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"Bukowski (confessioni di un genio)"
con Alessandro Haber
Frenesie di uno scrittore su trame jazz
LO SPETTACOLO
Una vecchia e squallida stanza a metà tra una camera d'albergo decaduta e un locale notturno di infima categoria, in mezzo a poltrone sfasciate, strumenti musicali, bottiglie di birra sparse ovunque e una miriade di gatti randagi, è accampato Bukowski. In quest'atmosfera di desolata disperazione incomincia la danza sonnambulica, irrequieta, sospesa in una sorta di trance emotivo in cui lo scrittore racconta il suo congedo dalla vita. Così comincia Bukowski (confessioni di un genio) portato in scena da un Alessandro Haber al Teatro Comunale di Caserta, è una sorta di reading-concerto in cui viene tracciato il profilo poetico del grande scrittore di origini teutoniche. Vestito nero, parrucca biondo platino lunga e liscia, un paio di guanti rossi di velluto: con questi abiti Haber si presenta sulla scena, di spalle, beve i residui di birra nelle bottiglie sparse nella stanza e si muove sulla scena cantando Una bella macchina...da scrivere, una poesia di Bukowsky diventata una delle canzoni di punta del nuovo disco grazie a Giuseppe Fulcheri. Novanta minuti di canzoni e poesie diretti con sapienza da Giorgio Gallione. Novanta come la paura. Come tutte le paure di Bukowski: i vocabolari, le multe, la mancanza dell'alcol, le suore, i parenti. Una scelta accurata delle luci dettaglia con precisione gli spazi dell'arte: a destra del palco un leggio e una luce verticale ricamano l'ambiente della poesia. A sinistra invece una sedia sgangherata e una luce fioca e ampia aiutano l'istrionico Haber nei monologhi narrativi. Dolcezza, violenza, passionalità, ironia, un mix esplosivo di trasgressione e disperazione: sono i ricordi di Charles Bukowski che si fanno parola attraverso lo straordinario talento di Alessandro Haber, autentico alter ego dello scrittore che canta, si traveste da donna e irride se stesso intrecciando frammenti di memoria, invettive pungenti e tenerezze impreviste. Le parole ironiche, spregiudicate e feroci di un genio anticonformista vengono sottolineate in scena dal Velotti-Battisti jazz ensemble, quattro musicisti che contrappuntano ogni attimo dello spettacolo fornendo un tappeto sonoro altamente emozionale. Le parole di Haber/Bukowsky scorrono sulle note di Thelonious Monk, di Duke Ellington, che come una cornice flessibile in jazz scandiscono le tappe di un commiato alla vita urticante, scabroso, perturbante, anche se in qualche modo pacificato. Haber modula il flusso di parole sulle nervature ritmiche del gruppo, si lascia spingere, si appoggia sulle volute di suono, prende le distanze e torna a tuffarcisi a picco. Sesso e birra, musica e letteratura, amore e solitudine. Su tutto aleggia l'idea dell'addio, che corteggia e irride la morte, con parole ironiche, spregiudicate e feroci. E si chiude, il tutto, con una disarmante, candida dichiarazione d'amore per la moglie, l'unica ad aver capito lo spirito dell'orso rozzo che affermava di preferire la birra a qualsiasi altra cosa, che quello che gli importava nella vita era "grattarsi sotto le ascelle".
Salvatore Esposito
Bukowski confessione di un genio
Regia e drammaturgia
Giorgio Gallione
Con Alessandro Haber
Musiche: Velotti - Battisti jazz ensemble
Canzoni: Giuseppe Fulcheri
Luci: Jean Claude Asquié
Elementi scenici: Lorenza Gioberti
Costumi: Guido Fiorato
In collaborazione con minimum fax
Alessandro Haber
l'intervista,
"Il Sogno di un uomo" - il disco
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