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The Blues: Intervista a Marc Levin, Richard Pearce e Alex Gibney

C’è un metodo per distinguere un buon viaggio da uno meno interessante, di cui poi, nel tempo, se ne perdono le tracce? Ognuno ha un proprio sistema, una catalogazione dei gesti e degli avvenimenti accorsi. Per quanto riguarda i viaggi io ne ho uno – non so se giusto o sbagliato ma funzionante – che mi dà la misura di ciò che la permanenza lontano da casa ha sviluppato. E a distanza di più di dieci giorni dal rientro dagli Stati Uniti sono ancora qui a mettere a posto cose, oggetti, a scambiarmi lettere, a chiudere progetti aperti lì, a catalogare dischi, cd, dvd, libri, riviste, flyers e altro La eco non si è spenta, la vibrazione resta a fior di pelle, il racconto ad amici e la scrittura del racconto non ancora terminata. Quando un viaggio lascia un’onda lunga vuol dire che quello è stato un buon viaggio. E questo è stato un buon viaggio.

Per rompere gli indugi e le riserve del dopo 9/11 questa volta, insieme alla mia compagna Laura, abbiamo volato fino a Boston. Io per sporcarmi le mani nei sottoscala di alcuni dei più trasandati negozi di dischi rari di vinile. Lei per vedere un pò di America mai vista. Ed è stata una bella soddisfazione per entrambi. Il viaggio su Boston ci ha permesso un approccio meno traumatico con l’America del dopo torri gemelle: l’atmosfera un pò austera, europea, a più basso profilo, un modo di porsi simile a quello vissuto a San Francisco piuttosto che a New York City ci ha aiutato a vivere bene una città piena di forza e vitalità, in cui i giovani hanno molto da dire – La Harvard University e il Massacchussettes Institute of Technology ne sono lampante dimostrazione – e la creatività ha ancora un ruolo, dove il vecchio e il nuovo convivono bene.

Se i bostoniani vivono, da un parte, l’ansia di non essere veri europei (come in verità vorrebbero), dall’altra hanno le carte in regola per essere una forte bilancia al glamour metropolitano newyorchese. Nella musica, le due scene, molto diverse, anche se coincidono i punti di partenza (rock & roll!), si odiano allegramente, si scherniscono e si osservano con molta attenzione, mantenendo così alto il livello di tensione musicale nell’aria. Nondimeno l’animo indipendente della città si è andato manifestando sia dai primi sessanta quando gli universitari di Cambridge, sede di Harvard University, decretarono la completa e totale accettazione del blues nero nei club che all’epoca pullulavano intorno ad Harvard Square e che furono trampolino di lancio per artisti quali Bonnie Raitt, Jim Kweskin, Jim Rooney, Taj Mahal che si alternavano ai vari mostri sacri. Sul versante più rock si imposero band come The Remains a Beacon Street Union, mentre il Boston Tea party rappresenteva una di quelle sale da concerto il cui pubblico poteva competere, per atenzione e competenza, con quello dei Fillmore di San francisco e New York City. Ecco allora che assieme a una scena più propriamente indie guidata dalla rampante etichetta Fenway (www.fenwayrecordings.com) a Boston vive bene The Boston Blues Society (P.O.Box 51438, Boston, MA 02205-1438 ads@bostonblues.com) e da anni si è imposta la Rounder records (www.rounder.com) che fin dai settanta ha portato avanti la scena country alt., bluegrass, blues senza timore e che grazie alla figura dell’intraprendente Scott Billington, vicepresidente e A & R) ha trovato spazio in operazioni ben più grandi del proprio fatturato come il film “Fratello dove sei”. Di tutto questo mi racconta con dovizia di particolari “Sax” Gordon Beadle, grandissimo sassofonista di Blues e Rythm & Blues, profondo conoscitore della scena locale e uomo di grande affabilità e gentilezza. Gordon, che alterna buona parte del suo tempo fra Boston e l’Europa, è un musicista stimatissimo anche qui, affidabile, sempre entusiasta, autore di due ottimi dischi (per la Rounder) e artefice di molti successi altrui fra cui il più recente album di Kim Wilson dei Fabolous Thunderbirds, “Looking for Trouble “(Mc-Records, www.mc-records.com) e il nuovo album di Toni Lynn Washington “ Been so long” (Northern Blues Music, www.nothernbluesmusic.com), veramente notevole. Dice che la scena è in ripresa anche se la recessione, si tocca con mano, è arrivata dovunque. Così, mentre noi ci lamentiamo quotidianamente delle condizioni in cui lavorano i musicisti locali, entriamo da Zuzu,Massachussetts avenue da Boston verso il centro di Cambridge (ma è tutta una sola città!) una volta luogo di punta della scena alternativa descritta, per vedere la strumentazione di un trio relegata da una parte: male illuminato, senza monitor, usando un impianto non adeguato si esibisce Frank Morey, un giovane di buone speranze, una via di mezzo fra Tom Waits, Chris Isaaks e Howling Wolf, che tenta di farsi ascoltare mentre le cameriere gli ronzano a un metro. Morey ha un disco d’esordio per la storica marca di blues Delmark ma, evidentemente, più di tanto non è riuscito ad avere indietro. Lui, determinato, cappellino sugli occhi guida il proprio trio con piglio forte e non si cura di ciò che accade intorno. Noi usciamo dopo poco, infastiditi dalla confusione di troppi giovani disattenti per scoprire che la sera dopo si sarebbe lì esibita Eileen Rose, il cui album del 2002 “long Shot Novena” avevo segnalato fra i migliori dell’anno e della quale avevo perso le traccie. La ritrovo qui. Alzo la testa, sta per piovere, il cartello sull’angolo di Massachussetts Ave porta una dedica: Mark Sandman square. Dedicato al compianto bassista dei Morphine che qui mosse i suoi primi passi musicali: ”Una delle migliori persone mai incontrate in vita mia” dice Gordon mentre 2 giovani ragazze argomentano tra loro che la birra di Zuzu a 3 dollari è troppo costosa.
I negozi di dischi rari mi danno belle soddisfazioni a Boston; i prezzi sono assolutamente accettabili, quasi la metà di New York City e la varietà è tanta. Camminiamo fino al 1686 di Mass ave, a Cambridge, ben oltre Harvard Square, per spingerci fino a Stereo Jack’s che Gordon mi aveva descritto come il luogo dove avrei trovato maggior competenza.


Il posto è una schifezza. Dentro tre anziani signori commentano vecchi dischi di jazz a voce alta, pratica diffusa in tutti i negozi di dischi rari del mondo tra i vecchi clienti dei vari negozi, queste persone amano che i frequentatori passeggeri comprendano che loro sono i veri abituee del posto!. Per quanto è brutto, Gordon aveva davvero ragione. E’ proprio il paradiso dei collezionisti! Non di meno devo dire di Looney Tunes, 1106 Boyleston st in pieno centro, che consiglio ai collezionisti di jazz e classica. La mia infinita ricerca delle 110 collaborazioni di Oliver Nelson a produzioni altrui si è arricchita di ben 4 album in questi 4 giorni bostoniani e adesso sono sotto quota venti! (aggiornato al 10 sett.03) mentre la mia collezione Bluesway si è andata ampliando con altri 2 numeri e di quella sono a quota meno sei (aggiornato al 10 sett. 03). Andare per dischi rari permette di conoscere la città e di percorre strade che altrimenti un turista eviterebbe matematicamente. Con Laura contiamo di aver percorso circa 15 km per arrivare e tornare indietro da Stereo Jacks’s ma ne è valsa la pena. In questa nostra lunga navigata ci siamo poi imbattuti in un civilissimo ed europeissimo negozio di articoli per fumatori, Leavitt & Peirce (1316 Mass Ave., Cambridge, Mass 02138 USA)che ci ha ancora una volta confermato la voglia di vecchia Europa che pervade i bostonianiani.

Leavitt & Pearce

Anche la loro più bella e importnate libreria, Harvard book, davanti alla sede dell’università, ha un tono ben diverso da quello delle catene americane come Borders o Barnes & Noble.

Drivin’ South
Salutata Boston il nostro viaggio si sposta adesso verso il Sud e più precisamente verso una delle zone più esclusive del Massachussetts: la penisola di Cape Cod, una località dedita al turismo di elite ma resa celebre dalla famiglia Kennedy e dal presidente John che la considerava la propria seconda casa. Tutti gli amici che avevano viaggiato su Boston prima di noi ci avevano invitato a fare un deviazione verso Cape Cod per scoprire qualcosa di veramente diverso. La penisola ha 2 sole strade e quattro cittadine più grandi delle altre: Felmouth, Hyannis, Chatham e Provincetown al capo nord della terra. Noi siamo di base a Hyannis presso un curioso motel anni cinquanta che pare uscito da un film di Alfred Hitchcock.

Un piccolo porto, ristoranti di ottimo pesce, gente paciosa. Ma la vera sorpresa è scoprire che stasera, presso una tenda che ospita non pù di mille persone, si esibiscono i Little Feat. La mia macchina da guerra si mette subito in moto. E sarà una grande, grandissima serata di musica nonostante la stanchezza che ci portiamo appresso.
Decidiamo di scoprire Cape Cod: guidando per le strade del posto conveniamo che Chatham è la più graziosa delle quattro cittadine (può ricordare Mill Valley a nord di San francisco) e che Provincetown, abitata da una forte e strutturata comunità gay, è la località più appariscente e rumorosa. Ma quello che ci piace di più è scoprire una miriade di negozi di antiques lungo la strada al punto tale da comprendere un pò per volta che quello è una vera e propria isola felice per l’antiquariato americano, un luogo famoso da loro ma assolutamente sconosciuto di qua dall’Oceano. Quando si parla di antiquariato americano bisogna fare mente locale alla storia di quella gente e che per loro anche un juke box degli anni cinquanta è antiquariato mentre per noi +è modernariato. Ecco allora apparire in certi deliziosi e perfettamente mantenuti negozietti sparsi lungo la statale oggetti di memorabilia che farebbero la felicità di casa Arbore: tralasciando i dischi, io mi innamoro di un juke box Wurlitzer del 1952 (che faccio? Lo faccio viaggiare in aereo come bagaglio a mano?) e di una chitarrina Kay (come quella che suonava Phil Alvin di The Blasters il mese scorso a Sarzana) a soli 50 $. Ma non importa, abbiamo preso le coordinate. Aspettiamo che giri un pò di roba vecchia e nuova, magari qualche cantina da svuotare, e torniamo. No?

Lasciandoci Cape Cod alle spalle guidiamo verso Sud, direzione Connecticut. Attraversiamo il Rhode Island, tagliando per Newport che poco ha del vecchio sapore descritto una volta da tanti avventurosi jazzisti. Vi è un turismo un pò sbilenco a Newport e pochi motivi per fermarsi a lungo, inoltre i parcheggi sono una chimera. Ma la strada che la attraversa è anche la via più corta per tagliare lo stato. In macchina ascoltiamo una radio satellitare che si chiama “FolkTown”: suonano folk, naturalmeente, vecchio e nuovo, con poche interruzioni e nessuna pubblicità. Fa un certo effetto ascoltare Peter, Paul & Mary e vecchie canzoni di Bob Dylan. Concilia la guida.



E come poi non esultare quando, nel bel mezzo di una foresta sulla junction 98, mi appare come oasi nel deserto, una libreria – sita in una di quelle catapecchie che al Sud chiamano One Room Country Shack – di volumi usati, gestita da una simpatica signora di mezza eta? Questa è quella che io chiamo cultura del popolo.



Gregg’s Flight
Adesso guidiamo verso il Connecticut, la nostra ultima tappa è New York City, ma il viaggio ha una meta intermedia precisa, una meta che non vedo l’ora di raggiungere. Si chiama Pound Ridge, 3000 anime, primo paese dello stato di New York a confine con il Connecticut, appunto, luogo esclusivo, residenza di Richard Gere (Laura esulta!) e di Keith Richard (rock & rooolll!), paesello sperso tra le foreste dove abita una persona a me estremamente cara con la quale ho diviso alcuni dei miei migliori anni, il mio amico “Dj” Gregg.
Di lui non ho mai parlato sulle pagine web de Il Popolo del Blues, non ce ne era bisogno fino a oggi!, ma, per spiegare a coloro i quali si domanderanno di così tanta enfasi in un report giornalistico, voglio solo dire che fra il 1979 e il 1984 Gregg ed io siamo stati una coppia formidabile, di qua e di là dall’Oceano, e che alcune delle più importanti esperienze della nostra vita sono state vissute insieme. Il mio migliore amico? non sono adatto a formalizzare con frasi fatte certe cose ma sicuro è che ci bastava scambiare uno sguardo per capire cosa fare, come farlo, quando, perchè e dove. E non ce ne era per nessuno.



Dopo quegli anni selvaggi, Gregg ed io ci siamo persi e ritrovati più volte, l’ultima era stata nel 1997, per un pranzo, durante il primo viaggio con Laura negli Stati Uniti, rotta San Francisco. Gregg in questi anni ha fatto molte belle cose: si è sposato con una ragazza pratese (aveva giurato che avrebbe vissuto con una ragazza italiana...), Sonia, continuando a fare avanti e dietro con Italia per lavoro, onere di non poco conto, avuto due splendide bambine, Isabella e Francesca, e vive una vita felice come si può essere felici al mondo d’oggi. Di lui ho sempre apprezzato il grande impegno e la testardaggine. Lui non lo sa ma mi ha insegnato che nella vita bisogna almeno provare ad avere sempre ragione!!!

Non so quante volte Gregg aveva pensato alle nostre avventure selvagge nelle notti fiorentine e newyorchesi, ma so bene quante volte ci avevo pensato io che condivido e abbraccio in pieno le parole di Mogol “ il ricordo come sai/ non consola “(Lucio Battisti – “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”). Dei suoi pensieri passati ho avuto però poi trasparente percezione in una bellissima e mail che mi ha spedito dopo esserci salutati e che mi ha confermato ciò che da tanto vado dicendo e che cioè che ci sono storie che resistono all’usura del tempo, se sono storie vere. E questo penso che per un essere umano sia veramente appagante... Insomma lo spirito comune aleggiava da qualche parte, andava solo capito dove risiedeva.Noi due lo abbiamo recuperato all’aereoporto di Firenze, reincontrandoci, veramente per caso, il giorno delle nostre rispettive partenze, lo stesso, nel piccolo bus elettrico che ci portava dalla sala d’attesa all’aereo mobile che copriva la tratta Firenze-Milano, lui, poi, in partenza per New York City, io per Boston, la mattina del 24 agosto, alle ore sette. Ed è stato un attimo...
Come spiegare Pound Ridge? Con le parole di Gregg : “ Entri in un bosco, fai due miglia, giri alla casella di posta, percorri una strada che attraversa un lago. Ecco, il mio è il lago di sinistra. Sei arrivato”. Indicazioni perfette!.


Il mio amico Dj vive in un luogo che mette lo spirito in pace con il corpo e capisco perchè Keith Richard abbia deciso di venire a vivere qui. Quando scendi in città, dal silenzio che lasci, sei carico carico come una molla e allora Rock & Roll!!! Sonia, Laura, le bambine, Gregg ed io abbiamo passato una sera davvero speciale e partire, il giorno dopo, non è stato facile. Ma ci saremmo reincontrati, prima del previsto...

Lost in Mamaroneck
La macchina doveva essere riportata entro le 12 ed era tardi, eccome se era tardi, conoscendo poi la difficoltà delle arterie autostradali intorno a New York City. Nonostante le indicazioni perfette di Gregg a Mamaroneck, posto dell’immaginazione eppur reale, nello stato di New York (meglio se si chiamava Maccaroneck!) ci perdiamo ma – non ho ancora capito come- ritroviamo poi il senso di marcia. Arrivati sul Tribourogh bridge, a nord di Manhattan, essa finalmente ci appare in questa bella giornata di sole. Ma qualcosa manca e continuerà a mancare, tragicamente, dal mio sguardo per i giorni a venire...

New York City State of Mind
New York City è sempre the city that never sleeps ma l’atmosfera mi pare un pò dimessa ; sarà che la gente qui rientra dopo il primo settembre, labor day, sarà quel che sarà, molti ristoranti sono vuoti, c’è un gran dibattere sui prezzi, sulla recessione, Bush (notizia positiva) perde colpi.

Gregg mi aveva detto solo il giorno prima: “ Fra venti anni sui libri di storia ci sarà scritto che questo periodo fu un periodo di depressione, non di recessione. Qui siamo molto vicini alla crisi del 1929 “. Io accolgo la sua tesi e la riporto come momento di riflessione per tutti.

Insomma, i problemi sono gli stessi, amplificati. Ma la gente c’è e vive, vuole vivere e si getta ancora più decisamente nelle strade. La nuova occupazione dei newyorchesi (non so per il resto d’America) è la sicurezza. Se il tasso di disocupazione si abbasserà state certi che sarà perchè molti saranno stati assunti come Security Men. La gente verrà pagata per badare ad altra gente, anche privatamente. Ma la domanda che pongo è : noi volevamo vivere in uno stato sociale del genere?...


Prosegue la mia ricerca di libri, curiosità, dischi e dvd. Poi ci sono amici da salutare, incontri da fare, vivere la città. Questo è sicuramente un viaggiuo speciale per Laura ma sopratutto per me. Lei mi accusa che l’aultima volta che siamo a New York City non le permisi di salire sulle torri gemelle, io le rispondo che lo feci per la sua incolumità....La mia amica Lucy Kuhn, marketing manager per un famoso tabloid, ha un appartamento in un esclusivo condominio a Rector Place, 2 isolati due da gorund zero. Rector Place è una piazzetta per single, uomini d’affari, una piccoloa comunity con guardie anche in ascensore ma non mi stipisco più di tanto. C’è molta gente sola qui, si vede si confortano così.... Tutti hanno un cane, tutto è pulito, se non volti le spalle alla città potresti forse essere in Florida. Dal suo appartamento al diciassettesimo piano si vede la Statua della Libertà, Staten Island, il grattacielo della Solomon, già in terra New Jersey. Lucy, che conosco dal 1981 e con la quale dividemmo un gran viaggio al festival jazz di Montreux per la registrazione del disco “Casino Lights” (1981) con Randy Crawford, David Sanborn, Al Jarreau e gli Yellow Jackets con Mike Mainieri (c’era anche sua sorella Emma, il mio amico Gregg e Franco Manescalchi, sassofonista dei Lightshine alla guida della sua Ford Taunus Rossa!) è rimasta la simpaticona di sempre. Una casinista con l’attitudine proprio tipica dei newyorchesi! È accogliente, opsitale, lega subito con Laura (impossibile non legare con Laura…) ma bastano pochi minuti per intraprendere discorsi seri e considerazioni labirintiache sulla vita. Ama la musica, la bicicletta (ha girato l’Italia in bici), gli acquerelli e non nasconde che il lavoro gli sta stretto. Mi pare di capire che molti a New York City se la passano così. E mi fa capire che gli va di lusso...


Dalla terrazza di casa sua analizzo per un attimo la situazione circostante: 2 isolati qua dietro c’è ground zero. Sopra la mia testa ronzano bassi aerei di linea che stazionano attendendo di atterrare ai tre aereoporti internazionali che sono laggiù oltre l’orizzonte di questo bel tramonto : Newark, La Guardia, JFK.. Le collisioni possono essere all’ordine del giorno. Certo, penso, le torri gemelle erano state erette proprio nel luogo meno protetto di Manhattan. Uptown i grattacieli formano un reticolo ma quaggiù, a Downtown, di così alto non c’è altro. E per di più i jet ci volano intorno, quotidianamente da anni.

Foto di Gregg Levethan alle Ttwin Towers l’11 settembre 2001 dal suo ufficio al 54esimo piano dell’Empire State Building prima di essere evacuato

A East Village l’atmosfera è di grande cambiamento: Downtown Music Gallery, il megozio dell’avanguardi newyorchese, si è mosso su Bowery ma la sede è ben più angusto, tanti piccoli “ buchi” per collezionisti sono già spariti, i prezzi degli altri raddoppiati, solo l’ottimo Footlight, sulla 12esima east e Broadway, mi stupisce per una colossale svendita. Quel negozio è da visitare: chi ama il musical, i cantanti pop e jazz dei cinquanta e il jazz strumentale andrà vià felice e con le tasche più leggere. Due anni fa vi trovai una copia originale della colonna sonora de “L’Infernale Quinlan “ di Orson Welles, questa volta arricchisco ancora la mia raccolta di collaborazioni di Oliver Nelson! La sera faccio scoprire a Laura uno dei luoghi più caratteristici di New York City, Il Carnagie Deli, un tipico dopo teatro di Manhattan, ricco di foto di una volta, dal sapore retrò, con cibi che la lasciano finalmente contenta (dopo le difficoltà tipiche degli Stati Uniti!).
La mia casella vocale in albergo è sempre piena: il mio caro amico Anthony paule da San Francisco che non vedo da un pò e la sua moglia Christine Vitale, la cantante jazz soul Alexis Hightower, l’etichetta discografica new progressive Cuneiform che ha appena prodotto un gruppo di Boston, Birdsong of the Mesozoic, un nome sconvolgente!, Gregg, Marshall Chess che incontrerò prima di partire. Il telefono non smette un attimo! Il canale CNN mette in onda una intervista di Larry King a Johnny Cash dello scorso novembre (22.11.02), mentre il più recente video, “Hurt”, vince un importante premio di MTV. In questa intervista Johnny è ancora eroico e parla delle sue sventure, delle sue disgrazie a testa alta. Oggi che scrivo, 12.9/03, Johnny Cash is dead...
Ci vuole un pò di pausa. Decidiamo di raggiungere la famiglia di Gregg, a New Caanan,Connecticut, per il Labor Day. E’ una grande riunione di famiglia e io tornerò tra le persone che più di venti anni fa mi accolsero come un figlio.

The road of Millionaires
Così si chiama la strada dove Sid e Sandra Levethan, i genitori di Gregg, abitano e laggiù abita Paul Simon. Sid e Sandra sono stati per me una seconda famiglia e sono due persone eccezionali dal gusto europeo. Sid adesso che si è ritirato dal lavoro – che è stato affidato ai figli Gregg e Lance – collezione ceramiche inglesi che coprono un periodo di circa 300 anni, dal 1400 al 1700 e la sua collezione è una delle più grandi del mondo non tanto per quantità ma per qualità, ricercata dalle più importanti gallerie del mondo. E’ un uomo indipendente, libero e non ostenta mai quello che ha creato e ciò che ha. Sandra è simpatica: allegra e sorridente ma sempre decisa. Mette in riga i nipoti con due parole (Lance ha quattro bimbe e 30 macchine sportive d’annata, “per fuggire“ mi ha confessato sotto voce...). Non poteva esserci modo migliore per passare il labor day!: Laura è raggiante ed è accolta proprio bene, siamo in una vera famiglia americana, ma che ha attraverso Sonia, la moglie di Gregg e la loro frequentazione con l’Italia, un tono unico,vivendo la loro vita e la loro festa, così come io ho sempre cercato di far fare a Gregg una vera vita italiana quando era qui. È l’unico modo per vivere le differenti radici della gente del mondo e integrarsi! Grazie Sid, grazie Sandra!



Marshal, Jamar & Dropaflo: Fathers & Sons & Brothers & Sisters
Chi è DropAflo? è il nome d’arte di Jacopo, rapper milanese trapiantato a New York City prima, e poi a Los Angeles, scoperto da Jamar Chess, figlio 22enne di Marshall, produttore rampante, ultimo rampollo della grande famiglia polacca che nei tardi quaranta dette voce discografica al blues di Chicago. Quello di Dropaflo è un progetto di cui Marshall mi parlava da quanlche mese e che mi incuriosiva: è la tradizione che va avanti. Prima Phil e Leonard, poi Marshall, adesso Jamar. E per di più con un italiano! Marshall è un tipo che – lo so- non sa star fermo, ha sempre idee; per DropAflo la strategia è semplice: far firmare Iacopo con una major sia in Italia che in America e lavorare anche sul mercato sud americano. Il discografico italiano che fa il colpaccio diventa un eroe nel suo paese e ha le porte aperte ovunque al mondo. Chiaro? Ma oggi, vi chiederete, con come vanno le cose, ha un senso tutto ciò? Mi sono posto anche io la stessa domanda e per di più frequentemente negli ultimi giorni dopo aver visto la recessione discografica incalzare e un prodotto medio di scarsissima fattura (anche i tanto decantati nuovi artisti indie sono poca cosa, vedi i King of Leon e un secondo disco dei Black rebel Motorcycle Club non entusiasmante) ma il fatto che dietro a questo progetto – di cui non si discute la valenza musicale vista la bontà ma di cui si potrebbe discutere l’intera situazione contingente – ci sia Mashall mi stimola. A quanti di voi capiterà di lavorare spalla a spalla con l’ex presidente della Rolling Stones Records? a quanti di sentire e vivere le dritte che hanno fatto grande la storia del Blues di Chicago? E come Marshall dice a Jamar “ Hey ragazzo! quello che stai facendo è il blues della tua generazione!”. Andiamo!..... Marshall ci tratta come il padre trattava i grandi uomini di una volta. Ci porta da Gallagher’s, la storica Steak House della 52esima ovest. Dentro è solo una lunga unica sequenza di foto. Ci sono gli eroi del Tin Pan Alley, del Brill Building, il tavolo riservato di Phil Spector, che in dieci anni, andò lì solo 2 volte (ma pagava regolarmente ogni anno, mi spiega il capo sala...), qualche faccia losca che Marshall mi descrive elencandomi il pedigree penale e poi quelle di grandi giocatori di baseball, di fantini, cantanti, attori e una cella frigorifera dove le bistecche stagionano. Provo a misurare la mia: è alta quasi cinque dita ma è morbida come un panetto di burro e mi viene servita con una montagna di patatine fritte, onion rolls e spinaci. Si beve Zinfidel californiano, un rosso che già il mio amico Anthony Paule ci aveva proposto nel nostro ultimo tour di wineries nell’agosto 1998 a Nord di San Francisco. Non è tanto per quello che si dice ma per l’atmosfera che si vive che vale la pena andare da Gallagher’s. Insomma la storia si respira anche così!... Con Marshall, Jamar e DropAflo ci lasciamo con un programma specifico che appronteremo in un mese. Il seguito qui, negli aggiornamenti mensili de Il Popolo del Blues, in internet. Ma adesso è tardi, piove a New York City e io ho evitato Ted Nugent per un pelo.


Crosby is in
Prima di partire ho ancora cose da fare.In albergo devo andare a salutare David Crosby che domani, mentre io sarò sulla strada del ritorno, si esibirà in città con Nash e Stills. David è simpaticissimo ma affaticato dalla tournee. Sono in quattro in una suite per dodici persone, quando entro sta suonando la chitarra con il figlio.Sono introdotto da un amico comune. Si ricorda di Pistoia Blues e manda tanti saluti agli amici italiani. Si era registrato qui in hotel sotto falso nome. Dice che ama New York City ma che è tutto cambiato e non trova più i suoi punti di riferimento di una volta giù a West Village, al mitico angolo di Bleecker e Mc Dougal, l’incrocio dove si davano appuntamento i grandi folksingers nei sessanta. Dice che vuole tornare in Italia presto e io gli dico che noi lo aspettiamo a braccia aperte.


Al West Village, e proprio a quell’incrocio, invece, ho appuntamento con Emma Tricca, la bravissima cantautrice romana, trapiantata a Londra il cui album “Gypsies and red Chains” è stato motivo di grande soddisfazione per Il Popolo del Blues. Emma è qui per registrare le basi del suo prossimo disco che il PDB realizzerà. La Tricca si sta facendo un nome attraverso la scena locale anche qui a New York City e questo le toglierà quel sentimento a senso unico che permeava il suo primo disco. Le composizioni ascoltate sono buonissime e le edizioni Universal Italia hanno già mostrato serio interesse. Chi firma Emma come autrice, ritengo, farà, prima o poi, “Bingo”. La aggiorno sui nostri progetti con Ashley Hutchings e ci diamo appuntamento a Roma fra poche settimane.
Siamo pronti a partire. È sempre un peccato. New York City si prepara a commemorare l’undici settembre ma tutti optano per un profilo basso. In Italia mi aspetta Pasquale, Nicola Arigliano, dobbiamo riprendere la promozione del fortunato libro che assieme al collega Michele Manzotti ho scritto, e le variegate difficoltà che ogni nuova stagione presenta.
In aereo non riesco a dormire e cerco allora di riordinare le idee e a catalogare il materiale collezionato durante il viaggio americano. Inizio a scrivere questo report. Presto si riparte....

Ernesto de Pascale
Firenze 14.9/03

Ernesto a times square la notte

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