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SANREMO 2007
(Genesi e Nemesi)
In principio era la canzone, negletta e sperduta in un limbo oscuro avendo come supporto solo le nude programmazioni radiofoniche.
Per darle maggiori opportunità il demiurgo Rai esclamò: “Sia fatta la luce” e la luce fu.
Rai vide che la cosa era buona e chiamò la luce “Festival della Canzone Italiana”, prescrivendo che il suo memoriale si celebrasse a Sanremo almeno una volta l’anno, possibilmente prima di Pasqua.
Così, da quel tempo, la canzone italiana ha un palcoscenico sul quale proporsi a chi desidera abbeverarsi alla sua preziosa e inesauribile acqua di vita.
Citazioni bibliche a parte, succede però che, vuoi perché gli uomini si sono abituati, vuoi perché hanno trovato altre fonti più gratificanti alle quali dissetarsi, da un bel po’ di anni il successo del Festival è sempre più striminzito e il demiurgo, giustamente preoccupato, questa volta ha avuto una bella pensata: rinnovare la manifestazione su basi più moderne con l’intenzione di conquistare nuovi adepti, principalmente fra i giovani, che potranno fare tendenza e creare le basi per un sereno e rigoglioso futuro.
Chi meglio di Pippo Baudo per un compito tanto arduo e delicato? Chi infatti più di lui, esperto e navigato nelle arti dello spettacolo, poteva traghettare la nostra malconcia e indebolita canzone da un lido insicuro ad una nuova terra promessa?
Detto fatto, il nostro eroe accetta e rende noto che finalmente il Festival sarà di qualità, con bellissime canzoni e con interpreti di altissimo profilo, privilegiando come si è detto il lato giovane.
Qualcuno fa notare che le stesse assicurazioni erano state date da tutti i direttori artistici succedutisi negli anni precedenti senza che i risultati corrispondessero poi alle promesse ma il mormorio è subito messo a tacere con l’affermazione lapidaria: “Pippo è un’altra cosa!”
Ed egli, proprio per dimostrare quanto seriamente lavori e per far sì che gli obiettivi siano raggiunti con maggior sicurezza chiede la dilazione di una settimana sull’annuncio dei nomi dei big partecipanti, per poter decidere meglio e non incorrere in errori di valutazione.
La dichiarazione raccoglie il consenso di appassionati e addetti ai lavori ed ecco, dopo il tempo convenuto, alcuni dei fatidici nomi di coloro che dovrebbero togliere la polvere e le ragnatele dalla nostra amata canzone, facendo risorgere a nuova vita il glorioso, ma in effetti un po’ stantio, Festival di Sanremo: Johnny Dorelli, Fabio Concato, Gianni e Marcella Bella, Milva, Al Bano (si mormora che il demiurgo, all’inizio dei tempi, abbia incluso una clausola nel regolamento del Festival che prescrive l’obbligo di partecipazione di questo inossidabile personaggio che dovrà cantare sempre la stessa canzone mascherata da nuova, pena l’annullamento della manifestazione). A difendere poi degnamente il lato alternativo viene chiamato, al posto dei precedentemente annunciati quasi sicuri Fabri Fibra e Mondo Marcio, quel simpaticone di DJ Francesco che, forse a causa della sua età ancora acerba a confronto degli artisti già citati, si dovrà presentare accompagnato dal padre Roby Facchinetti.
I soliti rompiscatole, pur ammettendo che quasi tutti gli artisti sono di ottimo livello e dobbiamo esser loro grati per quanto hanno fatto e fanno per la musica italiana, a mezza voce sussurrano che forse potrebbero non essere in linea con i gusti dei giovani di oggi, ma vengono ancora zittiti dal demiurgo con un secco e indiscutibile “continuità e progresso nella tradizione”, frase che va bene in ogni circostanza e mette a posto qualsiasi discussione.
L’atmosfera si rasserena, tanto più che l’accordo con il Comune di Sanremo è idilliaco, con la certezza che il successo arriderà e darà molte soddisfazioni a tutti: organizzatori, artisti, albergatori e croupiers.
I discografici non sono citati nella lista dei sicuri soddisfatti ma non se la prendono: sono abituati ai pesci in faccia e si danno di gomito dicendosi: “Meno si sa di noi e meglio è, così se le cose vanno male diamo la colpa al personale del casinò e alle maschere del teatro Ariston”.
A una settimana dalla manifestazione è in edicola “Sorrisi e Canzoni TV” con i testi e si può notare che quasi tutti sono decorosi, anzi, a parte qualche parolaccia di troppo e non sempre necessaria, alcuni sono decisamente buoni (uno su tutti quello di Cristicchi): questo tira su il morale e rassicura quei rompicoglioni di prima sempre pronti a criticare e fa ben sperare che stavolta il livello sia finalmente consono all’importanza dell’evento.
Così, a cavallo fra le perplessità iniziali e la speranza suscitata dalla lettura dei testi, mi sono accinto anch’io a seguire il Festival, ripromettendomi di essere obiettivo nei giudizi e nelle conclusioni.
Lasciamo stare il lato spettacolo: comici e ospiti fanno la loro parte egregiamente ma scopo principale della manifestazione, che si autodefinisce “della canzone italiana”, è presentare appunto nuove canzoni, perciò mi occuperò solo di queste.
Alla fine (lo dico sconsolato, senza enfasi né compiacimento), a parte qualche raro momento di freschezza dovuto soprattutto ai giovani (che purtroppo, talvolta senza meritarselo, vengono falcidiati dalla dura legge dell’eliminazione), mi sono annoiato e ho faticato a continuare l’ascolto di tutte le canzoni durante le prime due serate tanto che, lo confesso, nei prossimi giorni farò parecchio zapping sugli altri canali per ricrearmi un po’ e questo articolo lo chiudo di giovedì mattina 1° marzo, convinto che dal lato musicale non ci saranno più sorprese.
Le due serate sono infatti bastate per confermare quello che da parecchi anni ogni addetto ai lavori sostiene e cioè che il punto debole del Festival sono le melodie, che dovrebbero essere protagoniste e invece non emergono o dicono poco di nuovo e stimolante, a parte, come dicevo prima, qualche raro ed eccezionale spunto che non fa la regola.
E purtroppo dal punto di vista delle soluzioni musicali il peggior apporto è stato dato proprio dal girone che avrebbe dovuto essere trainante, quello dei big, con proposte di schemi che definire triti è eufemismo: le loro canzoni sono quasi tutte stereotipi (del barocco, del retorico, dello pseudo progressista, del finto chansonnier anni ‘50 cinquant’anni dopo e così via: insomma, la fiera del dejà entendu).
Rimpiangiamo le proposte artistiche dei tempi in cui invece di vivere normali eravamo attratti da una vita spericolata e, non conoscendo da vicino i retroscena e le fasi preparatorie del Festival, se volessimo buttare la croce su qualcuno non sapremmo se prendercela di più con gli interpreti, con i discografici o con la direzione artistica che ha operato le scelte definitive, quasi tutti comunque colpevoli di adagiarsi sulla consuetudine e sul già fatto, tanto la barca va avanti lo stesso
A meno che, per riagganciarmi a quanto avevo scritto il mese scorso proprio su questo sito, il problema è davvero quello che gli autori in grado di creare buone musiche con un minimo di originalità sono rimasti pochi.
O ancora: visto che ormai tutti gli interpreti si scrivono le canzoni che dovranno cantare, non può essere che agli autori puri rimangano solo le briciole e, preceduti da produttori, consiglieri musicali, amici degli artisti, ecc, trovino sulla loro strada ostacoli insormontabili?
Ma forse stiamo prendendo troppo sul serio un argomento che tutto sommato è frivolo e, come aveva già affermato ironicamente Bennato, si tratta solo di canzonette.
Perciò non drammatizziamo e sorridiamo pure assistendo all’ennesimo allegro servizio di Vincenzo C.Mollica (la “C” sta per Camomilla ma non è da prendere come un’offesa, anzi, visto il suo determinante ruolo di tranquillizzatore e visto che riesce sempre a farci credere che viviamo nel migliore dei mondi musicali possibili, pensiamo che la Rai faccia benissimo a tenerselo stretto, ben sapendo che qualcuno ci casca sempre) e per concludere sempre sorridendo, ricollegandomi al filone biblico e immaginando una giusta nemesi mi piacerebbe immaginare i responsabili dell’ immobilismo condannati a trascorrere un anno nel girone degli ignavi dove, oltre all’immancabile pianto e allo stridor di denti, saranno costretti a riascoltare in continuazione tutte le canzoni degli ultimi dieci Festival, l’ultimo compreso, come esempio di quello che non si dovrebbe più proporre.
Amen.
Rinaldo Prandoni
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