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Ani DiFranco - Saschall, Firenze 30 marzo 2005


Ani DiFranco style represents a synthesis of various musical experiences mixed with a strong personality. She has given to Italian public a good essai of her productions.

Parola d’ordine: indipendenza assoluta. Perché Ani DiFranco, nata a Buffalo (New York) nel 1970, ha sempre autoprodotto i suoi dischi al di fuori del normale sistema musicale. Coerente, libera, coraggiosa, secondo le definizioni che le sono state date lungo gli anni, la DiFranco, cantante e chitarrista, ha sempre inciso per la Righteous Babe Records, l’etichetta indipendente che ha fondato a Buffalo nel 1990 con 1500 dollari di capitale.
Per questo un suo concerto (come quello al Saschall di Firenze, prima data del suo tour italiano) è non solo un appuntamento da non perdere per i suoi tanti fans, ma può interessare tutti coloro che amano la musica d’autore, non solo necessariamente americana. Perché Ani DiFranco, come da sua stessa ammissione, è un’autentica folksinger, nel significato più stretto della cantante popolare. «I miei idoli — come spiega nelle note del disco Revelling-Reconing uscito nel 2001 — erano e rimarranno Woody Guthrie, Leadbelly, Bob Dylan, Utah Phillips, Michelle Shocked. Gente che vive la musica come un’estensione della tradizione orale. Tramandando piccole e grandi verità da una generazione all’altra. Se morissi domani, vorrei che sulla mia tomba ci fosse scritto: Ani DiFranco, songwriter, music maker, storyteller, freak». Non solo, aggiungiamo noi, perché Ani è una perfetta imprenditrice del suo prodotto. Compone i brani, li arrangia, segue la registrazione, decide quando pubblicare il disco e quali canzoni saranno incluse nello stesso. Inoltre pensa alla grafica, alle foto e a tutta l’attività promozionale che in gran parte coincide con i concerti.
E’ proprio il rapporto con il pubblico una delle peculiarità del suo essere artista. La sua filosofia è «siate voi stessi, ponetevi le vostre domande sul mondo e cercate le vostre personalissime risposte, invece di accettare quelle confezionate per voi dalla società. Perché non posso sapere quello che è giusto per gli altri, ma incoraggiare a scoprirlo da soli sì». A Firenze l’artista, accompagnata dal suo contrabbassista Todd Sickafoose, in una performance acustica con il violinista Andrew Bird in veste di ospite speciale, ha presentato brani dal suo ultimo Cd Knuckle Down uscito quest’anno, ma la sua produzione. La sua media è infatti di registrare a far uscire un disco a ogni anno solare, sin dal 1990, quando uscì Ani DiFranco, l’album del debutto.
Proprio con Knucle Down è iniziata la sua performance, facendo subito capire l’atmosfera della serata: Ani aggredisce la chitarra acustica, ne fa uno strumento di battaglia. Non bisogna aspettarci una visione idilliaca della musica, ma un attacco al sistema continuo e senza sconti. La sua voce dal timbro grave rispetto a tante sue colleghe più o meno celebrate è assolutamente al servizio di testi, meglio liriche, che hanno la stessa importanza delle note. Sul palco talvolta vengono letti in italiano per spiegare che non ci troviamo in un concerto normale, ma dobbiamo pensare a ciò che ci viene proposto. Ma nonostante questo Ani è anche musicista: solida nella scrittura e nell’esecuzione. I momenti di maggior fascino, sicuramente Studying Stories e Mandole, sono legati a un migliore legame tra testo e note in cui l’esecutrice è maggiormente ispirata. Bella e sicuramente ben studiata la parte finale con In The Margins, Recoil e Shameless, in cui sul palco fa capolino anche AndrewBird (facilmente dimenticabile la sua esibizione solista prima del concerto), con Sickafoose che invece è un ottimo sparring partner nel sostenere per tutta la serata con il suo contrabbasso acustico lo stile della DiFranco. Che sa dare dal vivo la stessa professionalità che troviamo su disco. Può piacere o no, prendere o lasciare. Ma in tempi di globalizzazione musicale non sempre positiva la prendiamo volentieri.

Michele Manzotti



La recensione di Giulia Nuti

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