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Let it be naked Let It Be Naked Nel caso di Let it be naked le cose andranno più o meno così alla lunga: infatti coloro i quali hanno orecchio per i contenuti musicali non segnaleranno variazioni in questa nuova versione che possa far loro cambiare idea (d'altronde qui la musica è solo un pò più spoglia!), quelli che si concentrano sui testi non impazziranno certo per delle versioni alternative di brani che probabilmente già sapevano a memoria mentre coloro i quali restano affascinati dallo stile di vita che la musica emana resteranno con un pugno di mosche perché in Let It Be naked aver cancellato l'operato del produttore e svengali Phil Spector, chiamato a salvare l'opera e il salvabile, ha voluto dire proprio cancellare l'oltraggioso, sontuoso, ma misurato kitsch di un talento paragonabile a quello di chi ha saputo costruire cattedrali nel deserto e vendere frigoriferi al polo nord, ma con orecchio per la musica e le parole, interpretando, per di più magnificamente secondo l'autore - i tempi che stavano cambiando per tutti, soprattutto per i Beatles. Con Let it be naked Paul Mc Cartney, principale artefice di questo progetto, nel nome di una azienda che non deve e non può fallire e di un non insospettato orgoglio, tenta di tramutare i quattro baronetti nel suo personale gruppo lì dove Spector aveva tentato di farli sembrare almeno su disco ancora una volta, l'ultima, si sapeva! coesi. Ma se il tempo sa dare ragione alle cose e al loro ordine naturale, anche quelli che hanno acquistato Let it be naked non tarderanno a fare dietro front e a tornare all'opera primaria, a quella di Phil Spector, testimonianza di un impero che stava lentamente scivolando con i suoi fasti di un decennio tutto trascorso nell'oblio. Questa versione così basica nel far perdere questo senso di ineluttabile sembra più l'ultimo lifting a cui una donna si sottopone per recuperare una bellezza che sta svanendo senza ricordarsi però che anche in quello svanire vi può risiedere vera bellezza. Ernesto de Pascale |
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