in qualche modo una connessione proprio con Freedom?
Move Along è nata come una ballata folk molto personale, addirittura intimista direi, che però ha sempre avuto nelle mie intenzioni un secondo piano di lettura più generale e, spero, universale. Ora più che mai è il momento di darsi una mossa, di andare oltre. L’interpretazione di Cristina le ha conferito ancor più un tono esortativo e consolatorio, trasmette addirittura pacatezza e serenità e sono felicissimo delle emozioni che suscita in me riascoltarla. Freedom è uno dei (tanti) dischi di Neil Young che amo di più e a cui sono più legato, ma non era a quello che pensavo quando mi è venuta.
Soldier Of Fortune, è un brano che può essere la metafora dei sogni di rock n’ roll di ognuno di noi… ce ne parli? Soldier Of Fortune è una sorta di “riadattamento in chiave Rusties” di un brano di Osvaldo inizialmente intitolato Un’avventura. Racconta, con una bella dose di ironia (del resto Osvaldo è un attore/cabarettista cresciuto alla scuola di Jannacci), di come i sogni di rock’n’roll spesso vengono ridimensionati dalla vita di tutti i giorni e dai compromessi a cui si deve scendere nella vita quotidiana. Il fatto che siamo (quasi) tutti riusciti a diventare degli ultraquarantenni relativamente sereni e che, allo stesso tempo, continuiamo a inseguire imperterriti i nostri sogni di rock’n’roll ci permette di poterci scherzare sopra con una certa ironia e perfino un velo di divertita inquietudine.
Ci parli di Above Everyman? C’è in qualche modo lo zampino ispirativo di Jackson Browne? Jackson (uno dei cantautori che più ammiro in assoluto) c’è solo in quel “everyman” (una sola parola) del titolo. Mi piaceva il concetto dell’ “uomo comune” generico a cui lui ha dedicato la sua For Everyman. Above Everyman è invece una canzone che credo abbia una sottile vena di misticismo di cui, purtroppo, non so spiegare il significato. Certe canzoni vengono così, senza una ragionevole spiegazione (se non la canzone stessa) e mi piace pensare che ognuno ci possa sentire quello che preferisce e interpretarla alla sua maniera.
Sul finale ho apprezzato molto Tracks, una canzone d’amore se vogliamo… ci parli di questo brano? Tracks è nata come una canzone che descrive una storia d’amore “difficile” e finisce per essere una considerazione più generale sul fatto che tutti cerchiamo (perlopiù a torto) di lasciare delle tracce durature nelle nostre e altrui vite. In realtà solo l’amore dovrebbe essere durevole e infatti le sue tracce (che a volte sono perfino cicatrici) rimangono per sempre. Il finale sfocia in una sorta di delirio psichedelico a quattro chitarre che sul palco ci darà la possibilità di imbizzarrirci in feroci jam sessions.
Concludendo il vostro tour di supporto a Move Along si aprirà con la prestigiosa partecipazione al concerto di David Bromberg… come proseguirà? Suonare prima di (e, forse, con) Bromberg al Dal Verme di Milano (e perdipiù nell’ambito di un festival prestigioso come Suoni e Visioni) è per noi motivo di grande orgoglio. Per Osvaldo l’occasione è doppiamente speciale perché nel lontano 1979 è addirittura “evaso” dalla caserma dove prestava servizio di leva per assistere a un suo concerto! Abbiamo poi in programma una serie di concerti estivi dalle nostre parti per rodare il nuovo materiale (tra cui una festa con amici e ospiti il 10 giugno allo Xel di Seriate a cui siete tutti calorosamente invitati) e un nuovo tour in Germania (il quarto!) a fine giugno. Da settembre cominceremo a portare la nostra musica in giro per l’Italia e (forse) addirittura l’Europa. Per una band che è ormai in giro da oltre dieci anni suona un po’ strano, ma i “nuovi” Rusties sono solo all’inizio.
Salvatore Esposito
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